— E sono dentro le Mura, dottore?
— Come i topi. Nonostante il loro enorme spessore, le Mura sono tutte traforate… a quanto ho sentito dire. Nelle loro gallerie stazionano innumerevoli soldati, pronti a difenderle come le termiti difendono i loro nidi di terra nelle pampas del nord. È la quarta volta che io e Baldanders le attraversiamo, dato che, come ti abbiamo spiegato, siamo arrivati a sud entrando in città da questa parte e uscendone l'anno seguente dalla porta detta del Dolore. Solo di recente siamo tornati dal sud, con quel poco che siamo riusciti a guadagnare laggiù, passando attraverso la porta meridionale, quella della Lode. Ogni volta abbiamo visto l'interno delle Mura come ci appare adesso, con i volti degli schiavi dell'Autarca che ci fissavano dall'alto. Sono sicuro che alcuni di loro stanno cercando qualche miscredente particolare e che se lo vedessero, non esiterebbero a uscire per catturarlo.
L'uomo sul merichippo (che più tardi scoprii chiamarsi Jonas) ci interruppe: — Ti chiedo scusa, ottimate, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare le tue parole. Se vuoi, posso darti ulteriori informazioni.
Il dottor Talos mi rivolse uno sguardo scintillante. — Ci farebbe piacere, ma a una condizione. Parleremo solo delle Mura e di coloro che ci vivono, senza fare domande sul tuo conto. E tu ci ricambierai la cortesia.
Lo sconosciuto spinse indietro il cappello malconcio e mi accorsi che al posto della mano destra aveva uno strumento d'acciaio.
— Mi hai capito meglio di quanto volessi, come disse quell'uomo quando guardò nello specchio. Riconosco che desideravo sapere per quale motivo viaggi in compagnia del carnefice e come mai questa signora, la più incantevole che abbia mai visto, si trascina nella polvere.
Jolenta lasciò la staffa e rispose: — Tu sei povero, buonuomo, e non sei più giovane. Non devi domandare niente di me.
Anche nell'oscurità della porta riuscii a scorgere il rossore che salì alle guance dello sconosciuto. Jolenta aveva ragione. I vestiti dell'uomo erano consumati e rovinati dal viaggio, per quanto fossero sempre meno sporchi di quelli di Hethor, il suo volto era logorato e segnato dal vento. Rimase in silenzio per una dozzina di passi, quindi finalmente parlò, con una voce piatta, né acuta né bassa, che rivelava un accenno di secco umorismo.
— Un tempo, i signori di questo mondo non temevano altro che la loro gente, e per difendersi edificarono una grande fortezza su una collina, a nord della città. A quell'epoca non si chiamava ancora Nessus, perché il fiume non era avvelenato.
«Il popolo si risentì per la costruzione di quella cittadella e affermò che era un suo diritto massacrare i propri signori senza difficoltà, se lo desiderasse. Alcuni intanto erano partiti con le navi che viaggiano fra le stelle e fecero ritorno colmi di tesori e conoscenze. Un giorno tornò una donna che aveva trovato solo una manciata di fagioli neri.
— Ah — esclamò il dottor Talos. — Ma tu sei un narratore di professione. Avresti dovuto dircelo subito, perché, come avrai già capito, siamo colleghi.
Jonas scosse la testa. — No, questa è la sola storia che conosco… o quasi. — Fissò Jolenta. — Posso andare avanti, o donna incredibile?
La luce del giorno che splendeva dinnanzi a noi attrasse la mia attenzione, insieme al movimento dei veicoli che bloccavano la strada. Molti stavano cercando di tornare indietro, sferzando gli animali e provando ad aprirsi un varco con le fruste.
— … la donna fece vedere i fagioli ai signori degli uomini e disse loro che se non avessero fatto quello che chiedeva li avrebbe lanciati nel mare e il mondo sarebbe finito. I signori, che erano cento volte più importanti del nostro Autarca, ordinarono che venisse presa e fatta a pezzi.
— Che l'Autarca possa vivere tanto da vedere il Sole Nuovo — esclamò Jolenta.
Dorcas mi strinse maggiormente il braccio. — Perché hanno tanta paura? — domandò. Quindi si mise a urlare e nascose il volto fra le mani quando il puntale di ferro di una frusta le lacerò una guancia. Aggirai la testa del merichippo e afferrai per la caviglia il carrettiere che l'aveva colpita strappandolo al suo sedile. Nel frattempo, l'intero spazio sottostante la porta riecheggiava di grida e imprecazioni, delle urla dei feriti e dei muggiti delle bestie spaventate. Se lo sconosciuto continuò il suo racconto, io non lo udii. Il carrettiere che avevo trascinato doveva essere già morto. Volendo far colpo su Dorcas, mi sarebbe piaciuto potergli infliggere il tormento che noi definiamo delle due albicocche; ma era caduto sotto i piedi dei viandanti e sotto le pesanti ruote dei carri. Persino le sue urla si annullarono nel caos.
Arrivato a questo punto mi interrompo, dopo averti guidato, lettore, da una porta a un'altra: dal cancello chiuso e immerso nella nebbia della nostra necropoli a quella porta avvolta da spire di fumo, la più grande porta esistente al mondo, forse la più grande che mai esisterà. Passando dalla prima avevo posto le basi del cammino che mi avrebbe condotto alla seconda. E certamente, quando oltrepassai anche quella, mi incamminai per una nuova strada. Da quella porta in poi, per lungo tempo, la mia vita si sarebbe snodata fuori dalla Città Imperitura, fra foreste e praterie, montagne e giungle del settentrione.
Qui mi fermo. Se non intendi proseguire insieme a me, lettore, non ti posso biasimare. Non è una strada facile.
APPENDICE
NOTA ALLA TRADUZIONE
Nel tradurre questo libro, scritto originariamente in una lingua che non esiste ancora, mi sarei risparmiato certo molte fatiche se avessi usato parole di pura invenzione; ma non l'ho fatto. Perciò, in parecchi casi, sono stato costretto a rendere dei concetti non ancora conosciuti con i più vicini equivalenti del ventesimo secolo. Termini come peltasta, androgino o esultante sono più indicativi che definitivi. Metallo fa riferimento quasi sempre a una sostanza simile a quella conosciuta come tale nel mondo contemporaneo.
Quando nel manoscritto si parla di specie animali risultanti da manipolazioni biogenetiche o dall'importazione di ceppi extrasolari, mi sono servito liberamente di specie simili estinte. (A dire il vero, a volte Severian sembra presumere che una specie estinta sia stata ricostruita.) La natura degli animali da sella e da tiro non è sempre chiara nel testo originale. Li ho definiti cavalli, ma sono sicuro che la parola non sia rigorosamente giusta. I destrieri del Libro del Nuovo Sole sono certamente animali molto più veloci e resistenti di quelli che noi conosciamo, e la rapidità di quelli usati per scopi militari pare consentire cariche di cavalleria contro nemici dotati di armamenti ad alta energia.
Ho usato il latino per indicare una lingua che Severian sembra ritenere obsoleta. Non so di che lingua si trattasse in realtà.
Rivolgo un sincero ringraziamento a tutti coloro che mi hanno preceduto nello studio del mondo post-storico, particolarmente a quei collezionisti — troppo numerosi per poterli elencare qui — che mi hanno permesso di analizzare manufatti sopravvissuti a tanti secoli del futuro e che mi hanno consentito di visitare e fotografare i pochi edifici superstiti di quell'epoca.
Gene Wolfe