Ma non succede mai niente del genere. Il paradiso dura per un turno di guardia o due, quindi le ombre cilestrine come il latte annacquato si allungano sulla neve, che si sposta e balla, spinta dal vento dell'est. Sopraggiunge la notte e tutto finisce.
E così avvenne anche quando trovai Triskele. Credetti che avrebbe potuto e dovuto mutare tutto, invece fu solo l'episodio di alcuni mesi, e quando terminò e lui se ne fu andato, era passato un altro inverno e la Festa di Santa Katharine si approssimava, ma non era cambiato niente. Vorrei riuscire a descrivervi quanto fosse malconcio quando lo toccai, e quanto fosse fiducioso.
Era coricato su un fianco, coperto di un sangue reso duro come catrame dal freddo e ancora rosso, conservato dal gelo. Mi accostai e gli posi una mano sul capo… non so perché. Pareva morto come tutti gli altri, ma improvvisamente aprì un occhio e lo voltò verso di me, come se fosse convinto che il peggio era passato… ho fatto il mio dovere, sembrava dire quell'occhio; ora tocca a te.
Se fosse successo in estate penso che l'avrei lasciato morire, ma era ormai parecchio tempo che non vedevo un animale vivo, nemmeno uno dei tilacodaonti che si cibano dei rifiuti. Lo accarezzai nuovamente e lui mi leccò la mano: non riuscii più ad abbandonarlo.
Lo sollevai (era incredibilmente pesante) e mi guardai attorno per decidere cosa fare. Nel nostro dormitorio l'avrebbero scoperto prima ancora che fosse accesa la candela, ne ero certo. La Cittadella è immensa e terribilmente articolata, con locali poco frequentati e corridoi nelle torri, negli edifici che si trovano tra le torri e nelle gallerie sotterranee. Eppure non riuscivo a pensare a nessun luogo raggiungibile senza essere visto da almeno mezza dozzina di persone, così infine portai la povera bestia negli alloggi della nostra corporazione.
Sarei dovuto passare davanti all'artigiano di guardia in cima alla scala che conduceva alle celle. Dapprima pensai di nascondere l'animale nel cesto che serviva per portare le lenzuola pulite ai clienti. Era proprio il giorno del bucato e nessuno avrebbe notato un viaggio in più; la possibilità che l'artigiano cogliesse qualcosa di insolito mi pareva remota, ma avrei dovuto aspettare più di un turno perché le lenzuola si asciugassero e avrei rischiato di insospettire il confratello di servizio al terzo livello che mi avrebbe visto scendere nel quarto ormai disabitato.
Infilai il cane nella stanza degli interrogatori — era troppo debole per spostarsi da solo — e proposi alla guardia di prendere il suo posto alla scala. L'artigiano approfittò volentieri di quell'opportunità per soddisfare i suoi bisogni e mi affidò la spada da carnefice (che teoricamente non avrei dovuto toccare) e il mantello di fuliggine (che non mi era permesso indossare nonostante fossi già più alto di molti artigiani), in maniera che da lontano nessuno potesse accorgersi di quella sostituzione. Mi infilai il mantello e, non appena rimasto solo, posai la spada in un angolo e corsi a prendere il mio cane. I mantelli della nostra corporazione sono molto ampi, e quello che indossavo lo era in maniera particolare, perché il suo proprietario era alto e massiccio. Inoltre, la fuliggine, ancora più scura del nero, cela ammirevolmente all'occhio ogni piega e ogni protuberanza e mostra solo una superficie misteriosa. Con il cappuccio abbassato sul volto, gli artigiani seduti ai loro tavoli ai vari livelli mi avrebbero certamente preso per un confratello un po' più in carne degli altri che scendeva ai livelli inferiori. Anche l'uomo di guardia al terzo, dove i clienti che avevano perduto la ragione gridavano e squassavano le catene, non avrebbe avuto niente da ridire sul fatto che un collega scendesse al quarto livello, dal momento che si parlava di riaprirlo, o nel fatto che un apprendista vi andasse correndo poco dopo che l'artigiano era risalito: avrebbe sicuramente pensato che stava recuperando qualcosa dimenticata dal suo superiore.
Non era un gran posto, quello. Metà delle vecchie lampade illuminavano ancora, ma il fango si era infiltrato nei corridoi e aveva creato uno strato alto una spanna. Vidi un tavolo che probabilmente si trovava lì da oltre duecento anni: il legno era marcio e non appena lo toccai si sfasciò.
Comunque, l'acqua non era mai salita troppo, e in fondo al corridoio che scelsi non c'era nemmeno il fango. Adagiai il mio cane sul letto di un cliente e lo ripulii alla meglio con le spugne che avevo prelevato nella stanza degli interrogatori.
Sotto il sangue incrostato il pelo era corto, irto e bronzeo. La coda era stata tagliata e quello che ne rimaneva era un mozzicone più largo che lungo. Anche le orecchie erano state mozzate quasi completamente, e rimanevano solo due punte rigide più corte della prima giuntura del mio pollice. Durante l'ultimo combattimento gli avevano squarciato il petto. Potevo vedere i grossi muscoli, simili a serpenti insonnoliti, di un rosso pallido. La zampa anteriore destra era irrecuperabile… la metà superiore era spappolata. La amputai, dopo aver suturato il petto alla meglio, e riprese a sanguinare. Trovai l'arteria e la legai, quindi ripiegai la pelle come mi aveva insegnato il Maestro Palaemon per ricoprire il moncherino.
Di tanto in tanto, mentre lavoravo, Triskele mi leccava la mano e, quando ebbi terminato l'ultimo punto, iniziò lentamente a leccarselo, come se fosse un orso e cercasse di plasmarsi una nuova zampa. Le sue fauci erano grosse quanto quelle di un artoterio e i canini erano lunghi come il mio indice, ma le gengive bianche dicevano come in quelle mascelle ormai non ci fosse più forza che nelle mani di uno scheletro. Gli occhi gialli luccicavano di chiara follia.
Quella sera presi il posto del ragazzo che aveva l'incarico di portare i pasti ai clienti. Avanzava sempre qualche vassoio, perché alcuni clienti si rifiutavano di mangiare, e ne recuperai due per Triskele, chiedendomi se fosse ancora vivo.
Era vivo. Incredibilmente era sceso dal letto sul quale l'avevo posato e strisciando — non riusciva a camminare — si era trascinato fino al bordo del fango, dove luccicava un po' d'acqua. Lo trovai così. Gli avevo portato della zuppa e del pane nero e due caraffe d'acqua. Bevve una tazza di zuppa ma non riuscì a mangiare il pane: non aveva la forza di masticare. Così lo inzuppai nell'altra scodella e vi aggiunsi dell'acqua fino a svuotare le due caraffe.
Quando mi coricai sulla mia branda in cima alla torre, quella sera, mi parve di udire il suo respiro pesante. Mi rizzai a sedere sul letto per diverse volte, ma il suono svaniva e ricominciava a farsi sentire quando tornavo a sdraiarmi. Forse era semplicemente il battito del mio cuore. Se l'avessi incontrato uno o due anni prima, per me sarebbe stato come una divinità. Ne avrei parlato con Drotte e con gli altri, e sarebbe diventato una divinità anche per loro. Allora invece sapevo che era solo una povera bestia, ma non avrei mai potuto lasciarlo morire, perché avrei tradito la fiducia in me stesso. Ero diventato uomo (se era vero) da poco tempo, e non tolleravo l'idea di essere un adulto molto diverso dal ragazzo che ero stato. Riuscivo a ricordare ogni istante del mio passato, ogni pensiero, ogni sogno. Come avrei potuto distruggere quel passato? Sollevai le mani e cercai di guardarle… ormai le vene mi spiccavano sul dorso. E quando le vene spiccano sul dorso delle mani si è un uomo.
Sognai. Ero nuovamente sceso al quarto livello e vi trovai un amico dalle immense fauci sgocciolanti. Mi parlò.
La mattina seguente servii di nuovo i clienti e sottrassi il cibo da portare al cane, augurandomi che fosse morto. Non lo era. Alzò il muso e sembrò sorridermi, con una bocca tanto larga che pareva tagliare in due la testa; ma non cercò di raddrizzarsi. Gli diedi da mangiare e, mentre stavo per andarmene, la penosità delle sue condizioni mi colpì. Dipendeva solo da me! Era stato importante, gli addestratori lo avevano curato e preparato come avviene per i corridori prima di una gara; aveva camminato con orgoglio, con il petto mastodontico, ampio quanto quello di un uomo, sorretto da due zampe simili a colonne. Adesso era ridotto a uno spettro e persino il suo nome era stato cancellato dal sangue.