P. è enorme, il ventre tesissimo, i seni, con i loro grossi capezzoli scuri, sono divaricati e poggiano sui fianchi come due fagotti. Ha un odore diverso. Di latte. Mi dà la nausea. Non ho mai più assaggiato latte da quando ero piccolo, basta il ricordo di quel liquido grasso sulla lingua e sul palato e dei suoi vapori bovini che riempiono le cavità della mia testa a darmi un senso di soffocamento. P. beve un bicchiere di latte caldo prima di andare a letto, la calma e l'aiuta a prendere sonno. Io non riesco nemmeno a dormire se c'è il bicchiere vuoto nella stanza. Non dipingo nulla dal mese di agosto.
12 gennaio 1949, Tangeri
Ho un figlio di tre chili e ottocentocinquanta grammi. Guardo la faccia rossa e schiacciata, il ciuffo di capelli neri e sono sicuro che ci hanno dato per sbaglio un bambino cinese. I vagiti del piccolo mi sfondano i timpani e trasalisco al pensiero di questa presenza massiccia nella casa. P. vuole chiamarlo Francisco, io penso che possa creare confusione. Lei dice che lo chiameremo Paco da subito.
17 marzo 1949, Tangeri
… ora mi occupo dei progetti edili di R., lavoro con l'architetto, un galiziano malinconico di Santiago di cui cerco di rallegrare le idee cupe. Verso luce nelle sue strutture solide e lui si ritrae come un vampiro. L'americano per il quale stiamo costruendo l'albergo ha l'aria di volermi baciare.
20 giugno 1949, Tangeri
R. ha sposato oggi la sua moglie bambina. Gumersinda (il nome di una nonna) ha il viso e la natura dolce di un cherubino… R. è una persona diversa quando è con lei, tranquillo, rispettoso, premuroso e, così penso io, totalmente innamorato dell'idea di lei. Io non riesco a tirarle fuori nemmeno uno squittio, mi spremo le meningi per trovare un argomento di conversazione — bambole, balletto, nastri — e mi sento «giovesco» in sua presenza.
1o gennaio 1950, Tangeri
L'albergo è stato inaugurato prima di Natale e abbiamo festeggiato il nuovo anno con una mostra di miei paesaggi astratti alla quale è intervenuto «le tout Tangeri». Il primo giorno avevo già venduto tutto. C.B. ha comprato due lavori e mi ha preso da parte per dirmi: «È grande pittura, Francisco, davvero grande. Ma, sa, stiamo ancora aspettando». Insisto perché mi spieghi e lui dice: «La vera opera. Ritorni al corpo, Francisco, alla forma femminile, solo lei può farlo».
Quel pomeriggio tiro fuori uno dei disegni di P. e le riferisco quello che ha detto C.B. Lei accetta di posare per me. Si spoglia e io mi sento come un cliente con una prostituta. Torno al disegno, la cui semplicità è ancora magnifica. P. dice: «Pronta». Proprio come lo direbbe una prostituta. Mi giro. Le spalle e le braccia sono appesantite, i seni guardano uno di qua e uno di là, la pancia pende sopra il triangolo del pube, le cosce sono grosse, le ginocchia infossate, ha un callo sul piede sinistro. Il verde dei suoi occhi viene verso di me liquido, come un'onda di olio di oliva. Guarda il vecchio disegno alle mie spalle. «Non sono più quella», dice. La faccio rivestire, lei se ne va e io osservo il disegno come un uomo che abbia scoperto di non poter avere un rapporto sessuale normale con una prostituta. Lo metto via insieme con gli altri.
20 marzo 1950, Tangeri
R. mi fa andare a casa sua per dirmi che G. ha dato alla luce un maschio. Il bambino è grosso e il parto è stato lungo e laborioso. R. è molto scosso.
17 giugno 1950, Tangeri
P. è incinta. Sposto lo studio fuori di casa, per lasciare più spazio. Ho trovato un posto sulla baia con la luce da nord e che guarda verso la Spagna. Vi ho messo un letto singolo e una zanzariera. Ho appeso una tela alla parete, ma non so pensare a nessun colore.
20 luglio 1950, Tangeri
C. arriva furioso con un ragazzo marocchino a rimorchio. Non lo vedo (non è un caso) dalla mia vergognosa notte di nozze. Vuole sapere perché non gli abbia parlato del mio nuovo studio. Il ragazzo prepara il tè. Fumiamo. C. è intontito e si addormenta. Il ragazzo e io ci scambiamo occhiate e finiamo sotto la zanzariera. Più tardi, quando mi sveglio, trovo C. ancora più furioso, mentre il ragazzo si palpa la guancia dove C. lo ha colpito. Sembra che C. sia invaghito sul serio di quel giovanetto e si sia inferocito nel vedere che si comportava come una puttana da quattro soldi. Non si lascia ammansire e se ne va con il ragazzo che si preme il naso con tutte e due le mani e ha spruzzi di sangue sulla veste bianca. La porta si chiude. Io guardo la tela e decido che il colore è il rosso.
15 febbraio 1951, Tangeri
Ho una bambina rosea e placida che è un sollievo gradito dopo Paco, i cui primi vagiti erano stati solo l'inizio di una lunga campagna di richieste incessanti. Manuela (nome della mamma di P.) dorme sempre e si sveglia soltanto per fare bollicine con le labbra e succhiare un pochino di latte.
8 giugno 1951, Tangeri
Mi imbatto in C. al bar Mar La Chica che è diventato un ritrovo di nottambuli del bel mondo e di bellezze varie. Danno un sacco di soldi a Carmella che impregna l'aria con gli orrori delle sue ascelle e non prestano attenzione a Luis, un ballerino molto più bravo. Non vedo C. dal giorno dell'episodio con il ragazzo nel mio studio. Le cose non gli stanno andando bene, ha bevuto, ha una brutta faccia, sembra prosciugato, svuotato. L'anarchia della depravazione gli si è rivoltata contro e lo ha fatto a brani. Si lancia in una tirata in inglese contro di me a beneficio dei presenti. «Ecco a voi Francisco Falcón, artista, architetto, contrabandista e legionario, il maestro della forma femminile! Lo sapevate che una volta ha venduto un suo dipinto a Barbara Hutton per mille dollari? No, non un dipinto, un disegno. Un piccolo sgorbio a carboncino su un foglio di carta ed ecco mille banconote che gli svolazzano intorno alla testa.» Mi protendo sulla sedia. È innocuo, ma ora ha un pubblico e decide di essere all'altezza. Sa che questo pubblico preferisce Carmella a Luis e lo accontenta. «Ma lasciate che vi parli di Francisco Falcón e della sua grande comprensione della forma femminile. È un impostore. Francisco Falcón non sa niente della forma femminile, ma è un esperto di maschietti… oh, sì, lasciate che vi dica dei culi e degli uccelli che ha gustato, sono queste le sue specialità e io lo so bene, perché mi ha usato come ruffiano…» A quel punto Luis gli si avvicina e gli dice di piantarla. Io sono pallido di collera, ma freddo in apparenza. C. non tace e si lancia in una sparata finale piena di rabbia che termina con la mia notte di nozze. Luis lo afferra e lo trascina fuori. Non ritornano. Esco, seguito dal pubblico che si aspetta, dopo aver visto il sudiciume, di vedere anche il sangue. Luis ha portato via C. e io, pur sentendomi capace di sradicare una palma, m'incammino tranquillamente verso casa.
12 giugno 1951, Tangeri
C. è stato trovato morto nella sua abitazione nella medina, la testa sfracellata e ridotta a una massa irriconoscibile. Il ragazzo al quale aveva rotto il naso nel mio studio era vicino al cadavere con il sangue sugli indumenti. È accusato dell'omicidio. Questa è la fine del cultore della sensualità: il bacio non soddisfa più, la carezza è troppo delicata e così col tempo occorre lo schiaffo, poi il pugno e infine si abbatte il randello.
18 giugno 1951, Tangeri
Ho deciso di passare i mesi estivi qui nello studio. La casa è in un gran trambusto e puzza di cacca e di latte. L'aria è piena di chiacchiere idiote, meglio starmene qui a sonnecchiare sotto la zanzariera, il mondo vago al di là, la cantilena del muezzin che invita i fedeli alla preghiera unico modo di scandire il tempo. Il suo richiamo sembra provenirgli dal ventre e risuonargli nel torace prima di uscire dalla bocca, più straziante del flamenco di Luis. Il suono giunge sempre dal silenzio e la sua spiritualità magica non ha bisogno di traduzione. Cinque richiami al giorno e ogni volta mi commuovo.