2 luglio 1951, Tangeri
In uno dei rari pasti ai quali presenzio in questi giorni, P. mi chiede che cosa io stia facendo in questo periodo. Mi lascio andare a una lunga dissertazione sul tentativo di dipingere la preghiera del muezzin come un paesaggio astratto e lei mi interrompe. Le sono giunti pettegolezzi maligni di comportamenti depravati. A quanto pare quello che si sta svolgendo nei tribunali è riuscito a penetrare nel suo mondo di bambina. Insiste e io mi sento come un'ostrica viva il cui mondo freddo e gommoso si ritragga davanti alle intrusioni di una lama. Le chiedo di venire allo studio e di vedere il mio lavoro, la convinco che sto vivendo come un asceta. È soddisfatta, crede nella mia serietà. Sono un tale mostro… o perlomeno così pensa Paco che ride e stringe la mia testa enorme mentre io fingo di divorargli la minuscola pancia. Non sa che cosa sia la paura, questo piccino.
5 luglio 1951, Tangeri
Mi sveglio con un Mohammed qualsiasi sdraiato al mio fianco mentre P. bussa alla porta al piano di sotto. Lo mando sul tetto e la faccio entrare. Preparo il tè. Lei chiede di vedere i miei lavori. Sono evasivo, perché non ho niente da mostrare. Mi tocca in un modo che mi fa capire come non sia venuta qui con questo in mente. Sono spento dopo un intero pomeriggio di giochi e sono anche sporco. P. comincia a irritarsi a causa del mio procrastinare e mi rovescia del tè bollente sul piede nudo, così che io mi metto a saltellare di qua e di là e il ragazzo sul tetto scoppia in una risata che spero lei non abbia sentito. P. se ne va poco dopo.
26 agosto 1951, Tangeri
Scorrendo questi diari, rivedo passare gli anni e sono allibito dalle rivelazioni che contengono. Ammesso che io raggiunga la notorietà con il mio lavoro, se questi scritti dovessero venire alla luce, che effetto avrebbero sulla considerazione del mio genio? Sono confessioni, non diari, non le nobili annotazioni di un artista provato dalla vita, ma solo appunti di pessimo gusto di un mascalzone depravato. Credo di stare eccedendo nel fumo e di non passare abbastanza tempo in una compagnia stimolante, anche se non so proprio dove potrei trovarla. Quell'americano, Paul Bowles, al quale ho accennato, ha avuto un certo successo con un libro che non ho avuto voglia di leggere. Lo cerco, ma è sempre via. Vado al bar di Dean, ma è pieno di beoni e di reprobi che non hanno una sola idea in testa. Non sono riuscito a mantenere i contatti con il mondo di B.H. e C.B. non è a Tangeri. Rinuncio alla società.
C.B. mi informa di aver venduto due miei lavori a due ricche signore del Texas. Una somma sostanziosa, mi dice, ma io avevo sperato in uno spazio al MOMA. Cerca di rabbonirmi riferendomi le parole di Picasso, che una volta gli avrebbe detto: «I musei sono solo un mucchio di bugie», cosa facile da dirsi quando si è appesi nelle migliori pinacoteche di ogni nazione del mondo occidentale.
17 ottobre 1951, Tangeri
R. mi dice che G. è di nuovo incinta. Era felice e terrorizzato insieme dopo l'ultima volta. Sono stupefatto nel constatare come possa ridursi questo monumento alla durezza e alla mancanza di scrupoli: molle come un impasto di pane. Trema al pensiero della sofferenza della moglie. Quando parlo a P. della gravidanza, lei mi guarda con desiderio nostalgico e io capisco perché fosse venuta nel mio studio in luglio.
8 febbraio 1952, Tangeri
R. ha venduto tutta la nostra flottiglia a vari concorrenti che hanno pagato il prezzo massimo di mercato. Ha anche svuotato i magazzini e li ha affittati alle stesse persone che hanno comprato le barche. Sono sbalordito, ma R. mi assicura che il contrabbando ha raggiunto il limite, sono in corso negoziati tra gli Stati Uniti e la Spagna. Gli americani vogliono costruire basi per controbattere la supposta minaccia sovietica. Franco li lascerà entrare perché vuole restare al potere. Si stabilirà un legame commerciale.
20 aprile 1952, Tangeri
Questa volta il travaglio di G. è stato molto peggiore, con tali complicazioni che i medici hanno perfino chiesto a R. chi salvare, la madre o il bambino. R. ha scelto G., perché non può vivere senza di lei. Dopo questa decisione G. si è ripresa ed è nata una bambina, in apparenza sana. Aver sfiorato la tragedia ci ha avvicinati, P. e me: riviviamo i primi tempi della nostra unione e riscopriamo in parte la passione. Il pomeriggio lei viene nello studio e io giaccio con lei. La mia pittura è migliorata, ma non ha ancora ritrovato quel momento perduto.
18 novembre 1952, Tangeri
A un ricevimento all'hotel Til Minzah ho conosciuto Mercedes, moglie spagnola di un banchiere americano. Suo marito aveva comprato un mio lavoro alla galleria di C.B. a New York, perciò lei mi considera un vecchio amico. Dopo gli anni trascorsi in America, dà l'impressione di una donna molto moderna, non è la tipica cittadina della Spagna al di là dello stretto. La invito nel mio studio e lei si presenta il giorno dopo in una Cadillac con autista, che manda subito via. Preparo il tè, lei contempla il mare appoggiata alla ringhiera della veranda. Ha una figura da ragazzo, fianchi stretti, seni piccoli e gambe snelle e muscolose. Le mostro alcuni paesaggi astratti di Tangeri ai quali sto lavorando e lei vi scopre elementi cubisti di Braque galleggianti su bande di colore smagliante, come aveva visto nelle opere di Rothko a New York. Sono conquistato dalla sua intelligenza L'attrazione è reciproca e non passa molto tempo prima che io scopra di che cosa sia capace quel suo corpicino nervoso, o meglio la sua mente. Si avverte una certa perversione nei suoi comportamenti. Quando è vicina al momento, viene presa da una frenesia assoluta, non esiste più niente altro per lei (certo non io, martellato dal suo bacino) e ulula come una lupa. Crolliamo sul pavimento dove rimane a giacere, gli occhi vitrei, le guance infiammate, le labbra pallide e una vena nel collo, spessa come una fune, dove scorre rombando sangue scuro, carnale. Rinvigorisce scoprire in quella raffinatezza fondamentali istinti animaleschi. Ne avverto anche il pericolo. M. sembra capace di trascinarmi in regioni dove i limiti non esistono. Non mi sfugge l'ironia dell'essere noi a Tangeri, rinchiusi nella Zona Internazionale del Marocco sulla costa africana dove si sta creando una nuova specie di società, una società priva di regole. Il comitato di governo delle nazioni europee, sospettose per natura, ha creato un caos ammissibile dal quale sta emergendo una nuova specie di umanità, che non aderisce alle consuete leggi della convivenza sociale, ma cerca soltanto di soddisfare se stessa. Lo sviluppo degli affari senza limitazioni e senza tasse della Zona Internazionale si rispecchia nel rifiuto di ogni forma di morale da parte di questa società. Noi siamo il microcosmo del mondo del futuro, brodo di cultura del laboratorio dell'umanità di domani. Nessuno potrà dire: «Ah, Tangeri! Quella era vita!», perché saremo tutti in una nostra Tangeri personale. Proprio per arrivare a questo negli ultimi quattro decenni ci siamo azzannati come cani in tutto il mondo.
15 marzo 1953, Tangeri
R., dopo aver venduto tutte le nostre barche, si è comprato uno yacht, un bel giocattolo su cui farsi vedere e fare la figura dell'uomo ricco e di successo. Probabilmente potrei permettermene uno anch'io grazie ai proventi della società e delle vendite dei miei lavori per mezzo dei contatti di M. a New York, ma non ne trarrei nessuna soddisfazione. Ho quasi quarant'anni e apparentemente ho raggiunto il successo, ma sono consapevole del mio problema, anche se i miei pensieri fuggono lontano da questa consapevolezza alla prima occasione. Nulla di ciò che ho ottenuto è opera mia. R. ha organizzato tutta la mia vita come aveva fatto la Legione prima di lui. P. è stata la mia musa, senza di lei i disegni a carboncino non sarebbero mai nati. M. mi ha costruito una reputazione tra gli americani, permettendomi di vendere bene a New York. Ma io sono un guscio. Provate a bussarvi sopra e sentirete come rimbomba il vuoto dentro di me.