2 aprile 1953, Tangeri
Il successo di Paul Bowles ha attirato una folla di scrittori e di artisti americani nella nostra piccola Utopia. Ho conosciuto un certo William Burroughs, il quale, così pare a me, non ha fatto niente di notevole se non farsi precedere da una reputazione imponente. Ha sparato alla moglie in Messico, in una specie di prova alla Guglielmo Tell, nella quale, invece di centrare il bicchiere che le aveva posato sulla testa, le ha infilato il proiettile nel cervello. L'americano che me lo racconta ha un tono divertito e spaventato insieme, come se si trattasse di un film appena visto. Io guardo al di là del pavimento sudicio del bar Mar La Chica il tavolino al quale è seduto W.B., pronto a farmi affascinare dall'uxoricida, ma vedo soltanto un impiegato di banca, proprio come quelli che lavorano qui, tranne che questo ha il cranio della figura dell'«Urlo» di Edvard Munch. Ci conosciamo e io gli dico questo, e lui: «Come abbia fatto quel bastardo a sapere quello che sarebbe successo, non lo sapremo mai. Merda. E io ti dico che qualche volta vedo così il cielo… esattamente così. Come sangue, capisci… come fottuto sangue…» Il suo magnetismo consiste nell'immediatezza delle reazioni selvagge che scatena su chi trova antipatico tra quanti gli stanno intorno, anche se credo che la ferocia vera la riservi a se stesso. È come un animale ululante e mi fa pensare a quel ragazzo folle che R. aveva visto in quel villaggio della sierra anni fa, incatenato al muro di una casa con un collare di ferro. Sono più vicino a capire perché io faccia correre la penna sulla carta.
28 giugno 1953, Tangeri
Ho tre vite. Con P. e i bambini sono decoroso, i parametri di comportamento sono regolati per anime infantili. Con loro sono mite e più o meno allegro mentre il torace mi si spalanca in sbadigli frementi. Guardo P., la madre perfetta, e mi domando come abbia potuto essere la mia musa. Un'altra vita è nello studio. Il lavoro procede, i paesaggi di Tangeri si sono trasformati in qualcosa di diverso, vasti cieli rossi sanguinanti su un massiccio continente nero e tra i due la macchia di una temporanea civiltà. Il lavoro è interrotto da una processione di ragazzi che passano di lì per guadagnare qualche peseta. La mia terza vita è con M., la mia compagna in società e compagna sulla via della perversione.
23 ottobre 1953, Tangeri
C.B. invita me e P. a una serata con B.H. Non mi piace l'idea che una vita confluisca nell'altra. Andiamo al palazzo di Sidi Hosni e come sempre aspettiamo la nostra ospite tra le sue favolose ricchezze. P. si annoia e C.B. si occupa di lei; essendo l'uomo che è, riesce ad affascinarla perfino con il suo spagnolo difficoltoso. B.H. fa il suo ingresso quando io sto per proporre di andare via. Viene verso di noi e, vedendo P., ha un'idea. Ci conduce alla sala sorvegliata dal nubiano imponente e soltanto quando stiamo per entrare mi rendo conto di non aver mai detto a P. della vendita del disegno. B.H. la porta subito davanti a quello, al suo posto d'onore accanto a Picasso. P. batte le palpebre, fissandolo come se avesse visto picchiare uno dei suoi figli. So dagli occhi verdi che arrivano fino a me che lo considera una specie di tradimento della sua fiducia. B.H., che ha bevuto un po', non si accorge della sua pena ed è C.B. a portarci via di lì. Sulla via del ritorno a casa P. è silenziosa mentre percorre le vie della casbah, i tacchi sonori sui ciottoli, e io mi trascino dietro di lei, mentendo alla sua schiena come un mendicante al quale siano stati negati pochi spiccioli.
19 febbraio 1954, Tangeri
R. è andato a Rabat e a Fez per parlare agli amministratori francesi e marocchini. Mi ha chiesto di accompagnarlo, ma io sto lavorando a un enorme quadro astratto che spero mi farà uscire da quella che M. definisce la «lista B» degli artisti rispettati. Vuole che il mio nome raggiunga quelli di oltre Atlantico come Jackson Pollock, Mark Rothko e Willem de Kooning. Pensa che i miei paesaggi abbiano la forza dei lavori di Rothko. A me sembra che Rothko si avvicini ai suoi soggetti da un angolo diverso. Mira in alto, cerca un elemento spirituale, io punto verso l'oscurità e la decadenza.
3 marzo 1954, Tangeri
R. è tornato dai suoi viaggi, molto rincuorato dai burocrati. Mi mette in allarme dicendomi di essersi imbarcato in un affare con i marocchini. Gli dico che lui non capisce la natura impenetrabile dell'animo marocchino: riescono a irretire perfino gli operatori più brillanti. Lui esclude una simile possibilità e mi dice di non preoccuparmi. Io non sarò coinvolto.
18 giugno 1954, Tangeri
Un pomeriggio passo da casa mia nella medina e sono sorpreso nel constatare che P. non c'è. I bambini giocano nel patio, Paco fa il torero, la sorellina il toro. Paco fa prodezze con la sua camicia e lei trotterella contro il drappo sventolante, felice quando sbuca dall'altra parte. Come abbiano escogitato questo gioco non so, perché Paco non ha mai visto una corrida. Vivo staccato dalla loro vita. Ma dov'è P.? Nessuno lo sa. Gioco con i bambini, offrendo a Paco un toro un po' più pericoloso. Sono sorpreso della destrezza di mio figlio con quella camicia e in un certo senso capisco la soddisfazione di Manuela. Mi stufo presto, però, e torno allo studio.
20 dicembre 1954, Tangeri
Siamo stati fortunati a sfuggire al peggio della débâcle. Il valore delle proprietà immobiliari è crollato. La speranza generale di vedere Tangeri trasformata nella Monaco dell'Africa sono svanite. R. ha deciso di portare fuori tutto il nostro capitale e voliamo in Svizzera dove lui apre un conto a mio nome e vi deposita la fantastica somma di 85.000 dollari e cioè la maggior parte dei miei guadagni, frutto della nostra unione commerciale durata dieci anni. Non ho modo di aprire bocca e celebriamo con una cena. È la fine di un'era. R. continuerà da solo negli affari. Alla fine del pasto ci abbracciamo.
17 maggio 1955, Tangeri
P. mi ha cercato allo studio per la prima volta da secoli. È stata qui tre giorni di fila e abbiamo fatto l'amore ogni pomeriggio. M. è a Parigi con il marito e da me viene soltanto qualche ragazzo che devo pagare perché se ne vada. Sono incuriosito dall'improvviso ardore di mia moglie, poi mi rendo conto che in assenza di M. sono stato più presente a casa e mi sono riabilitato con la mia famiglia.
Quando P. se ne va, io rimango sotto la zanzariera annodata in alto e la garza oscillante mi fa pensare al parto, alla rottura delle acque; mi domando se io non sia stato indotto a diventare padre un'altra volta.
11 luglio 1955, Tangeri
Come tutto converge! Oggi compio quarant'anni e P. mi dice che aspetta un bambino. R. ha depositato altri 25.000 dollari sul mio conto e la società è stata ufficialmente sciolta. Il marito di M. ha chiesto il divorzio e si dice disposto a sborsare una grossa somma per averlo (il motivo è una ragazza texana di ventidue anni). Ho lasciato l'astratto e sono tornato al figurativo, forse sono stato ispirato da De Kooning, che dagli schemi caotici e affollati di «Esecuzione» ha virato in direzione di «Donna», più o meno. O no? Forse sto soltanto inseguendo il sogno di C.B. e mio. Ho lavorato finché c'è stata luce. Sto andando a casa per cenare con la mia famiglia. Tutto ciò che sento è totale disperazione.