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«No.»

«E nelle funzioni mentali?»

«No.»

«Nessun pensiero ripetitivo, perdita di memoria, tendenza a un comportamento ossessivo… come lavarsi ripetutamente le mani?»

«No.»

«Nessun dolore articolare? Alle spalle, alle ginocchia?»

«No.»

«Può dirmi se qualcuno dentro o fuori della Jefatura possa avere motivo di preoccuparsi per il modo in cui lei si comporta di recente?»

Un'altra ondata di panico. La diarrea di cui aveva negato l'esistenza divenne all'improvviso una possibilità.

«No, non saprei.»

«Lo stress provoca effetti diversi sulle persone, ispettore capo, ma le caratteristiche fondamentali rimangono le stesse. Le forme lievi, provocate dal superlavoro unito ai problemi in famiglia, possono causare reazioni fisiche per indurci a fare una pausa. Non è insolita la comparsa di un dolore al ginocchio. Forme estreme di stress mettono in moto un meccanismo atavico, il riflesso del 'combattere o fuggire', l'esplosione di adrenalina che ci dà la forza di colpire l'aggressore o di scappare lontano. Non viviamo più nella foresta primordiale, ma la nostra giungla urbana può provocare la stessa reazione. La pressione combinata di un pesante carico di lavoro con altri fattori di stress, la morte di un genitore e il divorzio dalla moglie, può scatenare un flusso permanente di adrenalina. La pressione aumenta, il peso cala perché l'appetito viene a mancare, il cervello è in subbuglio, il sonno diventa difficile, il corpo reagisce come se la mente avesse incontrato qualcosa di cui aver paura. Sudorazione intensa, ansia, crisi di panico seguite da perdita di memoria e da pensieri ossessivi. Ispettore capo, lei presenta tutti i sintomi di un forte stress. Mi dica, quando è stata l'ultima volta che si è preso un pomeriggio libero?»

«Ne prendo uno oggi.»

«Quando è stata l'ultima volta?»

«Non ricordo.»

«Dal suo arrivo a Siviglia quasi tre anni fa si è concesso solo una vacanza di due settimane», soggiunse il dottor Rato. «Prima di quest'ultimo caso, qual era il suo carico di lavoro?»

Vuoto totale. Il panico gli invadeva il petto come etere.

«Glielo dirò io, ispettore capo», riprese Rato. «L'anno scorso lei ha investigato su quindici delitti, contro i trentaquattro dell'ultimo anno a Madrid.»

«Che cosa vuol dimostrare, dottore?»

«Forse lei si sta nascondendo nel lavoro?»

«Nascondendo?»

«Vi sono aspetti positivi anche nello spiacevole compito che lei deve svolgere. C'è la routine, c'è la struttura, ci sono i colleghi. E, se si vuole, il lavoro può non finire mai. Si potrebbe passare un anno solo occupandosi di scartoffie, immagino.»

«Giusto.»

«La vita reale è complicata, le relazioni non funzionano, gli amici vanno e vengono. E, alla sua età, la gente comincia a morire e noi dobbiamo affrontare lutti, cambiamenti e delusioni. Ciò nonostante esiste la possibilità di essere felici ma, per esserlo, occorre entrare in rapporto con qualcuno. Quando è stata l'ultima volta che ha fatto sesso?»

Un'altra domanda sconvolgente, alla quale Falcón per poco non saltò su dalla sedia e non si mise a passeggiare avanti e indietro nella stanza.

«Non intendevo essere offensivo», si scusò lo psicologo.

«No, certo che no, è solo che non mi sento rivolgere questa domanda da quando ero all'università.»

«Nessun amico glielo ha mai chiesto?»

Amici, pensò Falcón. Né amici, né amiche. Quasi si sentì salire le lacrime agli occhi al pensiero di non avere amici, sembrava impossibile che la vita fosse scivolata via così, senza che lui se ne accorgesse. Da quando non aveva più avuto un amico? Sbatté contro il muro della memoria finché non gli venne in mente che Calderón, per lui, avrebbe potuto essere una sorta di amico.

«Quando è stata l'ultima volta che ha avuto un rapporto sessuale?» domandò di nuovo il medico.

«Con mia moglie.»

«Quando vi siete separati?»

Vuoto.

«L'anno scorso», rispose Falcón, annaspando mentalmente.

«Quale mese?»

«Maggio.»

«Si è separato in luglio, e probabilmente questa è la ragione per cui non è andato in vacanza», disse il dottor Rato. «Quando ha fatto sesso con sua moglie l'ultima volta?»

Falcón fu costretto a eseguire un calcolo rozzo e spiacevole. Se ci siamo separati in luglio, pensò, e lei non mi ha permesso di toccarla per due mesi, allora doveva essere maggio.

«Quello era maggio.»

«Un anno senza sesso, ispettore capo», gli fece notare il medico. «Com'è la sua libido?»

Libido, bella parola. Suona come una spiaggia privata. Ma sì, scendiamo nella libido.

«Ispettore capo?»

«Probabilmente non un gran che, come forse avrà già immaginato.»

Gli tornò alla mente l'immagine di Consuelo Jiménez, quella di lei inginocchiata sulla sedia con la gonna rialzata. Era libidine? Accavallò le gambe.

Il dottor Rato mise fine al colloquio.

«Tutto qui?» si stupì Falcón. «Non deve dirmi qualcosa?»

«Scriverò un rapporto. Non sta a me riferirle nulla, tocca ai suoi superiori. Non sono io il suo datore di lavoro.»

«Ma che cosa dirà ai miei superiori?»

«Questo non è argomento di discussione.»

«Mi dia almeno un'idea generale», insistette Falcón. «'Mettetelo in manicomio' oppure 'Ditegli di prendersi una vacanza'?»

«Non è una scelta multipla.»

«Ha intenzione di consigliare un controllo psicologico completo?»

«Il nostro è stato un colloquio iniziale a seguito di alcune preoccupazioni espresse all'esterno della struttura.»

Calderón, si disse Falcón. Quel fatto davanti a casa sua con Inés.

«Mi dica che cosa riferirà nel suo rapporto.»

«Il colloquio è terminato, ispettore capo.»

Grazie alla fortuna più che alla prontezza di riflessi, Falcón uscì intero dai recinti de La Maestranza dopo aver sistemato Biensolo nel suo lote, pronto per Pepe quel pomeriggio. Venendo dalla Jefatura era mancato poco che investisse un ciclomotore e aveva evitato per un soffio una carrozza piena di turisti. In paseo de Cristobal Colón, ora, mancavano sette paletti dei lavori stradali. Del procedimento di selezione dei tori quasi non si era accorto. Aveva sentito vagamente parlare della ferita del n. 484 per un'incornata e gli altri avevano approfittato della sua distrazione per dargli il lote che non voleva nessuno. Telefonò a Pepe all'hotel Colón e gli riferì le novità.

Andò a casa. Non era pronto per niente e per nessuno, la sua concentrazione fileggiava come una vela squarciata. La memoria gli filtrava pensieri e immagini disparate nel cervello. Si trascinò in camera e si buttò supino sul letto, scosso da un brivido a ogni singhiozzo che gli scuoteva le spalle. La tensione era troppa, troppa. Le lacrime gli scorsero sulle guance, bagnarono il cuscino, la cosa massiccia che cercava di salirgli in gola quasi lo soffocò. Poi dormì. Senza pillole. Sfinimento puro.

Lo svegliò il cellulare. Gli sembrava di avere due pietre bollenti al posto degli occhi, le palpebre spesse come cuoio. Paco gli disse che erano già al ristorante e stavano finendo tutte le sue chuletillas. Si mise sotto la doccia, la mandibola cascante come quella di un ricoverato in un istituto psichiatrico. Mentre si vestiva ritrovò un certo equilibrio, arrivò a sentirsi quasi bene, come se il crollo di poco prima avesse riparato qualche meccanismo, piccolo ma essenziale.

Durante la Feria de Abril, davanti all'hotel Colón c'era sempre molto movimento: i fattorini dell'albergo non si fermavano mai mentre manager, allenatori e membri delle squadre scendevano da automobili e pulmini. Nei caffè di fronte all'albergo indugiavano gli ammiratori, meno numerosi quel giorno data la mancanza di grossi nomi in cartellone: il torero più conosciuto era Pepín Liria, seguito da Vicente Bejarano e dallo sconosciuto Pepe Leal.