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Rachid invitò Falcón a cena. Davanti a una grande terrina di cuscus, Javier spiegò che sua madre era morta e si informò sulla possibilità che qualche vicino di quel tempo fosse ancora vivo. Venne mandato in giro un ragazzo con le istruzioni e dopo pochi minuti era già di ritorno con un invito per il caffè nella casa accanto.

«La cosa insolita è che si presentarono due medici», disse il vecchio, «e che ci fu una discussione davanti alla porta su chi dovesse vedere la paziente. Era accaduto che sua madre, signore, era già morta e suo padre aveva chiamato il solo medico che conoscesse, cioè il suo, un tedesco. Il medico di sua madre, uno spagnolo, disse di non avere niente in contrario e stava per andarsene quando la donna del Rif, la cameriera di sua madre, uscì di corsa annunciando che la padrona era stata avvelenata. Reggeva un bicchiere in mano, diceva di averlo trovato accanto al letto della signora. Nessuno le credeva e lei, per convincerli, bevve un sorso del liquido. Suo padre le strappò il bicchiere di mano e la donna, in una scena drammatica, cadde a terra. Tutti erano costernati, il dottore spagnolo si precipitò verso di lei, ma era tutta scena. Non era morta, non c'era nessun veleno nel bicchiere. La cameriera venne giudicata un'isterica e mandata via.»

Falcón non riuscì a controllare il tremito delle mani, nemmeno incrociando le dita con forza. Il sudore gli colava sulla faccia e la nausea lo assaliva ascoltando il racconto della tragedia, un racconto riferito a cuor leggero. Si alzò barcollando dai cuscini sul pavimento, rovesciò la tazzina del caffè che non aveva bevuto. Mohammed Rachid si alzò a sua volta per aiutarlo.

Arrivarono insieme fino al posteggio del taxi di Grand Soco e una Mercedes ammaccata lo riportò all'hotel Rembrandt. Una volta uscito da quella casa, nella medina, aveva ritrovato la calma, aveva controllato il panico. Era successo soltanto che il racconto espresso con bontà dal vecchio gli aveva riportato tutto quanto alla memoria. L'orrore di quella mattina. Sua madre morta nel letto e l'indecoroso tumulto all'esterno. Sì, rammentava… eppure vi erano ancora spazi vuoti e lui non aveva voluto che quell'uomo continuasse, perché… Non sapeva perché. Aveva soltanto voluto scappare via di lì il più in fretta possibile.

Tornato in albergo, si gettò sul letto nella stanza buia e guardò il mare al di là delle luci della città e del porto. Era in uno stato di assoluta desolazione, le membra scosse da brividi in uno spasmo di solitudine mentre tutto il dolore differito per la morte di Pepe affiorava alla superficie. Rannicchiato in posizione fetale cercò di tenersi stretto, contraendo i muscoli, perché temeva di andare in pezzi in modo irreparabile se non lo avesse fatto. Qualche ora dopo allentò la tensione e si spogliò, prese una pillola per dormire e perse i contatti col mondo.

La mattina era quasi completamente trascorsa quando riaprì gli occhi. Non c'era acqua calda. Sotto la doccia fredda si rese conto d'un tratto che stava piangendo, un fiume di lacrime che non riusciva ad arrestare. Le mani abbandonate lungo i fianchi, scosse miseramente la testa: il suo corpo era ormai sfuggito del tutto al controllo.

Camminò fino a place de France e si fermò al Café de Paris per un caffè. Da lì si recò al consolato spagnolo e, mostrando il tesserino della polizia, chiese se a Tangeri vi fosse ancora qualcuno vissuto lì verso la fine degli anni '50, inizio degli anni '60. Gli dissero di provare nel ristorante Romero e di chiedere di Mercedes.

Il ristorante era in un giardino incuneato fra due strade che conducevano a una rotonda. Aprì la porta un uomo anziano in giacca bianca e fez con evidenti problemi di respirazione e Javier lo seguì al tavolo. Un cane pechinese si mise ad abbaiare, facendolo sussultare con i suoi latrati penetranti.

Ordinò una bistecca e chiese di Mercedes Romero, e il vecchio indicò una donna anziana, ben pettinata, bionda, che stava facendo un solitario a un tavolino in fondo al ristorante vuoto. Falcón pregò il vecchio di darle un biglietto di presentazione che scrisse su un foglio del taccuino. Il vecchio si allontanò con passo incerto, posò il biglietto davanti a Mercedes, le riferì l'ordinazione e ricevette un po' di soldi per comprare la bistecca.

Mercedes, attraversato lentamente il locale, afferrò il pechinese per la collottola e gli accarezzò la pancia prima di buttarlo sotto un tavolo vuoto. Sedette di fronte a Javier e gli domandò se fosse il figlio di Francisco Falcón. Javier confermò.

«Io non l'ho mai conosciuto personalmente», disse la donna. «E nemmeno Pilar ho conosciuto, ma ero amica di Mercedes, la sua matrigna, signore, che aveva più o meno la mia età. Veniva spesso a pranzo nel ristorante che i miei avevano nel Grand Hôtel Villa de France. Eravamo molto unite e la sua morte per me è stato un dolore terribile.»

«Non l'ho mai definita matrigna», disse Falcón, «l'ho sempre chiamata la mia seconda madre. Anche noi eravamo molto uniti.»

«Sì, mi diceva sempre che la considerava un vero figlio. Quanto avrebbe voluto che seguisse le orme di suo padre! Sperava che lei potesse diventare un artista anche più grande di lui.»

«Avevo appena otto anni a quel tempo.»

«Allora quello non lo ricorda?», chiese la donna, accennando a qualcosa alle spalle di Javier.

In una semplice cornice nera sulla parete Falcón vide il disegno di una donna. Sotto si leggeva: «Mercedes».

«No, non lo ricordo.»

«L'ha disegnato lei nell'estate del 1963. Mercedes me lo aveva dato come regalo di Natale. Raffigura la sua seconda madre, naturalmente, non sono io quella. Le chiesi perché lo avesse dato a me e lei mi rispose in maniera stranissima: 'Perché con te sarà al sicuro'.»

A Falcón salirono le lacrime agli occhi, ma aveva rinunciato ormai a controllare le emozioni.

«È annegata», disse. «Rammento ancora la sera in cui è uscita per non tornare più. Il corpo non è mai stato ritrovato e credo che non rivederla abbia reso la perdita ancora più dura per me. Avevo visto mia madre nella bara…»

«Dov'è ora suo padre?»

«È morto due anni fa.»

«Forse ricorda qualcun altro di quel periodo… l'agente di suo padre, Ramón Salgado?»

Falcón annuì con forza e le raccontò che Salgado era stato appena assassinato e che lui era un investigatore della polizia. Le rivelò la ragione della sua presenza a Tangeri, mentre il vecchio ritornava malfermo sulle gambe con la bistecca e l'insalata, sulle quali alitò pesantemente mentre serviva.

«Se a quel tempo fosse stato un investigatore, forse avrebbe potuto indagare sulla morte di Mercedes con uno sguardo un po' più acuto di quello della polizia di qui.»

«Che intende dire, signora Romero?» domandò Falcón in tono sommesso.

«Non dovrei parlare male dei morti, ma Mercedes era mia amica e io ho sofferto molto per la sua perdita, specialmente così, in una disgrazia sul mare. Aveva trascorso moltissimo tempo sul mare, Mercedes. Suo marito, Milton, possedeva uno yacht, lei aveva attraversato più volte l'Atlantico, era un'esperta e possedeva quello che si dice un autentico 'piede marino'. Non commetteva errori. Dissero che quella sera il mare era ingrossato per via di una burrasca nello stretto, ma io posso assicurarle che non era nulla a paragone delle tempeste che Mercedes aveva affrontato nell'Atlantico. Dissero che era caduta fuori bordo, ma io per prima non l'ho mai creduto, come non ho creduto a quello che si diceva allora su come fosse stato sbadato suo padre a perdere due mogli. Quel genere di pettegolezzi mi disgustava. Ma sia suo padre sia Ramón Salgado avrebbero dovuto perlomeno essere obbligati a render conto delle loro azioni in un'inchiesta ufficiale.»

Falcón si alzò da tavola, la bistecca intatta nel piatto, e uscì dal ristorante. Non aveva nessuna intenzione di stare ad ascoltare discorsi del genere. Ecco che cosa voleva dire essere famosi, la gente godeva nel fare supposizioni a spese delle persone celebri. D'accordo. Ma lui non si sarebbe prestato a quel gioco. Tornò a piedi direttamente all'hotel Rembrandt, salì subito nella camera 422, si buttò sul letto, si mise il guanciale sulle orecchie e serrò le palpebre.