Si svegliò con il buio. Un forte temporale stava infuriando sullo stretto e sulla Spagna, i lampi saettavano per centinaia di chilometri illuminando le grandi nubi ammassate che ribollivano nel cielo notturno. Fuori piovigginava. Trovò un ristorante e ordinò stufato d'agnello, annaffiandolo con una bottiglia di Cabernet Président. Ritornò barcollante all'albergo e crollò sul letto, risvegliandosi in seguito in un bagno di sudore, completamente vestito. Si spogliò e tornò a letto. La pioggia investiva a raffiche i vetri della finestra.
Il venerdì mattina si annunciò tetro e bagnato. Falcón aveva un'altra ricerca da svolgere, vana come le altre probabilmente. Pagò il conto dell'albergo e prese un grand taxi per Tetuán, ma un guasto al motore gli permise di arrivare a destinazione solo nel tardo pomeriggio. Compì un rapido giro della comunità spagnola, cercando di trovare qualcuno che avesse potuto conoscere la famiglia González, proprietaria di un albergo negli anni '20.
Alle sette aveva già perso la sua guida nella medina e stava vagando senza scopo nei vicoli dietro carretti carichi di menta fresca quando, in una via stretta, si imbatté in uno spettacolo che lo lasciò totalmente paralizzato dal panico.
Un uomo con un carro di bidoni d'acciaio stava versando il latte nei recipienti ricavati da zucche dove le donne locali facevano lo yogurt. Il getto di liquido bianco gli provocò un attacco di nausea. La calma piatta e candida dei recipienti lo costrinse a voltarsi e a fuggire correndo finché si ritrovò fuori della medina.
Rinunciò a cercare qualcuno che potesse spiegargli «l'incidente» dei diari di suo padre. Trovò un albergo economico e bevve birra mangiando albóndigas in mezzo a una folla di marocchini sotto una coltre di fumo di sigarette. Si unì alle conversazioni poco impegnative per non farsi riprendere da pensieri di disperazione.
Quella notte lo svegliò un incubo, un incubo terribile, per uscire dal quale dovette camminare avanti e indietro a lungo nella piccola stanza. Aveva sognato il nulla, un biancore terribile, un vuoto amorfo, divorante che non conteneva né ricordi, né passato, né presente, né futuro. Era la fine del tempo e pareva reclamare lui.
ESTRATTI DAI DIARI DI FRANCISCO FALCÓN
12 gennaio 1958, Tangeri
Torno presto a casa per portare fuori Javier e festeggiare il suo secondo compleanno, ma P. e lui non ci sono. Gli altri bambini sono a scuola, a casa c'è soltanto la cameriera, la donna del Rif col suo impenetrabile dialetto berbero che solo P. riesce a capire. Sono furibondo e tornato allo studio dipingo una tela con terribili pennellate di rosso, come se mi stessi aprendo un varco tra i ranghi del nemico. Il risultato è un lavoro di un'energia terrificante, di una spaventosa violenza quale ho conosciuto solo sul campo di battaglia. Lo brucio e mentre guardo le falci rosse consumate dalle fiamme provo quasi un piacere sessuale.
15 luglio 1958, Tangeri
R. è comparso nello studio (non c'era mai stato). G. è di nuovo incinta e lui è in uno stato terribile. Si aspetta i miei rimproveri. Io non dico nulla e R. mi definisce un vero amico. Il dottore gliene ha dette di tutti i colori. Non fa che ripetermi che è stato un incidente, a tal punto che smetto di credergli. «Questa volta la perdo», dice, e io capisco la passione che ha per lei, la passione che io avevo per P. e che ora ho per Javier. Sono commosso e cerco di calmarlo. Sua moglie dovrà restare a letto per tutta la durata della gravidanza, dice, e per la prima volta intuisco che c'è dell'altro in gioco. Sembra spaventato all'idea che non possa essere spostata di lì e quando cerco di sapere di più improvvisamente mi dice: «Dovremmo andarcene tutti e tornare in Spagna». Credo che abbia un problema d'affari, ma non si lascia convincere a parlarne.
25 settembre 1958, Tangeri
Sono stato un ingenuo, avrei dovuto capire che R., se negli affari può comportarsi con durezza e intelligenza, nelle cose di cuore è come un bambino, incapace di essere obiettivo e vittima delle sue passioni, pulsioni ancora giovanili. Ora so perché non voleva parlarmi. Si vergognava. Sembra assurdo, vivendo a Tangeri dove le orge dell'antica Roma appaiono compassate come un tè inglese, che un uomo adulto possa ancora vergognarsi. R. è un'isola di virtù in un mare di svergognatezza. Non si è mai divertito con i giovanetti locali e l'idea lo scandalizza, la definisce una cosa «contro natura». Da quando ha conosciuto G, per quanto ne so, non ha mai trasgredito, nemmeno con una prostituta prima che si sposassero. Al pensiero della frenesia della loro notte di nozze mi si indeboliscono le ginocchia.
Le rivelazioni di R. mi impressionano davvero e a lui costa visibilmente parlarne. Siamo sulla veranda dello studio e, quando non si tiene la testa tra le mani confessandosi con me (che comincio a sentirmi un grasso prelato corrotto), passeggia da un lato all'altro e si guarda intorno per paura che qualcuno nelle vicinanze possa aver sentito. R, ora trentacinquenne, ha trasgredito in un modo irresponsabile e spettacolare. Mi accorgo di aver quasi scherzato su questo, ma ciò che R. ha fatto è grave. Non sono sicuro che i marocchini con i quali fa affari non abbiano una parte di colpa. Noi europei e gli americani in particolare siamo impressionati dai punti forti, ci piace vederli esposti, specialmente negli affari. Il marocchino, al contrario, e forse l'africano in generale, non è tanto interessato ai punti forti, che sono palesi, quanto a quelli deboli, che sono nascosti. È triste che la virtù sia vista come una debolezza… ma è poi virtù? Sono sempre stato turbato dalla passione di R. per G. quando era ancora una ragazzina. È ricaduto nella stessa situazione. Ha visto una delle figlie più piccole di un suo socio in affari a Fez. La ragazza era a viso scoperto, perciò forse non aveva più di dodici anni. L'interesse di R. è stato notato, la ragazza è stata resa disponibile, R. ha trasgredito e ora è in gioco la cosa forse più seria nella società marocchina: l'onore. Ci si aspetta che R. sposi la ragazza. Questo è impossibile. Ed ecco lo scontro culturale e la ragione del tormento di R. Esiste una soluzione: lasciare il paese. Perderà tutto quanto ha investito nel progetto marocchino, e cioè 25.000 dollari. Ma G. non può muoversi e R. non può sradicare tutti i suoi senza fare qualche rivelazione spiacevole. Teme che la sua famiglia sia in pericolo ora che la Zona Internazionale non esiste più. Quale pericolo? R. lascia la rivelazione finale all'ultimo momento. La ragazza araba è incinta. R. teme che se lascia Tangeri i marocchini si possano vendicare sui suoi cari.
7 ottobre 1958, Tangeri
Come misura di sicurezza R. ha affittato una casa quasi di fronte alla sua dove abbiamo installato quattro legionari. È sottoposto a una grande pressione e sta cercando di prendere tempo continuando a investire soldi nel progetto marocchino. Gli costa migliaia di dollari, ma è disposto a rimetterci qualsiasi somma. P. è stata a trovare G., e ha detto che non si può spostare, non parliamo poi di affrontare una traversata d'inverno.
14 dicembre 1958, Tangeri
La pressione è stata troppo grande e la salute di R. ne ha sofferto: si è preso un'infezione polmonare. Gli ho detto che dovrebbe partire non appena guarito, cosa che ha fatto ieri portando con sé Marta, la sua bambina di sei anni (che ha sofferto nel parto ed è un po' ritardata). R. ha fatto tutto il possibile, ha corrotto l'intera Tangeri. Non so quanto siano consistenti le sue risorse, ma devono essere considerevoli, visto che ha investito con i marocchini quasi 40.000 dollari. Ha trovato non so quale scusa per convincerli che deve tornare in Spagna e che possono fidarsi, lui è un uomo d'onore. Preferirei saperne di più di quella gente, ma R. non vuole assolutamente coinvolgermi in quell'aspetto dei suoi affari e io non ho idea se siano farabutti che hanno visto la possibilità di mungere un europeo vulnerabile o tradizionalisti genuini, attaccati a qualche loro antico codice di comportamento o costume. R. dice che non capiscono come non possa semplicemente divorziare da G. Nella loro cultura non hanno che da ripetere tre volte le parole di rito ed è fatta.