Batté il dito sul cartoncino dove era scritta la lezione di vista. L'allusione al genio gli ricordò le parole che sua madre aveva usato quando Manuela le aveva chiesto che cosa contenesse l'urna di argilla. Tracce di ricordi premettero contro la membrana della sua coscienza, ma nulla filtrò. Spinse via il cartoncino e aprì il secondo pacchetto, che conteneva una serie di fotocopie. Dalla grafia capì che si trattava dei diari di suo padre.
7 luglio 1962, Tangeri
Ho quasi perso ogni traccia di Salgado da quando siamo tornati da N. Y., ma proprio mentre quel pensiero galleggia sulla calma piatta del mio orizzonte, arriva un ragazzo con un suo biglietto scritto sulla carta dell'hotel Rembrandt: mi prega di andare subito da lui nella camera 321, da solo. Il biglietto non mi sorprende gran che, non abbiamo il telefono qui. Soltanto mentre percorro il boulevard Pasteur comincio a essere inquieto. Che cosa può essere successo di tanto importante da fargli pensare di potermi disturbare nelle mie ore di lavoro? Sono perplesso e turbato. L'ascensore dell'hotel Rembrandt, pur avendo solo pochi anni, è uno di quegli arnesi sobbalzanti che ti fanno temere che il cavo si spezzi da un momento all'altro. Arrivo alla porta della camera 321 in preda a cupi presagi. Tra la porta principale e quella della stanza c'è un breve corridoio, una di quelle strutture moderne che lasciano perplessi, ma che sembrano fatte apposta per questo genere di occasioni. Significa che Salgado può tirarmi dentro e spiegarmi la gravità della situazione senza l'impatto immediato con l'orrore della cosa.
Versione breve: c'è un ragazzo morto nella stanza.
Salgado mi dice che è morto accidentalmente.
«Accidentalmente?» ripeto.
«È caduto e ha battuto la testa. Deve averla battuta in un punto brutto, ma comunque è certamente morto.»
«Come ha fatto a cadere?»
«È inciampato mentre andava in bagno… ma io l'ho rimesso sul letto.»
«Allora perché non chiamiamo la polizia e non spieghiamo come sono andate le cose?»
Silenzio da parte di Salgado.
«Vuoi che gli dia un'occhiata?» domando, ma non aspetto la risposta ed entro nella camera dove vedo un ragazzo nudo in un viluppo di lenzuola, un braccio penzoloni, la lingua che sporge dalla bocca e gli occhi fuori dalle orbite. Ci sono escoriazioni sulla gola.
«Non credo che abbia battuto la testa. Non è vero, Ramón?»
«È stata una disgrazia.»
«Non capisco come tu abbia fatto a strangolare qualcuno accidentalmente, Ramón.»
«Stavo cercando di fargli riprendere conoscenza.»
Ci guardiamo e Ramón all'improvviso si gira e comincia a battere la testa contro il muro, intonando qualcosa che a me sembra in lingua basca. Lo faccio sedere e gli chiedo di dirmi che cosa sia successo, ma lui si preme i pugni sulle tempie e continua a ripetere che è stata una disgrazia. Gli dico che chiamerò il capo della polizia e che potrà raccontare a lui quello che ha raccontato a me, con il ragazzo sul letto, sodomizzato e strangolato. Si alza e comincia a camminare avanti e indietro a grandi passi, gesticolando e declamando chissà che in quella lingua strana. Gli do uno schiaffo e lui si trasforma in una creatura patetica accovacciata sul pavimento, piangente, le spalle da uccello scosse dai singhiozzi. Un altro ceffone lo fa girare verso di me.
«Dimmi che cosa è successo», gli ordino. «Non sono il tuo giudice.»
«L'ho ammazzato», dice.
«Eri innamorato di lui?»
«No, no, no que no!» esclama con enfasi. Con troppa enfasi.
Lo fisso e leggo sulla sua faccia la corruzione, una depravazione così terribile che non riesce ad ammetterla nemmeno con se stesso. Ora so che Ramón Salgado ha ucciso unicamente a causa di ciò che quel ragazzo stava facendo a lui. Salgado è vanesio, con le donne è un grande adulatore, M. e lui si adorano, ha relazioni che non durano mai, è ormai ricco, famoso nel suo piccolo mondo e stimato, ma… gli piace sodomizzare i fanciulli e questo incrina l'immagine aulica che ha di se stesso. Perlomeno così la vedo io. Ha ucciso il ragazzo perché lo costringeva a vedere di sé una cosa per lui odiosa.
Pronuncia le fatali parole: «Non potevo affrontare uno scandalo».
Non lo disprezzo, nemmeno per questo. Chi sono io per poter disprezzare qualcuno? Mi siedo ai piedi del ragazzo e accendo una sigaretta a Salgado.
«Mi aiuterai?» mi domanda.
Gli racconto una storia che ho sentito da un amico di B.H. negli anni '40, su un ricco invertito che aveva rimorchiato un gruppetto di militari in un noto bar per omosessuali di Manhattan e li aveva portati a una festa in casa di sua madre sulla Quinta Strada. Erano tutti ubriachi e uno dei soldati aveva perso i sensi. Allora gli avevano sfilato i pantaloni, per scherzo avevano cominciato a radergli i peli del pube e accidentalmente, sottolineo accidentalmente, gli avevano mozzato il pene. Che cosa fanno a questo punto? (Salgado mi guarda come Javier quando gli racconto una storia prima di dormire, rannicchiato e con gli occhi sgranati.) Lo avvolgono in una coperta e lo scaricano su non so quale ponte. Il soldato era stato fortunato, perché lo aveva trovato un poliziotto che lo aveva trasportato all'ospedale prima che morisse dissanguato.
«Che cosa ne concludi, Ramón?» domando.
Batte le palpebre, disperato all'idea di dare la risposta sbagliata ed essere mandato fuori dall'aula.
«Se mi aiuterai, Francisco», dice, «non farò mai più una cosa del genere.»
«Che cosa? Uccidere qualcuno?»
«No, no, voglio dire… non andrò mai più con i ragazzi, condurrò una vita esemplare'.»
«Ti aiuterò», gli dico, «ma voglio sapere che cosa ne pensi della mia storia.»
Altro silenzio. È troppo spaventato per pensare.
«Avevano anche pagato il soldato perché non parlasse», aggiungo. «Quanto credi che lo avessero pagato?»
Scuote la testa.
«Duecentomila dollari e si tratta del 1946», dico. «A quel tempo si guadagnava molto di più perdendo il piffero che dipingendo quadri.»
Salgado si precipita in bagno a vomitare. Torna, asciugandosi la bocca.
«Non so come tu possa rimanere così freddo, Francisco.»
«Ho ucciso migliaia di persone, tutte quante non più colpevoli o innocenti di noi due.»
«Ma è stato in guerra1.» obietta lui.
«Sto solo spiegando che quando si sono visti i massacri ai quali ho assistito io, un ragazzo morto in una camera d'albergo non è una cosa tanto terribile. Su, ora dimmi che cosa ne pensi della mia storia.»
«È stata un'azione orribile», dice, aspirando il fumo della sigaretta.
«Peggiore di uccidere un ragazzo?»
«Avrebbe potuto morire, per quel che interessava a loro.»
«Giusto. E che cosa ti dice sulla gente che tu sei così ansioso di impressionare favorevolmente?» domando. «Il colpevole è ancora a piede libero, a proposito, e ancora amico di Barbara Hutton.»
Ramón è troppo stravolto per arrivarci da solo.