«Comprendeva l'ambiguità della natura umana, il bene e il male che convivono in noi…»
«È una scusa, Javier», lo interruppe la voce, «non è questo a renderlo straordinario.»
Il cervello gli sbatteva di qua e di là mentre Javier lottava contro i cavi che lo immobilizzavano.
«Era un dissacratore dell'innocenza», disse.
«Normale.»
«Approfittava della fiducia degli altri.»
«Normale, ma andiamo meglio», commentò l'uomo. «Prova a pensare alla più eccezionale, incomprensibile…»
«Non posso. La mia mente non ragiona così. Forse la tua sì. Tu scovi gli orrori più segreti del prossimo e glieli metti davanti agli occhi. Ecco, trovo che questo sia straordinario.»
«Ritieni mostruoso ciò che ho fatto?»
«Hai ucciso tre persone nel modo più orribile…»
«Non le ho uccise io.»
«Se dici così, vuol dire che sei pazzo e allora io non posso parlare con te.»
«Ramón Salgado si è impiccato pur di non affrontare la sua musica.»
«Aiutare gli altri a suicidarsi ti rende innocente?»
«Raúl Jiménez si è divincolato fino a morire.»
«E l'innocente Eloisa?»
«Oh, probabilmente sono nella fase della rimozione… proprio come te.»
«Già, la colpa di tutto è della società», dichiarò Javier in tono conclusivo.
«Non essere banale. Non sono venuto qui per ascoltare frasi fatte, voglio idee creative.»
«Allora dovrai aiutarmi.»
«Puoi dirmi chi ti vuole o ti ha voluto bene?»
«Mia madre.»
«È vero.»
«La mia seconda madre mi ha voluto bene.»
«Davvero commovente che tu non la chiami madrastra.»
«E, che ti piaccia o no, mio padre mi ha amato. Ci volevamo bene, eravamo molto uniti.»
«Davvero?»
«Me lo ha detto lui. Me lo ha perfino scritto nella lettera che accompagnava i diari.»
Silenzio, mentre gli orizzonti cambiavano nella mente.
«Dimmi della lettera», disse la voce. «Non l'ho vista.»
Javier recitò la lettera parola per parola.
«Interessante davvero. E che cosa hai capito da questo scritto, Javier?»
«Aveva fiducia in me. Aveva fiducia in me più che in mia sorella e in mio fratello.»
«È interessante che ti abbia nominato guardiano e distruttore delle sue opere. Quale pensi fosse il suo stato d'animo mentre ti immaginava intento a leggere la lettera nel ripostiglio, circondato da quei miserevoli tentativi di copiare i dipinti di mio nonno?»
«Tuo nonno?» ripeté Javier, a se stesso, con il sudore che gli colava dall'attaccatura dei capelli sulla faccia.
«Non hai detto quale fosse la data della lettera», riprese la voce. «Quando l'ha scritta?»
«Il giorno prima di morire.»
«Un tempismo straordinario.»
«Aveva già avuto un infarto.»
«E il testamento? In quale data l'aveva scritto?» domandò la voce.
«Tre giorni prima della morte.»
«Suppongo che la coincidenza non sia così straordinaria, no?»
«Che cosa vuoi dire?»
«Dove è stato trovato tuo padre dopo il secondo attacco di cuore?»
«In fondo alle scale.»
«A quel punto doveva già sapere che i diari erano spariti, che rischiava di essere scoperto, che rischiava la fine del suo universo», spiegò l'uomo. «Niente di più facile che gettarsi giù sul duro marmo e lasciare tutto quanto nelle mani del suo figlio preferito.»
Javier fu costretto a tacere. Rimase immobile, la pressione sempre più forte nella sua mente, il pavimento della memoria cigolante sotto un peso vecchio di decenni.
«Così funziona la coscienza. È un processo lento. Dare la scalata alle mura imprendibili della rimozione è faticoso», disse la voce. «Ma non possiamo concederci il lusso del tempo. Dimmi, perché pensi che tuo padre volesse farti leggere quei diari?»
«Non voleva. La lettera è chiara a questo proposito.»
«Quale proposito?» La voce era tagliente. «Pensi sul serio si aspettasse che tu, un investigatore, gettassi via quella lettera e continuassi la tua esistenza come se niente fosse?»
«Perché no?»
«Senti, Javier, lo dirò io al tuo posto. La lettera ti dice di leggere quei diari. E perché voleva che li leggessi?»
«Perché… perché potessi condividere il dolore della sua vita tormentata?»
«Che cos'è, la battuta di un film? Qualcosa di carino e sentimentale stile Hollywood, forse?» disse la voce. «Non tollero certa roba qui, Javier. Ora dimmi perché — mi sembra di essere tuo padre con Salgado in questo momento — dimmi perché voleva che tu leggessi quei diari.»
«Perché potessi imparare a odiarlo?»
«Come sei patetico, Javier! Perché avrebbe lodato tanto le tue capacità di investigatore e ti avrebbe detto che ti sarebbero state utili per ritrovare il diario mancante?»
Javier lottò duramente contro l'idea che gli si era appena affacciata alla mente. E continuò a opporvi resistenza. Non gli era rimasto altro. Era una delle poche cose che lo avevano sostenuto. L'amore di suo padre durato quarantatré anni. Perfino all'amore di un mostro era difficile rinunciare.
«Un piccolo aiuto per te, Javier. Non lo leggerò tutto… solo i punti pertinenti. Sei pronto?»
7 aprile 1963, N.Y.
Durante il viaggio per N. Y,, Salgado propone che prima della mostra dell'ultimo nudo Falcón io pubblichi i miei diari. Per poco non soffoco dalle risate. Che fantastica soluzione finale sarebbe! Rido fino a farmi venire il singhiozzo. È stata Mercedes a mettergli una simile idea in testa. Li ho visti abbozzare i loro piani e M. mi ha seccato più di una volta aggirandosi intorno a me mentre buttavo giù i miei dissenterici appunti. (Ha un paio di sandali dorati molto morbidi e silenziosi: dovrò spargere qua e là gusci di noce per coglierla sul fatto.) Rispondo a Salgado con un enfatico «no» che riaccende il suo interesse.
31 dicembre 1963, Tangeri
Sono stato sbadato e tutto è cambiato ormai. M. e io eravamo nello studio ieri, i bambini erano in strada, così smaniosi di giocare da non aspettare di essere sulla sabbia morbida della spiaggia. Javier, cercando disperatamente di stare alla pari con i fratelli, è caduto e ha battuto la testa. Si è riempito il viso di sangue. Mi sono precipitato fuori, l'ho buttato dentro la macchina e l'ho trasportato immediatamente all'ospedale dove gli hanno dato qualche punto. Quando sono tornato allo studio, ho capito che era tutto cambiato.
Che cosa è cambiato? Continuiamo a essere marito e moglie, continuiamo a vivere nella stessa casa, stasera daremo comunque la festa di capodanno.
Al mio ritorno dall'ospedale M. non mi ha chiesto subito di Javier, rimasto a casa con la domestica. Era sulla veranda e mi guardava come se io fossi un lupo solitario su una distesa di ghiaccio. Mi sono avvicinato, le ho detto di Javier, mi sembrava di recitare. Lei mi ha girato attorno ed è rientrata nella stanza. Le ho detto che Javier era a casa e che voleva vederla. Si è praticamente precipitata verso la porta. In macchina non abbiamo aperto bocca, mentre Paco e Manuela bisticciavano sul sedile posteriore. M. è salita di sopra e io sono andato nella stanza che un tempo era il mio studio.
Sono ancora qui, ventiquatt'ore dopo, a guardare la sua ombra sul soffitto della camera di Javier. È già buio, tra poche ore gli ospiti saranno qui per la cena, poi andremo in barca a guardare i fuochi d'artificio nel porto. Sono quasi paralizzato dalla tristezza. Osservo la sua ombra, più grande ora, perché tiene in braccio Javier. Si avvicinano alla finestra e guardano il patio oscuro e il nero d'inchiostro del fico. Ho le lacrime agli occhi perché so che sta dicendo addio a Javier, che sarà mia moglie per la festa di questa sera e poi mai più. Se ne andrà e andandosene mi tradirà. Ora vado in camera mia a mettermi lo smoking.