«E come si chiamerebbe questo tuo progetto?»
«Anche questo è una novità. Il titolo è in continua evoluzione, si tratta di tre parole inglesi che possono essere disposte in qualsiasi ordine, usando qualsiasi preposizione nel mezzo. Le parole sono: Art. Real. Killing. Arte. Vero. Uccidere. Perciò potrebbe essere Real Art of Killing o forse Killing Real Art, vera arte di uccidere o uccidere la vera arte.»
«O Art of Real Killing. Arte del vero uccidere.»
«Sapevo che avresti capito subito.»
«E dove verrebbe esposto il progetto?»
«Oh, questa parte non mi riguarda veramente», rispose Julio. «Sarà in tutti i mezzi di comunicazione, naturalmente, ma… be', avrai certamente sentito parlare di persone che hanno dedicato la vita, per esempio, alla letteratura. Questo progetto è un'estensione di tal genere di attività. Credo che probabilmente insisterà per apparire solo postumo.»
«Comincia dal principio», disse Falcón, «sono abbastanza convenzionale in certe cose.»
«Come ora sai, Tariq Chefchaouni era mio nonno, mia madre era la sua unica figlia, che sposò uno spagnolo di Ceuta. Il gene della sua arte ha saltato una generazione, ma è arrivato a me. Dopo il mio primo anno qui alle Bellas Artes, mia madre e io andammo a trovare la famiglia a Tangeri. Chiesi di vedere le opere del nonno, ma seppi che era andato tutto distrutto nell'incendio che lo aveva ucciso, a parte pochi effetti personali e qualche libro. Solo un paio di anni dopo chiamarono per dirmi che avevano trovato, nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione, una piccola cassetta di peltro sotto il pavimento della sua stanza.
«Io ero qui, a Siviglia, studiavo arte, e conoscevo benissimo i nudi Falcón, perché al secondo o terzo anno avevo fatto una ricerca su quei dipinti. In effetti anche prima di venire a Siviglia ero ossessionato da quei nudi e quando venni a sapere che tuo padre viveva qui, lo incontrai un paio di volte, per farmi spiegare qualche particolare tecnico che non avevo capito. Naturalmente lui mi conosceva solo come Julio Menéndez. Fu molto… affabile. Simpatizzammo. Mi disse che avrei potuto chiamarlo, se avessi avuto bisogno di chiarire qualche altro particolare. Così, quando fui tornato a Tangeri ed ebbi aperto questa cassetta, mi affascinò enormemente scoprire che, a quanto pareva, anche mio nonno aveva avuto la mia stessa ossessione… se non che, come avrebbe potuto? Era già morto quando erano stati dipinti i nudi Falcón.»
A questo punto Julio aprì la cassetta e tirò fuori quattro piccole tele delle dimensioni di una cartolina. Le porse l'una dopo l'altra a Falcón. Erano riproduzioni perfette dei quattro nudi famosi.
«Non si possono vedere bene senza lente di ingrandimento e una buona luce, ma ti assicuro che sono perfette… ogni pennellata è l'esatta miniatura del suo originale. Ora guarda sul retro.»
Girò le piccole tele: ognuna di esse era dedicata a Pilar, seguita dalle date maggio 1955, giugno 1956, gennaio 1958 e agosto 1959.
«Nella cassetta ho trovato un'altra cosa, che non ho più.»
«L'anello d'argento con lo zaffiro», disse Javier. «L'anello di mia madre.»
«In un primo momento pensai di mostrare le miniature a tuo padre, ritenendo che le avesse perdute e che, chissà come, fossero finite in mano a mio nonno. Poi ricordai che i nudi Falcón erano stati tutti dipinti nel giro di un anno e che le date non coincidevano con quelle scritte sul retro. Ero confuso.»
«Quando è successo?»
«Fine del 1998, principio del 1999.»
«E quando hai cominciato a pensare che ci fosse sotto qualcosa di più sinistro?»
«Mentre ero a Tangeri tuo padre ebbe un infarto e sul giornale uscì un articolo accompagnato da una sua vecchia foto degli anni '60. Quello era l'uomo, mi disse uno dei miei parenti più anziani, che si era presentato dopo la morte di mio nonno per comprare i suoi pochi disegni rimasti.
«Tornai a Siviglia e alle Bellas Artes seppi che ospitava ancora in casa gli studenti per qualche settimana alla volta. Gli telefonai. Si ricordava di me e io mi offrii di fargli compagnia. Era debole dopo l'infarto e io avevo modo di entrare nello studio quando volevo. Il ripostiglio era chiuso a chiave, ma non impiegai molto tempo per aprire la porta. E là trovai la conferma che mi serviva, grazie alla stupefacente mediocrità dei suoi tentativi di riprodurre le opere di mio nonno, conferma che ebbi anche dai diari. Li lessi tutti e quando ebbi finito rubai quello più importante e me ne andai. Non tornai più. Non gli parlai più. Ero folle di rabbia. Avrei pubblicato il diario e avrei rivelato al mondo il vero Francisco Falcón… ma tuo padre morì.»
«Perché non hai pubblicato ugualmente il diario?»
«Mi ero reso conto che la storia mi sarebbe stata tolta dalle mani e io volevo averne il controllo», rispose Julio.
«Ma deve essere accaduto dell'altro.»
«Perché?»
«Perché tu ne facessi il tuo progetto.»
«Non è successo niente, questa è la natura del processo creativo. Un giorno ho deciso che sarebbe stato interessante sapere tutto di Raúl Jiménez e di Ramón Salgado, scoprire che cosa fossero diventati. Perciò cominciai a girare La Familia Jiménez e tutto scaturì da quello.»
«E Marta?»
«È straordinario come certe cose, quando si comincia a lavorarci su, ti trovino, perché non sei tu a trovarle in realtà. Sapevo, grazie ai diari, che viveva a Ciempozuelos e mi interessava molto vederla, sapere qualcosa di lei, ma non potevo farlo senza attirare l'attenzione su di me. Allora io lavoravo come freelance per gli effetti speciali al computer per una casa di produzione di Madrid e uno dei registi, un giorno, mi propose di fare del volontariato in un istituto per malati mentali a Ciempozuelos, per un esperimento di terapia artistica. Accettai subito. Marta, però, non faceva parte dei pazienti coinvolti nell'esperimento. Dovevo ancora trovarla.»
«È stato allora che hai fatto amicizia con Ahmed?»
«Quando ho visto il bauletto di metallo sotto il letto ho capito che dovevo assolutamente scoprire che cosa contenesse e Ahmed era la mia unica possibilità. Sono bravo nel fare amicizia con le persone, specialmente con quelle come Ahmed… Capisci, forasteros, come me.»
«Come Eloisa.»
«Sì», confermò Julio tranquillamente. «Ahmed mi ha mostrato la cartella di Marta e quando ho letto la lettera dello psicoanalista di José Manuel Jiménez, ho capito di avere un progetto.»
«E come ti è venuta l'idea di uccidere?»
«Da te, non appena ho scoperto che eri l'Inspector Jefe del Grupo de Homicidios de Sevilla», rispose Julio. «Il fatto che fosse proprio il figlio di Francisco Falcón a indagare sui delitti di suo padre mi è sembrata un'occasione da non perdere assolutamente. Conferiva un senso particolare a tutto il progetto.»
«Non è stata una decisione razionale.»
«Gli artisti non hanno una mente razionale. Come si può pensare che io turbi la mente degli altri, se la mia è una calma piatta?»
«Uccidere non è arte.»
«Hai dimenticato la parola 'vero'», disse Julio, in piedi ora, le pupille all'improvviso di un nero massiccio e scintillante, non interessate all'esterno, ma all'interno. «Avresti dovuto dire il Vero Uccidere non è Arte oppure… oppure… Uccidere non è Vera Arte.»
«Siediti, Julio. Stai seduto un momento… non abbiamo finito», disse Javier.
«Sai, il problema è…», riprese il giovane, «il problema è che… che vedo le cose con troppa chiarezza ora, mi sembra di non riuscire a ridimensionare la mia capacità di visione. Una volta che si è ucciso qualcuno, tutto diventa così reale… è insopportabile. Lo sapevi questo, zio, lo sapevi questo?»