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«Hai ragione, io sono tuo zio», disse Javier, cercando di non far perdere il controllo a Julio. «E questo lo so.»

«È la ragione per cui non ti ho ammazzato. Ho solo cercato di farti del bene, di salvarti dalla tua cecità.»

«Sì, è così, ora lo capisco e te ne sono grato», disse Javier. «Solo un'ultima cosa vorrei sapere da te.»

«È stato detto tutto, tutto fatto e scritto e filmato… rimane una cosa soltanto ormai», lo interruppe Julio.

Si portò alle spalle di Falcón, fece ruotare la sedia in modo che Javier si trovasse di fronte alla parete opposta. Sulla scrivania erano posati il bicchiere di latte di mandorle, il diario rilegato in pelle e la pistola di ordinanza. Julio prese un coltello e tagliò il cavo che legava alla sedia la destra di Falcón.

«Ora devo andare», disse, buttando il coltello sulla scrivania. «Sai che cosa devi fare. Non dovresti essere costretto a sopportare più di quanto hai già sopportato.»

I loro sguardi si incontrarono, poi ritornarono alla pistola posata sopra il diario, accanto al bicchiere: ricordo di ciò che aveva fatto e di ciò che aveva perduto.

«Lì sta la tua soluzione», disse Julio. «L'unico modo di chiudere la partita e di lasciarsi tutto definitivamente alle spalle.»

Il sudore bagnò le mani di Falcón, gli colò sulla fronte. Possibile che avesse ancora tanti liquidi nel corpo? Prese la pistola: era carica. Tolse la sicura con il pollice, contemplò l'arma, poi la rivolse lentamente contro se stesso. In quel momento il suicidio non mancava di attrattive per lui, era la soluzione più semplice di fronte a quel nulla improvviso che gli si era spalancato davanti, il passato scomparso, il futuro fragile e incerto. L'amore di suo padre… mai esistito. Solo odio, odio che lui, Javier, aveva alimentato… unicamente vivendo. E poi, chi era adesso? Era forse ancora Javier Falcón? I fili che lo tenevano insieme erano il rimorso e il dolore; tirando l'uno o l'altro, sarebbe andato in pezzi. Ed ecco che tutto avrebbe potuto finire, essere superato. Una piccola pressione sul grilletto e il serbatoio della sofferenza sarebbe saltato in aria.

All'improvviso un muro nella memoria crollò e dalla breccia, nell'intrico della sua mente, in luogo di un'ulteriore sofferenza si affacciò il ricordo del bacio di sua madre, il bacio che lo aveva segnato con il suo amore per sempre. E, sotto la pressione delle labbra di lei, Javier seppe chi era, ritrovò il bambino che era stato per lei. E qualcosa, una parte di quel vasto nodo, si sciolse in lui; all'improvviso fu in grado di vedere chiare linee di pensiero che, pur non prive di complessità, erano perlomeno concepibili.

Una delle pressioni che lo schiacciavano si era allentata. Lui non apparteneva all'uomo che aveva conosciuto come suo padre, eppure… c'era sempre stato qualcosa, loro due erano uniti in modo inestricabile, ma… ma che cosa? Era davvero così semplicistico come aveva detto Julio? Javier era stato davvero un costante promemoria per suo padre di tutti i suoi fallimenti? Era stato davvero l'emblema dell'odio? Oppure l'atto finale di suo padre era ambiguo come tutte le azioni umane? Le nostre costanti esigenze ci rendono deboli, le avversità ci conducono lungo sentieri infidi ad atti indegni e spregevoli, ma esiste sempre il polo di attrazione del legame originario. Raúl con Arturo. Ramón con Carmen. Francisco Falcón con Javier.

Suo padre, mettendogli in mano quei diari, non avrebbe potuto volergli dire: «Ora mi conosci veramente, sentiti libero di odiare me e assolvere te stesso»?

Javier si girò. Julio era ancora in piedi sulla soglia, in attesa. Tremante, Javier tese il braccio e puntò l'arma contro il viso di Julio, la cui bellezza superficiale era scomparsa, lasciando solo i lineamenti distorti dalla follia.

«Vieni qui», ordinò Javier con un tono non privo di gentilezza, e Julio ubbidì.

Si avvicinò, anzi, finché la canna della pistola lo sfiorò tra gli occhi.

«Non ho intenzione di ucciderti», dichiarò Falcón, che aveva il polso sinistro ancora legato alla sedia.

Accadde tutto in un attimo. Prima che Falcón potesse cercare parole capaci di penetrare nella mente sconvolta che gli stava di fronte, le mani del ragazzo scattarono, una afferrò il polso di Javier, l'altra premette il dito sul grilletto e il fragore assordante dello sparo riempì la stanza e il patio, rimbombando nella casa deserta.

Julio fu proiettato all'indietro e piombò nel patio, frantumando i vetri della porta. Il sangue si allargò sulle lastre di marmo verso il cerchio di pietra della fontana.

Alle undici di sera le operazioni del levantamiento del cadaver erano terminate e il Juez de Guardia, che non era Esteban Calderón, aveva lasciato la casa. Ramírez aveva terminato di raccogliere la deposizione preliminare di Falcón alla presenza del Comisario Lobo, mentre tutti gli elementi di prova venivano portati via.

Alle undici e mezzo Lobo stava accompagnando Javier all'ospedale per fargli medicare la palpebra. Lobo gli raccontò come aveva fatto a determinare le dimissioni del Comisario León. Javier non reagì.

«Sa», riprese Lobo entrando nel parcheggio dell'ospedale, «su questo caso l'attenzione dei media sarà molto grande, specialmente a causa… dell'imprevisto coinvolgimento di suo padre.»

«Era questa l'intenzione di Julio», disse Javier, «voleva la massima visibilità, la più impressionante… come tutti gli artisti. La cosa non è più nelle mie mani. Io mi limiterò a…»

«Be', spero… credo di poterla aiutare a controllarla.»

Javier inarcò un sopracciglio con aria interrogativa.

«Dovremmo affidare la storia a un solo giornalista», spiegò Lobo. «In questo modo lei potrebbe far pubblicare immediatamente la sua versione dei fatti, prima che la cosa le venga strappata di mano e trasformata in un'orrenda storia di fantasia.»

«Non temo affatto una cosa del genere, commissario, unicamente perché non penso che vi sia un redattore capace di immaginare qualcosa di più orrendo del fatto che mio padre sia stato un bruto, un pirata, un ladro, un impostore per due volte uxoricida.»

«Perlomeno, in questo modo, la prima versione della storia si avvicinerà il più possibile alla verità. Credo sia sempre meglio che la prima impressione…»

«Forse lei si è già messo d'accordo con un giornalista, commissario», disse Javier.

Silenzio. Lobo si offrì di entrare con lui nel pronto soccorso, ma Javier non volle.

All'ospedale restò seduto sotto la vivida luce al neon della sua nuova vita mentre gli mettevano due punti di seta nella palpebra. La sua mente si ritrasse di fronte alla luce potente e lui chiuse gli occhi mentre i pensieri gli si contorcevano nella testa. Come avrebbero reagito Manuela e Paco all'assalto dei media? Che cosa avrebbe detto ai suoi fratelli? Vostro padre… ma non il mio, era un mostro? Manuela si sarebbe liberata subito da quel pensiero oppure tutta la cosa sarebbe semplicemente rimbalzata via da lei, Manuela non l'avrebbe fatta entrare in sé. Ma Paco… Suo padre lo aveva salvato dopo l'incidente con il toro, gli aveva donato la finca, lo aveva avviato alla sua nuova vita. Il rigetto non sarebbe stato facile per Paco. E Javier fu sollevato scoprendo che il legame esisteva ancora, che ciò non avrebbe cambiato niente per lui.

«Le faccio male?» domandò il medico.

«No.»

«Infermiera, asciughi le lacrime.»

A mezzanotte lasciava l'ospedale, con la camicia ancora sporca di sangue. Prese un taxi per tornare a casa. Si fermò al centro del patio contemplando la statua di bronzo che emergeva dalla fontana. Sempre in movimento, quel ragazzo. Salì nello studio di suo padre e la nera pupilla della fontana lo seguì per tutta la galleria. Entrò nel ripostiglio e portò fuori tutti i tentativi di suo padre di copiare i lavori di Chefchaouni e le cinque tele che avevano formato l'osceno dipinto che raffigurava sua madre. Buttò tutto quanto giù nel patio, insieme con la scatola con le banconote e la pornografia. Discese con un bottiglione da cinque litri di alcol e ammucchiò tutto vicino alla fontana, versò l'alcol sulla pira improvvisata e vi gettò un fiammifero acceso. Le fiamme presero vita e una luce itterica tremolò nel patio silenzioso.