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Andò nel suo studio dove la cassetta di peltro era ancora posata sulla scrivania, prese le cinque preziosissime miniature e le dispose l'una accanto all'altra. L'opera di suo padre. Del suo vero padre. Per un istante fu di nuovo sollevato in aria e guardò giù, verso il volto che non aveva mai ricordato e che ora vedeva per la prima volta.

Dopo la doccia, indossò una camicia pulita. Non aveva voglia di andare a letto o di stare in casa. All'improvviso sentiva il bisogno di vedere gente, anche persone che non conosceva… soprattutto persone che non conosceva. Uscendo nel buio della notte, fu attirato dalle luci lungo il fiume, nero e coriaceo, e poi da quelle di plaza de Cuba, dove la folla lo trascinò verso la Feria, su per calle Asunción. Si ritrovò davanti all'Edificio Presidente dove era cominciato tutto, un'intera vita prima, e rammentò Consuelo Jiménez, con i suoi occhi audaci. Ammirava il suo coraggio. Non aveva mai vacillato sotto gli assalti continui e, Calderón aveva ragione, la sua era stata una figura centrale. Ricordò la sua proposta per una cena e il rumore dei tacchetti sulle lastre di marmo. Scosse la testa. Troppo presto.

Si voltò ed entrò nella Feria de Abril attraverso l'imponente cancello illuminato in modo sgargiante, in quel mondo surreale dove tutti erano belli e felici. Dove le ragazze ancheggiavano nei trajes de flamenca che le abbracciavano, con i fiori e i pettini di tartaruga nei capelli, mentre i loro uomini si mettevano in posa nei boleri grigi e con i cappelli dalla tesa larga. Camminò, guardandosi intorno affascinato come un bambino sotto le lanterne e le bandiere, passando davanti a padiglioni su padiglioni dove la gente mangiava, beveva fino e ballava, l'aria profumata d'incenso e di allegria: musica, cibo e tabacco. Sotto i soffitti di tela le donne muovevano le braccia flessuose al di sopra della testa, gli uomini dritti nella persona, il mento rialzato, le spalle atteggiate al modo dei toreri.

Camminò tra la gente che sorrideva, rideva, come se fosse drogata. Possibile che fossero tanti e tanto contenti? Pareva che in quella piccola galassia fosse lui l'unico essere umano ad avere un filo diretto con l'infelicità, l'unico che avesse ricordi e sensi di colpa, disperazione e paura. Sarebbe mai riuscito ad avere una vita completa, a strapparsi via dalla vita a metà che aveva vissuto fino a quel momento? Un battimani improvviso lo riportò di colpo al mondo di fantasia della Feria, con il ritmo delle sevillanas che la gente cantava e ballava tutto intorno a lui; e mentre passava davanti a una delle casetas più piccole udì gridare il suo nome.

«Javier! Ehi! Javier!»

Sembrava che la donna piccoletta e rotonda in un traje de flamenca bianco, a grossi pois scarlatti, lo conoscesse. La donna eseguì qualche passo di danza, i piedi di colpo leggeri, le mani come farfalle che volteggiavano in aria, quasi per incoraggiarlo.

«Non mi riconosce? Sono Encarnación! Benvenuto, straniero! Lo straniero vorrà ballare una sevillana con me la prima notte della Feria de Abril?»

La governante, una perfetta sconosciuta per lui, la donna che rappresentava tutto ciò che nella vita era privo di complicazioni, aveva finalmente preso una forma corporea. La seguì nella caseta e la donna insistette per ballare e bere un bicchiere di fino con lui. Encarnación ingollò due sorsi del suo Tío Pepe chiaro e Javier, dopo aver vuotato il bicchiere, lo posò con gesto deciso, batté i tacchi e la invitò per la prima sevillana.

Encarnación si trasformò in un istante. Quella donna di sessantacinque anni divenne elegante e misteriosa, civettuola e audace. Ballarono cinque o sei sevillanas, l'una dopo l'altra. Javier ordinò altro fino. Mangiarono paella e calamari e Javier ricordò quanto fosse buono il cibo. Ballarono di nuovo e le sue angosce si placarono, l'infelicità scivolò via. Dimenticò tutto e si concentrò su una cosa soltanto, la sevillana; si gettò nella danza, a ogni sequenza più vicino all'espressione perfetta. E si rese conto di averla ritrovata, la grande soluzione del sivigliano per abolire l'infelicità: la fiesta. Scacciò ballando i problemi dalla testa, li fece scorrere lungo il corpo fino ai piedi e li calpestò.

NOTA DELL'AUTORE

Arrivato a metà dell'Uomo di Siviglia, mi sono reso conto che i diari che volevo inserire nel racconto non esistevano. Perciò, durante l'estate del 2001, ho dedicato tre mesi a scrivere i diari dei periodi della vita di Francisco Falcón che volevo impiegare. Non sapevo come li avrei inseriti nella narrazione, ma mi hanno aiutato a sviluppare pienamente il personaggio. Terminato il romanzo, mi sono rimasti dei brani di diario dell'ultima parte della vita di Francisco Falcón a Tangeri che, pur interessanti dal punto di vista della caratterizzazione del personaggio, non erano parte integrante della storia. Si possono leggere, in inglese, sul sito www.HarcourtBooks.com.

RINGRAZIAMENTI

Prima di poter cominciare a scrivere questo libro dovevo scoprire come lavoravano la polizia e la magistratura; ho quindi intervistato alcune persone che mi sono state di grande aiuto. Vorrei ringraziare il Magistrado Juez Decano de Sevilla Andrés Palacio, los fiscales de Sevilla e l'Inspector Jefe del Grupo de Homicidios de Sevilla Simon Bernard Espinosa, che mi ha parlato diffusamente anche del suo approccio ai casi di omicidio. I personaggi che nel romanzo ricoprono queste cariche non hanno alcun punto di contatto con le persone reali, né i rapporti professionali tra loro si possono considerare in alcun modo tipici.

Vorrei anche ringraziare il dottor Fernando Ortíz Blasco che non solo si è occupato della mia anca ma mi ha fornito numerose informazioni sulla corrida e sull'allevamento dei tori.

Per quanto riguarda Tangeri, ho avuto la fortuna di essere presentato da Frances Beveridge a Patrick Thursfield, il quale a sua volta mi ha messo in contatto con Mercedes Guitta, che è vissuta a Tangeri durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Li ringrazio tutti per il loro aiuto.

La mia amica Bindy North è stata tanto gentile da dare un'occhiata professionale ai dialoghi di argomento psicologico e offrirmi il suo parere, del quale le sono molto grato.

La ragione principale per cui questo libro è stato scritto riguarda due miei amici che vivono a Siviglia, Mick Lawson e José Manuel Blanco Marcos. Nel corso degli anni mi hanno comunicato, consapevolmente e inavvertitamente, una grande quantità d'informazioni sulla Spagna, sull'Andalusia e su Siviglia. Inoltre mi hanno sempre sostenuto con entusiasmo durante la mia carriera di scrittore, aiutandomi a rimettere insieme i pezzi quando mi è andata male e festeggiando con me quando mi è andata bene. Ho dedicato il libro a loro, un piccolo segnale per dire che nessuno potrebbe desiderare amici migliori.

Infine voglio ringraziare mia moglie Jane, che mi vede ben poco, se si fa eccezione per una schiena china su una scrivania, ma come sempre mi ha aiutato nelle ricerche, mi ha concesso il beneficio editoriale del suo occhio esperto e ha dissipato i miei frequenti dubbi. Non riesco a concepire di scrivere un libro senza di lei, il che certamente la rende la mia musa.

FINE