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«Ma la sta dicendo a me, Doña Consuelo?» domandò Falcón.

«Finora… ma forse sto cambiando idea.»

«Non so come sia riuscita a convincere le antiche fiamme di suo marito di essere una sciocca.»

«Mi sono vestita in modo da sembrarlo», rispose lei, tamburellando con le unghie. «So anche parlare come una sciocca.»

«Un'attrice consumata.»

«Tutto congiura contro di me.»

I loro occhi si incontrarono. Quelli dell'uomo morbidi, scuri, color tabacco. Quelli della donna, acquamarina e ghiaccio. Falcón sorrise. Suo malgrado Consuelo Jiménez gli piaceva. Quella forza. Quella bocca inesorabile. Si domandò che sapore avesse e cacciò subito via quel pensiero dalla mente. Attraversarono il puente del Generalísimo e Falcón cambiò argomento.

«Non mi ero mai reso conto di che quartiere franchista sia questo. Il ponte. La strada che porta il nome di Carrero Blanco…»

«Perché crede che mio marito vivesse nell'Edificio Presidente?»

«Pensavo che la maggior parte della gente seguisse la moda del torero Paquirri.»

«Sì, be', a mio marito piacevano los toros, ma Franco gli piaceva ancora di più.»

«E a lei?»

«È stato prima dei miei tempi.»

«Anche dei miei.»

«Dovrebbe tingersi i capelli, Inspector Jefe, la credevo più vecchio.»

Parcheggiarono. Falcón chiamò Fernández sul cellulare e gli disse di raggiungerlo nell'appartamento di Jiménez, poi salì in ascensore con la signora Jiménez fino al sesto piano e salutò con un cenno del capo il poliziotto davanti alla porta. Percorsero il corridoio vuoto verso il gancio nel muro, quel doppio tragitto ancora imbrigliato nella mente di Falcón. Sedettero nello studio e non parlarono più finché Fernández non fu arrivato.

«Faccia vedere le foto alla signora Jiménez, per favore», disse Falcón. «In ordine di apparizione nelle registrazioni delle telecamere.»

Fernández le fece scorrere l'una dopo l'altra, sempre con risposta negativa da parte di Consuelo Jiménez fino all'ultima, quando la donna sgranò gli occhi e batté le palpebre a scoppio ritardato.

«Chi c'è nella foto, Doña Consuelo?»

La signora Jiménez alzò lo sguardo su di lui, ipnotizzata, incantata, come se avesse assistito a una magia.

«Basilio», rispose, restando a bocca aperta.

V

Giovedì 12 aprile 2001, Edificio Presidente,

Los Remedios, Siviglia

Come suonare quella musica? Falcón resistette alla tentazione di far scorrere le dita sul bordo della scrivania come un pianista in un finale travolgente. Appoggiò il mento sul pollice, contrasse i muscoli della mandibola, sfiorandosi lo zigomo con un polpastrello mentre l'adrenalina gli scorreva nelle arterie. Questo è quanto, pensò. Ma in che modo farli cantare? Separati o insieme? Si sentiva ispirato e decise per l'approccio stile «galli da combattimento». Mettiamoli insieme, lasciamo che si aggrediscano e si feriscano, che si becchino e si trafiggano.

«La signora Jiménez viene con me a El Porvenir», disse a Fernández. «Si metta in contatto con il Subinspector Pérez e lo aiuti a trovare la prostituta. Gli dica che abbiamo identificato gli sconosciuti ripresi dalle telecamere.»

La signora Jiménez accavallò le gambe e si accese una sigaretta. Il piede non riusciva a stare fermo. Falcón uscì nel corridoio per contattare Ramírez con il cellulare. Avrebbe voluto che quell'uomo gli fosse più simpatico.

Ramírez era seccato. Si era assunto l'inutile compito di interrogare personalmente gli impiegati licenziati e fino a quel momento aveva saputo soltanto che due di loro erano contenti di essersi liberati della signora Jiménez. Mentre Ramírez dava sfogo al suo malumore, Falcón teneva d'occhio la donna: Consuelo Jiménez stava battendo l'unghia dell'indice contro quella del pollice, a ritmo con i suoi pensieri. Falcón impartì istruzioni a Ramírez e gli comunicò l'indirizzo di Basilio Lucena, ordinandogli di recarsi là e di prepararsi a fare pressione sui due sospetti.

Condusse Consuelo Jiménez di nuovo al di là del fiume, in calle Río de la Plata. Il traffico era aumentato, come sempre all'ora di pranzo. Nel parco c'era gente che correva, ragazze con i capelli raccolti a coda di cavallo sobbalzavano dietro la staccionata, allegre sotto i raggi del sole. Quei momenti del suo lavoro di poliziotto lo affascinavano: guidare mentre l'indagato sosteneva una straziante battaglia interiore tra la negazione e la verità, tra insistere nella menzogna o accogliere il sollievo della confessione e del perdono. Da dove proveniva l'impulso che catalizzava i meccanismi interiori per una decisione di tale portata?

Svoltò in avenida de Portugal, dietro le alte torri della plaza de España. L'edificio, che era stato l'attrazione principale dell'Expo del '29, era per lui così usuale che in genere non lo notava, ma quel giorno, con i suoi mattoni rossi sullo sfondo del cielo azzurro e con l'esplosione di verde tutto intorno, lo lasciò stupefatto: gli riportò alla memoria l'immagine di suo padre che si rizzava sulla sedia mentre guardavano Lawrence d'Arabia alla televisione, per far notare come David Lean avesse usato quel palazzo per simulare l'ambasciata inglese al Cairo.

«Può parlare, se vuole», soggiunse.

La donna sembrò sul punto di rispondere in tono aggressivo ma dopo la prima sillaba si ricompose, trattenendosi. Trovò il rossetto nella borsa e si ridisegnò la bocca con un tocco molto gradevole.

«Sono curiosa quanto lei.» Una risposta scoraggiante.

Parcheggiarono a una certa distanza dalla casa. Nessuna traccia di Ramírez. Falcón prese il rapporto dell'autopsia e lo lesse per intero, allibito dai particolari. Gli strumenti usati, l'abilità tecnica evidente dell'omicida, gli agenti chimici e le soluzioni presenti sugli indumenti della vittima, tutto confermava i suoi sospetti.

Un'auto si affiancò e, passando, Ramírez fece un cenno col capo prima di parcheggiare in fondo alla strada. Tornò indietro a piedi, superò il cancello d'ingresso e suonò il campanello del numero 17. Lucena venne ad aprire, seguì una discussione, poi Ramírez esibì il tesserino e, finalmente, gli fu consentito di entrare. Trascorsi alcuni minuti, Falcón e la signora Jiménez scesero dalla macchina e suonarono il campanello. Lucena si presentò alla porta, evidentemente preoccupato, e si trovò a guardare dritto negli occhi di Falcón, cogliendo di lato il lampo azzurro di quelli della sua amante. La paura era inequivocabile, ma di che cosa Falcón non avrebbe saputo dire. Entrarono, il giovane decisamente sotto pressione a causa di tutti quegli sguardi inquisitori fissi su di lui. Falcón si sistemò accanto al televisore, che era collegato a una telecamera, mentre Ramírez tornava a prendere posizione vicino alla porta; Lucena sedette a disagio sul bordo di una poltrona e la signora Jiménez si accomodò sul divano di fronte a lui, scrutandolo con la coda dell'occhio, le gambe accavallate, il piede mollemente sospeso nel vuoto.

«Abbiamo già saputo dalla signora Jiménez che è stato in sua compagnia la notte scorsa», cominciò Falcón. «Ricorda a che ora l'ha lasciata?»

«Verso le due», rispose l'uomo, passandosi le dita tra i capelli fini e scuri.

«Dov'è andato dopo aver lasciato l'hotel Colón?»

Il piede di Consuelo smise di dondolare.

«Sono venuto qui.»

«È uscito di nuovo durante la notte?»

«No, sono uscito stamani per andare al lavoro.»

«Come ci è andato?»

Lucena esitò, già in difficoltà a quella domanda preliminare da principianti.

«Con l'autobus.»

Subentrò Ramírez che lo tartassò a proposito di percorsi dei mezzi pubblici, ma Lucena insistette nella sua bugia, finché Falcón, calmo, gli mise in mano l'immagine ripresa dalle telecamere.