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«È lei, signor Lucena?»

Il giovane assentì, un gesto carico di apprensione.

«Di quale materia si occupa all'università?»

«Biochimica.»

«Perciò, probabilmente, lei lavora in uno di quegli edifici dell'avenida de la Reina Mercedes?»

Cenno affermativo.

«Molto vicino a Heliópolis, dove la signora Jiménez sta traslocando?»

Il giovane si strinse nelle spalle.

«Nel suo ambiente di lavoro sarebbe facile appropriarsi di una sostanza come il cloroformio?»

«Facilissimo.»

«E di soluzioni saline, di bisturi e di forbici chirurgiche?»

«Certamente, abbiamo un laboratorio.»

«Vede quei numeri in basso a destra sull'immagine? Che cosa legge?»

«02.36, 12.04.01.»

«Chi doveva vedere nell'Edificio Presidente a quell'ora?»

Stringendosi il setto nasale tra il pollice e l'indice, Lucena serrò le palpebre.

«Possiamo parlare in privato?» domandò poi.

«Qui siamo tutti parti interessate», obiettò Ramírez.

«Venticinque minuti dopo il suo ingresso nel palazzo, Raúl Jiménez è stato assassinato», dichiarò Falcón; si rese conto che Lucena, invece di considerarlo un persecutore, lo voleva avere come amico; era della donna che aveva paura.

«Sono salito all'ottavo piano», rispose alla fine Lucena, alzando le mani.

Una risposta inattesa e Ramírez tirò fuori il suo taccuino.

«All'ottavo piano?» esclamò la signora Jiménez.

«Orfilia Trinidad Muñoz Delgado», disse Ramírez.

«Avrà novant'anni», osservò Consuelo Jiménez.

«Settantaquattro», corresse Ramírez. «All'ottavo piano c'è anche Marciano Joaquín Ruiz Pizarro.»

«Marciano Ruiz, il regista teatrale», precisò Falcón.

Lucena annuì.

«Lo conosco», disse Falcón. «Era venuto a trovare mio padre. Ma è…»

«Un maricón», terminò per lui la signora Jiménez con brutalità, la voce cupa.

Ramírez, come un attore in un film comico, compì un passo indietro sbarrando gli occhi di fronte a Lucena. Falcón usò il cellulare per chiamare Fernández, il quale gli comunicò che, nel pomeriggio, all'appartamento di Ruiz non aveva risposto nessuno.

«Oggi è fuori città», spiegò Lucena. «Mi ha accompagnato all'università e poi è andato a Huelva. Sta provando Bodas de sangre di Lorca.»

Nella stanza la corrente aveva cambiato direzione. La signora Jiménez scattò in piedi e, prima che qualcuno potesse intervenire, la sua mano venne a contatto duramente con un lato della testa di Lucena: non un ceffone, piuttosto un colpo secco.

«Hijo de puta!» gridò furiosa dalla porta.

Il sangue colò lungo la guancia di Lucena. La porta di casa sbatté. Tacchi a spillo colpirono il selciato.

«Non ci arrivo», disse Ramírez, più a suo agio ora che la donna aveva lasciato la stanza. «Perché la scopava se è un…»

Lucena recuperò un pacchetto di fazzoletti di carta, si asciugò la fronte.

«Può spiegarmelo?» insistette Ramírez. «Voglio dire, o si è una cosa o l'altra, no?»

«Devo proprio sopportare questo imbecille?» domandò Lucena a Falcón.

«Sì, a meno che non voglia passare molto tempo alla Jefatura.»

Lucena si alzò, infilò le mani in tasca, compì qualche passo nella stanza e si girò verso Ramírez, la debolezza dimostrata fino a quel momento sostituita da una disinvoltura aristocratica, vendicativa, della specie usata dai damerini quando venivano sfidati a duello.

«L'ho scopata perché mi ricordava mia madre», disse, Un'offesa calcolata che ottenne l'effetto desiderato di scioccare Ramírez, giudicato da Lucena chiaramente un individuo appartenente a una classe diversa dalla sua. L'Inspector veniva da una famiglia di lavoratori sivigliani conservatori e abitava con la moglie e due figlie in casa dei genitori. Sua madre era ancora in vita, stava con loro e alla morte, ormai imminente, del suocero avrebbero ospitato anche la sua vedova. Ramírez strinse i pugni. A lui nessuno poteva parlare così di una madre.

«Ora ce ne andiamo», annunciò Falcón, dando una strizzatina di avvertimento al bicipite gonfio di Ramírez.

«Voglio prendere… voglio prendere il numero di telefono dell'altro maricón», disse rauco Ramírez, e le parole gli si imbottigliarono in gola. Liberò il braccio dalla stretta di Falcón.

Lucena andò alla scrivania, scarabocchiò qualcosa di traverso su un foglio e lo porse a Falcón, che pilotò Ramírez fuori dalla stanza. All'esterno la calle Río de la Plata si muoveva lentamente come le acque su cui si affaccia Buenos Aires. La signora Jiménez aspettava in fondo alla via, la sua rabbia evidente sul viso illuminato dal sole. Ramírez era non meno furioso di lei. Falcón, tra i due, non era più l'investigatore, piuttosto una specie di assistente sociale.

«Chiami Fernández sul cellulare, senta se hanno trovato la ragazza», ordinò a Ramírez.

La porta di Lucena sbatté alle loro spalle. Falcón si diresse verso Consuelo Jiménez riflettendo: era quella la raffinata educazione di cui blateravi e che ti incantava tanto? Che cosa siamo? Dove siamo? Questa società senza più regole.

La donna stava piangendo, ma di rabbia e di umiliazione questa volta, digrignando i denti e battendo i piedi per terra. Falcón le si affiancò, le mani in tasca, annuendo, come se volesse dirle che era d'accordo con lei, ma pensando: così è il lavoro nella polizia, un momento si è sul punto di chiudere il caso e prepararsi per celebrare con una bevuta la soluzione del mistero, e un momento dopo eccoci di nuovo in strada a domandarci come abbiamo potuto essere così sciocchi.

«La riaccompagno a casa di sua sorella», le disse.

«Che cosa gli ho fatto?» domandò Consuelo Jiménez. «Che cosa gli ho mai fatto?»

«Niente», rispose Falcón.

«Che giornata!» esclamò lei, alzando lo sguardo al cielo perfetto, tutto serenità fin oltre la stratosfera. «Che giornata del cazzo!»

Fissò il fazzoletto di carta appallottolato, come un aruspice che potesse trovarvi spiegazione, chiarezza o futuro. Lo gettò nella cunetta della strada. Falcón la prese per un braccio e la indirizzò verso la macchina. Mentre la stava aiutando a salire Ramírez disse che era stata trovata la ragazza dell'Alameda: la stavano portando alla Jefatura sulla Blas Infante.

«Dica a Fernández di interrogare l'ultimo degli impiegati licenziati dalla signora Jiménez. Pérez dovrebbe lasciare la ragazza sulle spine finché non arriviamo. Voglio tutti i rapporti pronti alle quattro e mezzo, prima di incontrare il Juez Calderón alle cinque.»

Chiamò Marciano Ruiz sul cellulare e gli disse di tornare a Siviglia quella sera per una deposizione. Protesta di Ruiz seguita dalla minaccia da parte di Falcón di arrestare Lucena.

«Si è calmato?» domandò a Ramírez, il quale annuì al di sopra del tettuccio dell'auto. «Allora porti il signor Lucena alla Jefatura e lo faccia deporre… e non sia rude.»

Falcón fece salire Lucena sul sedile posteriore della macchina di Ramírez. Partirono, Falcón curvo sul volante, borbottando dentro di sé mentre le gomme stridevano sull'avenida de la Borbolla. Tutti pazzi in quei giorni. Alcuni casi avevano questo effetto, logoravano troppo i nervi: i casi di bambini, in genere, il rapimento seguito dall'attesa e dall'inevitabile scoperta del corpo e della violenza che aveva subito. E ora stava accadendo la stessa cosa… come se un indefinibile ma orrendo elemento si fosse aggiunto a un'esperienza umana già eccessiva, portando via qualcosa di grande che non avrebbe mai più potuto essere sostituito. La luce del giorno sarebbe stata per sempre un poco più attenuata, l'aria mai più veramente pulita.