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«Ne vede molte di cose del genere?» domandò la signora Jiménez. «Sì, suppongo di sì, suppongo che per lei sia la norma.»

«Che cosa?» domandò Falcón stringendosi nelle spalle, sapendo ciò che lei intendeva dire ma per nulla intenzionato a sviscerare l'argomento.

«Gente con una vita perfetta che se la vede distruggere in una manciata di…»

«Mai», ribatté lui, quasi con veemenza.

Quella parola, «perfetta», lo aveva reso più cattivo, gli aveva ricordato ciò che la donna gli aveva detto e che aveva scorticato viva la sua vita «perfetta»: «Dev'essere dura… Essere lasciato perché lei preferiva stare da sola». Si sentiva crudele e dovette fare uno sforzo per non restituire il colpo: dev'essere dura… essere scaricata per un amante dell'altro sesso. Ripose il pensiero con l'etichetta «indegno» sostituendolo con un altro: forse Inés aveva rovinato l'immagine delle donne nella sua mente.

«Ma, Inspector Jefe…» fece per replicare la signora Jiménez.

«No, mai», ribadì Falcón, «perché non ho mai conosciuto nessuno che avesse una vita perfetta. Un passato perfetto e un futuro radioso, sì, ma il passato perfetto è sempre riveduto e corretto brillantemente e il futuro radioso sempre un sogno irrealizzabile. L'unica vita perfetta è sulla carta e anche in questo caso ci sono spazi tra le parole e le righe e raramente si tratta di spazi vuoti.»

«Sì, siamo sempre cauti su ciò che mostriamo agli altri e ciò che riveliamo a noi stessi.»

«Non volevo essere così… veemente», si scusò Falcón. «Ma è stata una giornata lunga e non è ancora finita. Abbiamo incassato qualche duro colpo.»

«Non posso credere di essere stata talmente stupida», disse la donna. «Ho conosciuto Basilio nell'ascensore dell'Edificio Presidente. Probabilmente stava scendendo dall'ottavo piano. Di lui non lo avrei mai detto. Ma… ma perché si è preso la briga di sedurmi?»

«Lo dimentichi. Non è importante.»

«A meno che non mi abbia attaccato qualcosa.»

«Faccia gli esami», tagliò corto Falcón, più brutale di quanto avesse inteso essere, «ma, Doña Consuelo, cominci anche a pensare a chi avrebbe potuto avere un motivo per assassinare suo marito. Voglio i nomi e gli indirizzi dei suoi amici, voglio che lei ricordi, per esempio, chi è stato a dirle che somigliava tanto alla sua prima moglie. Voglio il diario di Raúl.»

«Aveva un'agenda in ufficio che io gli tenevo aggiornata. Ha buttato via la rubrica quando ha cominciato a usare il telefonino. E comunque comunicava solo per telefono. Non scriveva mai a nessuno, perdeva sempre le penne e si appropriava delle mie.»

Falcón non ricordava di aver visto un cellulare. Chiamò la scientifica e il Médico Forense. Nessun cellulare. Doveva averlo preso l'assassino.

«Qualcos'altro?»

«Un vecchio elenco di indirizzi nel computer dell'ufficio.»

«Dove?»

«Sopra il ristorante vicino a plaza de la Alfalfa.»

Le fornì il suo numero di cellulare e le chiese di procurargli una stampata dell'elenco entro mezz'ora.

La lasciò davanti alla casa della sorella a San Bernardo poco dopo le tre del pomeriggio e dieci minuti più tardi parcheggiava accanto al cancello orientale dei jardines de Murillo, continuando a piedi, quasi di corsa attraverso le vie affollate del barrio de Santa Cruz dove si adunavano i turisti per le processioni della Semana Santa. Il sole era sbucato dalle nuvole. Faceva caldo e ben presto Falcón cominciò a sudare. L'aria nelle viuzze sapeva di Ducados, di fiori d'arancio, di sterco di cavallo e di tracce d'incenso, vestigia delle processioni. I ciottoli della strada, cosparsi di cera delle candele, erano scivolosi.

Falcón si tolse l'impermeabile e tagliò per le stradine laterali, che conosceva grazie alle rare volte in cui riusciva a seguire le lezioni d'inglese (che comunque continuava a pagare) al British Institute in calle Federico Rubio. Sbucò nell'angolo sudorientale di plaza de la Alfalfa, gremito di tutte le tribù del mondo. Macchine fotografiche lo annusarono, ma Falcón si fece largo tra la gente, percorse in fretta la calle San Juan e, all'improvviso, fu spinto in avanti dalla folla che sopraggiungeva da calle Boteros. Si rese conto dell'errore troppo tardi, vide la processione muoversi verso di lui, non riuscì a liberarsi e l'orda lo sospinse verso la piattaforma cosparsa di fiori, che aveva appena superato un angolo difficile grazie agli sforzi dei venti costaleros che la sostenevano. La Madonna, piena di contegno sotto il baldacchino di trine bianche, tremolava nella luce intensa del sole, mentre l'incenso dei turiboli fluttuava verso di lui nella corrente della via, riempiendogli la testa e i polmoni, che faticavano a respirare. I tamburi della banda alle spalle della piattaforma continuavano a rullare, martellanti nel loro ritmo solenne.

La folla si spingeva in avanti, il paso avanzava verso i volti rapiti, la Vergine torreggiava su di loro, il corpo ondeggiante da destra a sinistra seguendo il passo dei costaleros. Squilli di tromba disordinati e assordanti davano voce alla passione. Il suono nei confini ristretti della via riverberò nel petto di Falcón e parve schiantarlo, la folla trattenne il fiato nel momento glorioso, ogni sguardo fisso sulla Madonna piangente, al culmine dell'estasi… e il sangue defluì rapidamente dal cervello di Falcón.

VI

Giovedì 12 aprile 2001, calle Boteros, Siviglia

Il paso virò, gli occhi alti e compassionevoli della Vergine Maria passarono oltre, caddero su altri, la pressione si allentò, gli squilli finali delle trombe rimbalzarono dai balconi. I tamburi tacquero. I costaleros abbassarono il baldacchino a terra tra gli applausi della folla ammirata per la loro bravura, la processione dei nazarenos con i loro cappucci a punta posò le croci e le candele. Falcón si sosteneva aggrappandosi al bracciolo di una carrozzina per invalidi, l'altra mano sul ginocchio. La vecchia signora sulla carrozzina chiamò con la mano uno dei nazarenos, che sollevò il lembo del cappuccio e sorrise, rivelando il normale essere umano che vi si celava sotto, niente di più sinistro di un occhialuto contabile.

Falcón allentò la cravatta, si asciugò il sudore sulla fronte e, facendosi largo verso il limitare della folla, barcollò sgusciando tra le fila dei nazarenos. La gente ammassata dall'altra parte gli fece strada e, trovato un certo spazio in disparte, Falcón si piegò in due, abbassando la testa sulle ginocchia finché sentì il sangue affluire alla corteccia cerebrale, restituendo lucidità al cervello.

Non aveva mangiato nulla in tutto il giorno, pensò, ma sapeva che non era quella la causa del suo malessere. Si voltò verso il paso, in direzione della Madonna, che ora guardava avanti, senza curarsi di lui. Se non che… poco prima lo aveva fatto. Per quell'attimo, per quella frazione di secondo, essa gli era entrata dentro, lo aveva riempito di sé. Era stata un'esperienza che quasi gli sembrava di avere già vissuto, ma di cui non serbava veramente il ricordo. Troppo lontana nel tempo.

Trovò l'ufficio sopra il ristorante di Jiménez, si fece dare la stampata degli indirizzi e un bicchiere d'acqua. Lasciato il centro storico evitando ogni processione, scese in macchina verso il fiume e lo attraversò in direzione di plaza de Cuba. Si sentiva svuotato, affamato e si fermò in un bar sull'avenida República Argentina per un bocadillo de chorizo che mangiò troppo in fretta, tanto che gli rimase piantato sullo stomaco, duro come il dolore di un lutto, il che era strano, poiché non aveva perduto nessuno dopo la morte di suo padre, avvenuta due anni prima.

La Jefatura si trovava all'incrocio tra l'avenida Blas Infante e calle López de Gomara. Parcheggiò sul retro dell'edificio e salì le due brevi rampe di scale fino al suo ufficio, affacciato sulle file ordinate di automobili, un luogo spartano dove non teneva niente di personale. Due sedie, una scrivania di metallo, qualche armadietto grigio. La luce proveniva dalla lampada al neon sul soffitto. Falcón non voleva distrazioni sul lavoro.