«Chi siete?» domandò sospettosa.
«Inspector Ramírez», disse l'uomo, secco come uno sherry.
«Siamo del Grupo de Homicidios», spiegò Falcón.
«L'hanno ammazzato?» esclamò lei, guardando ora l'uno ora l'altro dei due uomini, che annuirono.
«La persona che l'ha ucciso si trovava nell'appartamento mentre eri là.»
La ragazza si strappò la sigaretta di bocca e soffiò via il fumo con forza.
«Come lo sa?»
Ramírez, che in precedenza aveva inserito la cassetta nel videoregistratore, premette il tasto del telecomando, così che lo schermo fu istantaneamente riempito dal corridoio vuoto, dal gancio sul muro, dalla luce proveniente dalla porta dello studio mentre l'audio emetteva i suoni delle due finte estasi di piacere mescolati assieme. Falcón si sentì rizzare i capelli sulla nuca. La telecamera voltò l'angolo e la ragazza, che fissava lo schermo ipnotizzata, vide se stessa inginocchiata davanti a Raúl Jiménez, il viso rivolto verso le tende, mentre l'uomo guardava lo schermo. Vide se stessa girare la testa, poi la telecamera sobbalzò all'indietro nell'oscurità.
Mandata la sedia a sbattere sul pavimento, la ragazza si mise a passeggiare avanti e indietro. Ramírez spense il televisore.
«È allucinante!» esclamò lei, indicando lo schermo con le dita che stringevano la sigaretta.
«Non hai notato nulla?» domandò Falcón.
«Non so se siete stati voi a mettermi certe cose in testa, ma ora mi sembra di ricordare qualcosa», rispose lei, chiudendo gli occhi. «È stato solo un cambiamento della luce, un'ombra che si muoveva. Nel mio lavoro questo mi spaventa… quando le ombre si muovono.»
«Quando le tenebre hanno una vita propria.» Le parole sfuggirono di bocca a Falcón e gli altri due lo guardarono perplessi. «Ma non hai reagito… a queste ombre che si muovevano?»
«Ho creduto di averle immaginate e comunque lui ha raggiunto il culmine proprio allora e mi sono distratta.»
«E dopo?»
«Mi sono lavata in bagno e me ne sono andata.»
«Ha richiuso la porta a chiave quando sei uscita?»
«Sì. Come aveva fatto prima. Cinque o sei mandate. L'ho sentito anche sfilare la chiave. Poi è arrivato l'ascensore.»
«Che ora era?»
«Non credo che fosse molto dopo l'una. All'una e mezzo ero con un altro cliente sull'Alameda.»
«Cinquantamila», disse Ramírez. «Non male come tariffa oraria.»
«Per guadagnare altrettanto a lei ci vorrebbe un bel po' di tempo», ribatté la ragazza, e risero tutti e due.
«Qual è il tuo numero di cellulare?» domandò Falcón e di nuovo gli altri due risero finché non si accorsero della sua serietà: Eloisa snocciolò subito il numero.
«Bene», osservò Ramírez, ancora di buonumore, «mi pare che sia tutto, tranne… sono sicuro che ha tralasciato qualcosa, non è così, Inspector Jefe?»
«Vi ho detto tutto quello che è successo», protestò lei.
«Eccettuata la cosa più importante», disse Ramírez. «Non ci hai detto quando lo hai fatto entrare nell'appartamento.»
Le occorsero alcuni secondi per afferrare le implicazioni delle parole pronunciate in tono blando, poi la sua espressione si indurì, il viso simile a una maschera funeraria.
«Mi sembrava che lei fosse troppo perfetto per essere vero», osservò.
«Non sono perfetto», affermò Ramírez, «e non lo sei nemmeno tu. Sai che cosa ha fatto quel tizio, quello che hai fatto entrare nell'appartamento? Ha torturato un vecchio fino alla morte, ha fatto soffrire il tuo Don Rafael nel modo più atroce, non abbiamo mai visto niente di simile in tutta la nostra carriera. No, non l'ha ucciso con un colpo di pistola alla testa e nemmeno con una pugnalata al cuore, è stata una tortura lenta… brutale.»
«Non ho fatto entrare nessuno nell'appartamento!»
«Hai detto che aveva lasciato la chiave nella serratura», intervenne Falcón.
«Non ho fatto entrare nessuno.»
«Hai detto di aver visto qualcosa», disse Ramírez.
«Siete stati voi a farmi pensare di aver visto qualcosa, ma non ho visto nulla.»
«La luce era cambiata», insistette Ramírez.
«Le ombre si erano mosse», disse Falcón.
«Non ho fatto entrare nessuno», affermò la ragazza parlando lentamente, «è andata come vi ho detto.»
Conclusero l'interrogatorio verso le 16.30 e Falcón mandò Ramírez con la ragazza da una donna poliziotto, perché la scientifica potesse poi identificare il pelo pubico trovato nello studio. Mentre uscivano udì Ramírez parlarle come se fossero vecchi amici e stessero andando a farsi una cervecita, anche se le parole erano diverse.
«No, lascia che te lo dica, Eloisa, se fossi in te lascerei perdere quel tipo, lo scaricherei come una patata bollente. Se può uccidere un uomo in quel modo, può far fuori anche te. Può ammazzarti senza il minimo scrupolo. Perciò, stai in guardia. Se ti viene un sospetto, un dubbio, chiamami subito.»
Tornato nel suo ufficio, Falcón telefonò a Baena e a Serrano per vedere se avessero trovato un testimone all'esterno dell'Edificio Presidente. Nessun testimone. Poca gente in giro, negozi chiusi, la maggior parte degli abitanti della zona in centro per le processioni.
Riagganciò e fece scrocchiare le dita l'una dopo l'altra, un'abitudine che Inés detestava ma che era un gesto inconsapevole utile a schiarirgli le idee. A sua moglie metteva i brividi.
Chiamò il Comisario Lobo, il quale gli disse di passare dal suo ufficio, e mentre si dirigeva all'ascensore Falcón vide Ramírez e gli disse di preparare le scartoffie per l'incontro con il Juez Calderón. Salì all'ultimo piano. La segretaria di Lobo, una sivigliana dai modi spicci che teneva da parte qualsiasi giovialità per il tempo libero, gli comunicò con un battito di ciglia che poteva entrare.
Lobo, rivolto verso la finestra, teneva le mani incrociate dietro la schiena e piegava ritmicamente le ginocchia contemplando al di là della strada la vegetazione lussureggiante del parque de los Príncipes. Basso e tarchiato, aveva mani grandi, agricole, collo taurino e capelli grigi. Aveva sempre portato occhiali pesanti dalla montatura nera, reperti di un'altra era, fino all'anno prima quando sua moglie lo aveva convinto a passare alle lenti a contatto: un tentativo di migliorare la sua immagine che si era rivelato un fallimento perché aveva gli occhi color del fango e la mancanza della cornice aveva reso il naso ancora più adunco, scoprendo anche troppo la faccia grossolana. Le labbra sottili erano poco più scure della carnagione color cumino. Una faccia poco raccomandabile, ancor meno di quelle rinchiuse in cella, ma l'uomo era un bravo capo, che parlava chiaro e sosteneva sempre i suoi sottoposti.
«Sa di che cosa si tratta?» disse senza voltarsi.
«Di Raúl Jiménez.»
«No, Inspector Jefe, si tratta del Comisario León.»
«Era nelle fotografie appese nello studio di Jiménez.»
«Con chi era a letto?»
«Non era quel genere di…»
«Sto scherzando, Inspector Jefe», lo interruppe Lobo. «Probabilmente lei ha visto molti altri funcionarios in quelle foto.»
«Sì.»
«Ha visto anche me?»
«No, Comisario.»
«Perché io non ci sono, Inspector Jefe», disse Lobo avvicinandosi rapidamente alla scrivania.
Sedettero, e Lobo strinse le mani come se volesse schiacciare una piccola testa.
«Lei non era qui al tempo dell'Expo del 1992, non è vero?»
«Ero a Saragozza.»
«La situazione qui all'epoca dell'Expo del '92 era molto diversa da quella delle olimpiadi di Barcellona. Là, sono sicuro che lo ricorda, i catalani ne hanno tratto profitto, mentre qui per gli andalusi è stata una perdita paurosa.»
«Si era parlato di corruzione.»
«Parlato!» ruggì Lobo infuriato. «Non si trattava di chiacchiere, Inspector Jefe, la corruzione c'è stata, tanta che a non fare i milioni c'era da sentirsi imbarazzati. Così imbarazzati che quelli che non erano riusciti a gonfiarsi le tasche noleggiavano Mercedes o BMW per far sembrare vero il contrario.»