«Sono già stato informato», rispose l'altro, pronto a riagganciare.
«Volevo soltanto parlarle di…»
«In questo momento non posso.»
«Forse potremmo vederci domani… per una breve conversazione. Sarebbe importante per precisare il quadro.»
«Davvero non vedo come…»
«Verrei io a Madrid, naturalmente.»
«Non c'è nulla di cui parlare. Non vedevo mio padre da anni.»
«È proprio questo il punto. Non sono interessato al presente.»
«Ma non c'è davvero nulla!»
«Ci dorma sopra. La richiamerò domattina, non sarà una cosa lunga e potrebbe aiutarci molto.»
Jiménez farfugliò qualcosa e riagganciò. Quell'uomo era un avvocato, Falcón lo sapeva, ma non gli aveva suggerito questa impressione: troppo confuso e insicuro. Spense la lampada e, uscito nel patio, inspirò l'aria fresca della sera e il silenzio: quasi silenzio, perché i rumori della città giungevano come un rombo lontano in quel centro buio e concavo della casa. Si stirò, respirò a pieni polmoni allargando le braccia e tra gli archi della galleria sovrastante il patio vide ciò che Eloisa Gómez avrebbe definito «ombre che si muovevano». Corse su per i gradini, frugandosi in tasca alla ricerca della chiave che apriva il cancello di ferro battuto in cima alla scala, poi corse fino a un secondo cancello che dava sull'altro tratto di galleria davanti allo studio di suo padre. Nessuno. Tornò all'arco dove gli era parso di intravedere il movimento e si affacciò sul patio. L'acqua nella fontana, ferma e nera come una pupilla, fissava il cielo. Solo stanchezza, pensò, serrando le palpebre.
Uscì di casa dal portoncino ritagliato nel massiccio portale di legno con le borchie di ottone, l'entrata di quella casa troppo grande per lui sulla calle Bailén. Troppo grande per lui. Sì, e troppo grandiosa per un uomo nella sua posizione, ma ogni volta che pensava di venderla, si arenava davanti al pensiero di ciò che questo avrebbe comportato. Prima di tutto avrebbe dovuto eseguire le istruzioni contenute nel testamento di suo padre, una cosa che rimandava da tempo, e cioè vuotare lo studio e bruciare tutto, fino all'ultimo schizzo. Non poteva farlo. Non lo aveva fatto, non era nemmeno mai entrato nello studio da quando suo padre era morto, due anni prima. Non aveva nemmeno mai aperto quell'ultimo cancello di ferro battuto nella galleria.
L'avvocato di suo padre era morto tre mesi dopo la lettura del testamento e a Paco e a Manuela non importava un accidente di niente, erano troppo impegnati con la loro parte di eredità: la finca per l'allevamento di tori, a Las Cortecillas verso la Sierra de Aracena, di Paco e la villa a El Puerto de Santa Maria di Manuela. Non avevano avuto con il padre lo stesso rapporto che aveva avuto lui. Javier aveva cominciato a telefonargli quasi tutti i giorni dopo che l'uomo aveva avuto un infarto e, dopo il suo trasferimento a Siviglia, se non si trovavano per andare al ristorante la domenica a mezzogiorno, si vedevano comunque per un fino, tanto per farlo uscire di casa. Avevano quasi ritrovato lo stesso grado di intimità del tempo in cui lui era un ragazzo, agli inizi degli anni 70, unico figlio rimasto a casa dopo che Manuela aveva levato le tende per andare a Madrid a studiare veterinaria e dopo che Paco si era installato nell'azienda agricola, una volta ristabilito dalla grave ferita a una gamba inferta da un toro quando Paco era novillero a La Maestranza, a Siviglia. Un incidente che aveva posto fine alle sue speranze di carriera come torero.
Falcón percorse le strette gole delle viuzze acciottolate fino al bar in calle Gravina, una vecchia bottega che conservava ancora le antiche bilance sul banco. Gli avventori si riversavano sul marciapiede con le loro birre; Manuela e il suo amico erano in fondo, pigiati tra la folla. Falcón si fece strada fino al loro tavolo. Abrazos da uomini che non conosceva, baci da donne ignote: amici di Manuela. La sorella lo baciò stringendolo forte tra le braccia modellate in palestra e Alejandro, il suo compagno, che lei aveva conosciuto su qualche attrezzo ginnico al club, gli mise in mano una birra.
«Fratellino!» Manuela lo aveva sempre chiamato così fin da quando erano piccoli. «Hai l'aria stanca. Altri cadaveri?»
«Soltanto uno.»
«Un altro raccapricciante caso di droga?» si informò la sorella accendendo una disgustosa sigaretta al mentolo, che riteneva meno dannosa.
«Raccapricciante, ma senza droga questa volta. Più complicato.»
«Non so come fai.»
«Non molti dei tuoi amici riuscirebbero a immaginare una donna bella e raffinata come Manuela Falcón con il braccio insanguinato fino alla spalla mentre tira fuori vitelli nati morti.»
«Oh, non lo faccio più da tanto tempo!»
«Non ti vedo a tagliare le unghie ai barboncini.»
«Devi parlare con Paco», disse lei, ignorandolo. «È molto preoccupato, sai.»
«La Feria è il periodo più faticoso per lui.»
«No, no, non si tratta di questo», bisbigliò Manuela. «È per le vacas locas, ha paura che la sua mandria sia stata infettata dal morbo della mucca pazza. Sto facendo i test a tutti i suoi animali, in via ufficiosa.»
Falcón sorseggiò la birra, mangiò una fetta di jamon de bellota, così dolce che si scioglieva in bocca.
«Se lo obbligano a fare i test ufficiali e trovano un animale con la malattia dovrà abbatterli tutti, anche quelli con una storia familiare di centovent'anni.»
«C'è di che essere preoccupati.»
«Gli fa male anche la gamba, è sempre così quando è sotto stress. Certi giorni non riesce nemmeno a camminare.»
Alejandro gli mise davanti un piatto di formaggi e istintivamente Falcón girò la testa dall'altra parte.
«Non gli piace il formaggio», spiegò Manuela e il piatto sparì.
«È saltato fuori il tuo nome, oggi al lavoro», disse Falcón.
«Male.»
«Hai vaccinato il cane di una persona, c'era una fattura.»
«Il cane di chi?»
«Spero che ti abbia già pagato.»
«Non avresti trovato la ricevuta firmata, altrimenti.»
«Raúl Jiménez.»
«Sì, un simpatico Weimeraner. Era un regalo per i suoi figli… stanno cambiando casa. Doveva venirlo a prendere oggi.»
Falcón la fissò. Manuela batté le palpebre guardando la sua birra, posò il boccale. Accadeva di rado che un vero omicidio scivolasse in una conversazione che non fosse di lavoro. Normalmente, se sollecitato, Falcón raccontava qualcosa sul suo modo di condurre le indagini, sulle sue idiosincrasie, la sua attenzione ai particolari, ma non parlava mai di come fosse in realtà il suo lavoro, sempre faticoso, talvolta molto tedioso e inframmezzato da momenti di orrore.
«Sono preoccupata per te, fratellino.»
«Non corro pericoli.»
«Voglio dire… il tuo mestiere. Ti fa delle cose.»
«Quali cose?»
«Non so, suppongo che nella tua professione si debba diventare cinici per sopravvivere.»
«Cinico? Io? Io svolgo indagini sugli omicidi. Cerco la ragione per cui si producono questi momenti di aberrazione. Cerco di scoprire perché in questi tempi così razionali, così civili, sia ancora possibile crollare e cadere come normali esseri umani. Non è come sopprimere cuccioli o massacrare intere mandrie di bestiame.»
«Non sapevo che certe cose ti toccassero tanto.»
Erano così vicini che Falcón avvertiva il mentolo della sigaretta nell'alito di lei, nonostante l'odore di sudore e profumi del bar affollato. Manuela era fatta così, riusciva sempre a provocare e per questo i suoi amori, scelti per il bell'aspetto e il portafogli, non duravano mai. Sua sorella non sapeva essere sempre dolce e femminile.
«Hija», disse, non volendo accettare la provocazione, «ho avuto una giornata faticosa.»