«Due anni dopo. Per lei ci furono complicazioni nel parto, so che rischiò di morire e che mia madre rimase molto debole. Avrebbero voluto molti bambini, ma mia madre non poté più averne. Anche mia sorella ne subì le conseguenze.»
«Quali?»
«Era una bambina dolcissima, sempre in pena per tutto… gli animali, specialmente i gatti, Tangeri era piena di gatti randagi. Non c'era niente da fare… lei era…» esitò, fece un gesto in aria con le mani, costringendosi a tirare fuori le parole. «Era una semplice, tutto qui. Non stupida, solo… semplice. Diversa dagli altri bambini.»
«Sua madre ha mai recuperato le forze?»
«Sì, sì, le ha recuperate completamente. Lei…» La voce si affievolì, Jiménez contemplò il soffitto. «Rimase perfino incinta un'altra volta. Fu un periodo molto difficile. Mio padre fu costretto a lasciare Tangeri, ma mia madre non poteva muoversi.»
«Quando accadde?»
«Alla fine del 1958. Lui prese con sé mia sorella e io rimasi con mia madre.»
«Dove andò?»
«Affittò una casa in un villaggio sulle montagne sopra Algeciras.»
«Stava scappando?»
«Non dalle autorità.»
«Una questione di affari?»
«Non l'ho mai saputo.»
«E sua madre?»
«Ebbe il bambino, un maschio. Mio padre comparve misteriosamente la notte del parto, era venuto a Tangeri di nascosto. Aveva paura che qualcosa potesse andare male, come la volta precedente, e che lei non sopravvivesse. Lui era…»
Jiménez aggrottò la fronte, come se si fosse trovato davanti a qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione. Sbatté le palpebre, respingendo le lacrime.
«Questo è un terreno molto delicato, Inspector Jefe», disse alla fine. «Credevo che sarei stato contento nell'apprendere che mio padre era morto, che sarebbe stato un sollievo, una liberazione da… Avrebbe voluto dire la fine di tutti questi pensieri incompiuti.»
«Pensieri incompiuti, signor Jiménez?»
«Pensieri che non hanno una fine. Pensieri che sono interminabili, perché non hanno una risoluzione, che lasciano per sempre in bilico.»
Il significato rimaneva oscuro, anche se le parole erano comprensibili, e tuttavia Falcón, senza sapere perché, capiva qualcosa del tormento dell'uomo. Fu a sua volta assalito dai pensieri: la morte di suo padre, le cose non dette, lo studio mai visitato.
«Potrebbe essere lo stato naturale dell'uomo», osservò Falcón. «Provenendo da individui complicati che non possiamo conoscere, saremo per sempre i portatori di cose irrisolvibili. A queste noi aggiungiamo la nostra parte di storie mai chiarite che a nostra volta passiamo alle future generazioni. Forse è meglio essere privi di complicazioni. Come sua sorella, senza l'ingombro del bagaglio di chi ci ha preceduto.»
Sotto i cespugli delle sopracciglia Jiménez lo perforò con occhi simili a quelli di un animale che si stesse nutrendo delle parole uscite dalla bocca di Falcón. Si raddrizzò, l'espressione perse la sua intensità.
«L'unico problema in quel caso», disse, «nel caso di mia sorella, è che la sua mancanza di complessità non le ha permesso di darsi una struttura, le è mancata la possibilità di rimettere ordine al caos dopo il cataclisma avvenuto nella nostra famiglia. Ha perso ogni tenue legame con un'esistenza strutturata e dopo di allora ha fluttuato nello spazio. Sì, credo che la sua follia sia questo… il galleggiare di un astronauta staccato dalla sua navicella spaziale, che rotea in un vuoto schiacciante.»
«Credo che sia andato troppo avanti perché io possa seguirla.»
«È vero», confermò Jiménez, «e so anche il perché.»
«Forse dovremmo tornare a suo padre preoccupato per la possibilità che la moglie non sopravvivesse al parto.»
«Quello che stavo pensando quando l'ho detto, ciò con cui mi stavo confrontando, era l'idea sorprendente, visto come sono andate le cose in seguito, che mio padre fosse in realtà profondamente innamorato di mia madre. È qualcosa che anche ora riesco ad ammettere con difficoltà. Da piccolo, quando mia madre è morta, non lo credevo affatto, credevo anzi che lui avesse deciso di distruggerla.»
«Come è arrivato a quell'idea?»
«Psicoanalisi, Inspector Jefe. Non avrei mai pensato di diventare un candidato per una cosa che consideravo una ciarlataneria. Sono un avvocato, ho una mente organizzata, ma quando sei disperato, e intendo dire colmo di disperazione al punto da non vedere altro che la vita crollare intorno a te, allora riesci ad ammetterlo, allora dici: 'Sono matto e devo parlarne con qualcuno'.»
Jiménez diede quella spiegazione in tono molto personale, come se si rivolgesse a una parte di Falcón che richiedeva un'attenzione particolare.
«Che cosa accadde a sua madre e al bambino?» domandò Falcón.
«Mia madre ebbe bisogno di un po' di tempo per ristabilirsi. Ricordo molto bene quel periodo. Non ci era permesso di uscire di casa, i domestici dovevano dire che non c'era nessuno, i viveri ci arrivavano di nascosto attraverso le case dei vicini. Uomini armati che normalmente sorvegliavano i cantieri stavano di guardia sull'altro lato della strada. Mio padre non faceva che passeggiare avanti e indietro come un leone in gabbia, fermandosi soltanto per sbirciare da una fessura nell'imposta quando gli sembrava di aver udito qualcosa all'esterno. La tensione era pari alla noia; è stato l'inizio della follia nella nostra famiglia.»
«E non ha mai scoperto di che cosa avesse paura suo padre?»
«A quel tempo ero un bambino, non me ne curavo, volevo soltanto evitare di annoiarmi. Più tardi… molto più tardi, ho pensato che fosse importante sapere che cosa avesse spinto mio padre a quegli eccessi. Perciò, trent'anni dopo gli eventi, ho deciso che l'unica persona che potesse darmi una spiegazione era proprio mio padre. È stata l'ultima volta in cui ci siamo parlati su un piano personale. E questa è la magia del cervello umano.»
«Che cosa?» domandò Falcón, drizzandosi di colpo sulla sedia, come se avesse mancato di cogliere un punto vitale.
«Se lì dentro abbiamo qualcosa che non ci piace, ci giriamo intorno per evitarla. È come un fiume che, stufo di scorrere continuamente lungo la stessa ansa, decidesse di deviare il suo corso e di tagliarla fuori. L'ansa diviene uno stagno non più collegato al fiume, un serbatoio di memoria che, non più alimentato, alla fine si secca.»
«Aveva dimenticato tutto?»
«Ha rimosso tutto. Per quanto lo riguardava non era mai accaduto. Mi guardava come se fossi pazzo.»
«Nonostante la moglie morta e la figlia ricoverata a San Juan de Dios?»
«Eravamo nel 1995, allora. Era sposato a Consuelo, una vita diversa. Il passato per lui era distante come… come un'esistenza precedente.»
«Lei è rimasto sorpreso da Consuelo?»
«Dal suo aspetto? Mio Dio, sono rimasto allibito, mi ha messo i brividi. Ho bruciato la foto del matrimonio che mi aveva spedito.»
«E così non ha ottenuto nessuna rivelazione da suo padre?»
«Solo che avevo ritenuto importante una cosa che non lo era. Non esisteva nulla nel mondo di mio padre, per quanto potevo vedere, al quale avrebbe potuto attribuire maggior valore che alla vita di un bambino. Lo avevo capito dal suo silenzio, dalla sua decisa negazione, da tutto il suo modo di essere… da quel matrimonio con una fotocopia della moglie…»
«Ma non poteva essere una tortura per lui?»
«Se per lei il conforto di una bella donna è una punizione… allora, sì.» Jiménez sbuffò per esprimere un moto di derisione. «Mio padre era istintivo come un animale, la sua mente non funzionava come quella di un normale essere umano. Per essere un uomo d'affari di successo, e, mi creda, io lo so, perché lavoro per qualche uomo d'affari di grandissimo successo, non si può ragionare come la gente comune… e per lui era così, infatti.»
«Mi sono perso di nuovo, forse sta pensando troppo in fretta per me.»
Jiménez si sporse verso di lui, un'espressione decisa.