Il rivolo dei pensieri si arrestò nel momento in cui Falcón si accorse che il riflesso trasparente della donna di fronte a lui stava ricambiando il suo sguardo. Provò piacere in quell'atto, nel fissarla come se non stesse facendo altro che contemplare la notte scorrere precipitosamente là fuori. La fiammella del sesso gli si accese dentro. Non aveva più avuto una donna da quando Inés se n'era andata. Tra loro il sesso era stato quasi selvaggio nei primi tempi, solo a pensarci doveva allentarsi il colletto della camicia. Mangiavano fuori, nel patio, e Inés all'improvviso veniva dalla sua parte del tavolo e, seduta a cavalcioni sulle sue ginocchia, gli infilava le mani nei pantaloni, attirava quelle di lui sotto la sua gonna. Dove era finito tutto ciò? Come era stato possibile che il matrimonio spegnesse tutto così presto? Alla fine Inés non gli permetteva nemmeno di guardarla mentre si vestiva. «Tu non hai cuore, Javier.» Ma di cosa parlava? Aveva guardato filmetti porno? Si era forse scopato una prostituta mentre li guardava? Aveva forse volutamente cancellato dalla sua vita un suo bambino? Eppure… Raúl Jiménez aveva avuto, sì, fino alla fine, il conforto di una bella donna. Consuelo, consolazione.
La donna seduta di fronte a lui non lo guardava più nel vetro. Falcón si girò verso il suo viso reale e vi scorse un'infinitesimale espressione di orrore mescolata a una minuscola pietà, come se la donna avesse percepito le sue complicazioni di ultraquarantenne e non volesse averne parte: stava cercando di tuffarsi nella borsetta quasi volesse farsene inghiottire, ma si trattava di un piccolo modello di Balenciaga dove potevano trovare posto solo un rossetto, un paio di preservativi e qualche banconota. La donna si voltò verso il finestrino. Nel buio, remoto, tremolava un lume, niente altro in vista.
Si lasciò andare contro lo schienale, esaurito da quei pensieri che lo ossessionavano a ciclo continuo, ragionamenti che non riguardavano l'indagine, ma il suo matrimonio fallito. In lui si produceva sempre una specie di crollo interiore ogni volta che sbatteva contro il muro delle parole di Inés: «No tienes corazón, Javier Falcón». Facevano anche rima.
In seguito avrebbe concluso che era stato un mutamento nella sua chimica cerebrale a dargli quella prima nuova idea a proposito di Inés, o piuttosto una vecchia idea di colpo afferrata: non sarebbe stato in grado di andare avanti, non sarebbe stato in grado di corteggiare una donna nello scompartimento di un treno finché non avesse provato a se stesso che le parole di Inés non erano vere, che non si adattavano a lui. Il pensiero lo colpì con una violenza maggiore di quanto avrebbe immaginato, avvertì perfino un improvviso flusso di adrenalina e questo forse avrebbe potuto significare paura, non fosse stato per il fatto che in quel momento egli era semplicemente seduto nello scompartimento di un treno, a vagare all'interno della sua testa che conteneva un solo pensiero: il pensiero scomodo che, forse, sua moglie aveva ragione.
Scivolò nel sonno, un uomo in un treno simile a un proiettile d'argento che correva nel buio verso una destinazione ignota. Sognò di nuovo di essere un pesce, di guizzare nell'acqua inseguito dalla paura mentre il morso nelle viscere lo lacerava dentro lentamente. Si svegliò battendo la testa contro il sedile. Il vagone era vuoto, il treno già in stazione, una folla di passeggeri si riversava sul marciapiede sotto il finestrino.
Andò a casa e guardò un film senza seguirlo affatto, spense il televisore e crollò sul letto senza aver mangiato nulla, pieno d'inquietudine. Entrò e uscì dal sonno, non volendo ritrovare di nuovo quel sogno, ma timoroso al tempo stesso di svegliarsi per trovare un mondo fatto d'angoscia fuori dalle sue mura. Le quattro del mattino lo sorpresero in una veglia buia e Falcón, mentre ascoltava gemere le travi della sua grande casa, come ricoverati più sfortunati in un'ala distante del manicomio, cominciò a preoccuparsi dei cambiamenti che stavano avvenendo in lui, temendo che potessero alterare il suo equilibrio mentale.
Sabato 14 aprile 2001
Si alzò alle sei già stanco, i nervi che tintinnavano come il mazzo di chiavi di un carceriere, tanto che cominciò a pensare sul serio alle chiavi della casa e a dove fossero quelle che avrebbero aperto lo studio di suo padre. Nella scrivania ne trovò un cassetto pieno. Possibile che vi fossero tante porte? Portò il cassetto fino al cancello di ferro battuto che chiudeva la parte della galleria di fronte allo studio di suo padre e le provò tutte, ma nessuna era quella giusta; se ne andò lasciando il cassetto lì sul pavimento, le chiavi sparse.
Fece la doccia, si vestì, uscì di casa, comprò un giornale — ABC — e bevve un café solo. Diede un'occhiata agli annunci mortuari: Raúl Jiménez sarebbe stato sepolto alle undici nel Cementerio de San Fernando. In ufficio controllò i messaggi vocali sul suo cellulare, tutti di Ramírez.
I sei funzionari del Grupo de Homicidios erano presenti alla riunione, non uno escluso, cosa piuttosto insolita per un sabato di Pasqua. Falcón li mise al corrente dell'esito della conversazione con Calderón, quindi mandò Pérez e Fernández nell'area della Feria di fronte all'Edificio Presidente, Baena nelle strade intorno al condominio e Serrano a compilare un elenco di laboratori e di negozi di forniture mediche che avrebbero potuto segnalare una vendita insolita di cloroformio o la mancanza di strumenti. I quattro uomini lasciarono la stanza. Ramírez, a braccia conserte, era appoggiato al davanzale della finestra.
«Qualche altra idea, Inspector Jefe?»
«Abbiamo la deposizione di Marciano Ruiz?»
Ramírez fece cenno di sì indicando la scrivania, e disse che la deposizione non aveva apportato niente di nuovo. Falcón la lesse fino in fondo solo per evitare di dover parlare a Ramírez del suo viaggio a Madrid e degli orrori della famiglia Jiménez. La cosa non aveva abbastanza attinenza con l'omicidio; Ramírez avrebbe cominciato a indebolire la sua posizione e altri funzionari avrebbero preso a guardarlo con aria compassionevole, come il primo poliziotto che aveva affrontato un'indagine per omicidio partendo da un episodio di trentasei anni prima.
«Ieri pomeriggio sono stato a trovare Eloisa Gómez», disse Ramírez.
«È riuscito a tirarle fuori qualcosa?»
«Non mi ha fatto un pompino gratis, se è questo che intende.»
«Non dopo quello che le ha fatto ieri», commentò Falcón. «È crollata?»
«Non parlerebbe con me nemmeno se lo fosse, e adesso è spaventata.»
«Sembravate andare così d'accordo», ribatté Falcón, «credevo quasi che volesse invitarla a casa.»
«Forse avrei dovuto essere più paziente», disse Ramírez, «ma credevo davvero, sa, che l'avesse lasciato entrare lei e che un attacco verbale duro avrebbe potuto funzionare.»
«Inizieremo la giornata con le Mudanzas Triana», annunciò Falcón, passando ad altro, «poi andremo al funerale di Raúl Jiménez con una videocamera, per filmare i presenti. Li controlleremo spuntando l'elenco degli indirizzi e continueremo i colloqui. Dobbiamo ricostruire il quadro della sua vita.»
«Ed Eloisa Gómez?»
«Pérez può interrogarla di nuovo questo pomeriggio. Saranno passate quasi quarantotto ore da quando è stata con Raúl Jiménez. Se è una complice, a quest'ora l'assassino si sarà già messo in contatto con lei e questo potrebbe aver cambiato il suo modo di pensare.»
«O aver cambiato ben altro», osservò Ramírez. «In peggio.»
Presa la videocamera, Ramírez si diresse alla macchina per andare con Falcón alle Mudanzas Triana, in avenida Santa Cecilia. Parlarono con il proprietario, Ignacio Bravo, il quale li ascoltò mentre esponevano lo scenario da loro immaginato, gli occhi immobili sotto le palpebre gonfie, fumando una Ducados dietro l'altra.