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«Prima di tutto è impossibile», disse alla fine. «I miei uomini sono…»

«Hanno firmato una dichiarazione», lo interruppe Ramírez, annoiato a morte, porgendogli il foglio.

Bravo lesse il documento, scuotendo la sigaretta in direzione di uno pneumatico in miniatura che conteneva il posacenere.

«Saranno licenziati.»

«Ci parli del suo accordo con il signore e la signora Jiménez», disse Falcón. «Può cominciare col dirci perché avevano voluto traslocare durante la settimana santa, che deve essere il periodo di maggior lavoro per i ristoranti.»

«E non a buon mercato per i traslochi. Le nostre tariffe raddoppiano. Io l'ho spiegato chiaramente alla signora, Inspector Jefe. Ma non potevano farlo la settimana prossima quando i ristoranti erano chiusi, perché eravamo già impegnati… noi come tutti gli altri. Perciò lei ha pagato senza discutere. Non le importava.»

«Quando è andato a dare un'occhiata al lavoro da svolgere?»

«La settimana scorsa sono andato a vedere il posto, la quantità di mobili di grosse dimensioni, il numero di scatoloni necessario, quel genere di cose. Poi l'ho chiamata il giorno dopo per dirle che si sarebbe trattato di un lavoro di due giorni e le ho comunicato la cifra.»

«Un lavoro di due giorni?» intervenne Ramírez. «Quando avete cominciato?»

«Martedì.»

«Allora i giorni sarebbero stati tre.»

«Il signor Jiménez ci ha chiamato per dire che non voleva far portare via i mobili dello studio prima di giovedì. Io gli ho detto che gli sarebbe costato più del doppio e che saremmo riusciti a finire il lavoro come previsto, ma lui ha insistito e io non discuto con i ricchi, mi accerto solo che paghino. Sono i peggiori…»

Quando vide l'espressione dei due poliziotti non finì la frase.

«In quanti sapevano del cambiamento di programma?» domandò Falcón.

«Capisco dove volete arrivare», disse l'uomo, evidentemente a disagio. «Certo, dovevano saperlo tutti qui, voleva dire programmare spostamenti di personale. Non penserà che uno dei miei uomini sia l'assassino?»

«Quello che ci dà da pensare», soggiunse Falcón lasciando il sospetto di Bravo ad aleggiare nella stanza, «è che, se il nostro quadro è corretto, l'assassino deve aver saputo del cambiamento di programma. Deve essere stato al corrente del fatto che il signor Jiménez sarebbe rimasto una notte in più nell'appartamento, e da solo. Può averlo saputo soltanto dallo stesso signor Jiménez o da qualcuno di qui. Quando ha confermato il lavoro, la signora Jiménez?»

«Mercoledì 4 aprile», rispose l'uomo, dopo aver consultato l'agenda.

«E quando ha cambiato programma il signor Jiménez?»

«Venerdì 6 aprile.»

«Aveva già assegnato una squadra a questo lavoro?»

«L'ho fatto mercoledì.»

«In che modo procede?»

«Chiamo la mia segretaria che informa il capodeposito e il capodeposito lo scrive su una lavagna al pianterreno.»

Falcón chiese di parlare con la segretaria e Bravo la convocò: una donna minuta e bruna sui cinquant'anni, piuttosto nervosa. Le domandarono che cosa avesse detto al capodeposito.

«Gli ho riferito che c'era stato un cambiamento, che il signor Jiménez non voleva che si toccasse lo studio prima di giovedì e che bisognava lasciare un letto nella stanza dei ragazzi.»

«E il capodeposito che cosa ha risposto?»

«Una battuta volgare sull'uso del letto.»

«Che cosa fa il capodeposito di queste informazioni?»

«Le scrive in rosso sulla lavagna, per indicare con chiarezza che si tratta di un cambiamento di programma», rispose la donna. «E in questo caso ha annotato su una colonna separata le informazioni sullo studio e sul letto.»

«In genere le batte anche a macchina sui fogli di lavoro degli uomini», intervenne Bravo, «in modo che non si dimentichino. Non sono dei gran cervelli quelli che lavorano nei traslochi.»

I tre uomini scesero nel deposito per vedere la lavagna che conteneva tutte le informazioni per i lavori di aprile e di maggio: il trasloco dei Jiménez risultava ancora aperto. Il capodeposito venne loro incontro. La segretaria aveva ragione, l'uomo sembrava il tipo che comincia la giornata con un paio di bicchierini di incoraggiamento.

«Così nel deposito tutti avrebbero saputo del cambiamento di programma nel trasloco dei Jiménez?» chiese Falcón.

«Senza dubbio», rispose l'uomo.

«Com'è la sicurezza da voi?» domandò Ramírez.

«Non immagazziniamo niente qui, perciò è minima», rispose Bravo. «Ci sono un addetto e un cane.»

«Durante il giorno?»

Bravo scosse il capo.

«Nemmeno una telecamera?»

«Non serve.»

«Perciò uno potrebbe entrare dal retro, sulla calle Maestro Arrieta?»

«Volendo…»

«Nessuna tuta mancante?» domandò Ramírez.

Non mancava niente, nessuno aveva riferito nulla. Le tute erano del tipo consueto, con la scritta MUDANZAS TRIANA stampata sul dorso. Non sarebbero state difficili da imitare.

«Non è venuto nessun estraneo qui?» si informò Ramírez.

«Solo qualcuno che cercava lavoro.»

«Qualcuno?»

«Ogni settimana si presentano due o tre tizi e io rispondo loro sempre la stessa cosa, che non assumiamo gente presa dalla strada.»

«E nelle ultime due settimane?»

«Qualcuno in più, gente che vuole guadagnare qualcosa per Pasqua e la Feria.»

«Diciamo venti persone?»

«Diciamo dieci.»

«Che genere di persone?»

«Be', per fortuna erano tutti grassi e bassi, altrimenti sarebbe un problema ricordarsi com'erano fatti, per poterlo dire a voi.»

«Senta, signor bello spirito», disse Ramírez, puntandogli contro il dito, «un tizio è venuto qui, ha avuto le informazioni sul lavoro che avreste fatto nell'Edificio Presidente e le ha usate per introdursi nell'appartamento e torturare a morte un vecchio. Perciò cerchi di sforzarsi un po' di più.»

«Non mi avevate detto che era stato torturato a morte», protestò Bravo.

«Non mi ricordo niente comunque», affermò il capodeposito.

«Forse erano immigrati», suggerì Ramírez.

«Forse, qualcuno di loro.»

«Marocchini, per esempio, che lavorano gratis.»

«Noi non impieghiamo…» cominciò Bravo.

«L'abbiamo già sentita e non ci ho creduto nemmeno la prima volta», lo interruppe Ramírez. «Perciò, se apprezza il quieto vivere e non vuole visite dell'ufficio Immigrazione, provi a far funzionare le meningi per ricordare chi è stato qui da venerdì scorso in poi e se ha notato che qualcuno guardasse con un certo interesse quella lavagna.»

«Perché», intervenne Falcón, accennando al capodeposito, «tra le persone che abbiamo interrogato, probabilmente lei è il solo che ha visto l'assassino e gli ha parlato.»

«E sa com'è», disse Ramírez, «è una cosa che potrebbe venire in mente anche a lui. Buen-as.»

XI

Sabato 14 aprile 2001

«Aveva ragione, il signor Bravo», osservò Ramírez, «il collegamento è troppo ovvio, ma l'assassino potrebbe essere effettivamente uno dei suoi uomini.»

«Ma solo se è corretta la seconda ipotesi, quella in cui Eloisa Gómez fa entrare l'assassino», obiettò Falcón. «Se avesse usato l'autoscala, sarebbe risultato assente dal lavoro nel pomeriggio. Dobbiamo interrogare tutti i dipendenti e aumentare la pressione sulla ragazza.»

«Sa che cosa non mi va giù di questo tizio?» osservò Ramírez. «Del nostro assassino?»

Falcón non rispose, guardando dal finestrino i vari bar e caffè che sfrecciavano lungo la calle San Jacinto mentre l'auto attraversava Triana, dirigendosi verso il fiume. All'improvviso si sentì scoraggiato; l'indagine si stava abbassando al livello di minuzie del quotidiano di una ditta di traslochi.