«Non mi va giù che sia fortunato», terminò Ramírez. «Perché è davvero molto fortunato, Inspector Jefe.»
«Speriamo che conti su questo», disse Falcón, irritato e di pessimo umore. Era infastidito dal caffè bevuto a stomaco vuoto e privo di energie per mancanza di sonno; e il caso era ancora in alto mare. I suoi uomini non avevano trovato nessuno a Los Remedios, non una sola persona che avesse notato almeno il furgone delle Mudanzas Triana e l'autoscala.
«Che cosa intende dire, Inspector Jefe?»
«La gente che conta sulla propria fortuna in genere continua a farlo anche quando la fortuna si è esaurita da un pezzo. Come i giocatori. In ultima analisi sono poco intelligenti.»
«Lei ha in mente qualcosa, Inspector Jefe.»
«Davvero? Non mi pare.»
«Non crede che abbia finito, vero? L'assassino, intendo.»
«Non lo so.»
«Pensa che voglia mettere alla prova la sua fortuna ancora un po'… per vedere fin dove può arrivare.»
A Falcón non piaceva, di Ramírez, proprio quel suo fare sempre il bravo poliziotto che osservava, coglieva e definiva parole e frasi. E ora si stava comportando così con lui.
«Lei parla dell'assassino al maschile», disse, usando una tattica diversiva, «ma non possiamo essere sicuri nemmeno di questo.»
Ramírez sorrise divertito mentre attraversavano il puente de Isabel II e seguivano la sponda orientale del fiume verso nord, San Jerónimo e il cimitero.
«Lei sa che venendo qui stiamo perdendo tempo, non è vero, Inspector Jefe?»
«No, non lo so. Dove pensa che possiamo scoprire il punto in cui fare breccia? Non l'abbiamo trovato in nessuno dei posti ovvi, sul corpo, nell'appartamento, nell'Edificio Presidente, all'esterno dell'Edificio, nella ditta di traslochi: in nessuno di questi luoghi.»
«Sa che ieri l'ho cercata?» disse Ramírez, cambiando argomento.
«Non ho trovato nessun messaggio fino a stamani.»
«Era solo per dirle che lei aveva ragione, Inspector Jefe.»
Falcón si girò verso di lui lentamente, non in modo furtivo, ma come se stesse osservando gli edifici dell'Expo '92, La Isla Mágica con la sua aria assolutamente banale al di là del fiume pigro, grigio. In genere secondo Ramírez nessuno aveva mai ragione, meno di tutti il suo Inspector Jefe.
«Come ha detto lei, è troppo elaborato. Il modo», spiegò Ramírez.
«Per un movente comune come una questione di affari, vuol dire?»
«Sì.»
Occorse una frazione di secondo perché una quantità di osservazioni subliminali si fondesse nella mente di Falcón. Ramírez non era mai stato così gradevole: non lo aveva ostacolato alle Mudanzas Triana; aveva saputo trattare con il capodeposito, un tipo d'uomo più adatto a lui; gli aveva telefonato quattro volte in un giorno festivo; aveva ammesso di essere stato da Eloisa Gómez per interrogarla di nuovo, riconoscendo che la sua impazienza aveva probabilmente impedito che si ottenessero da lei informazioni preziose. E credeva che lui, Javier Falcón, avesse avuto ragione.
«Conosce la procedura», disse Falcón. «Non ci è permesso non fare nulla. Abbiamo offerto molto poco al Juez Calderón, a parte Consuelo Jiménez ed Eloisa Gómez. La prima è una persona complessa e raffinata che aveva l'occasione e i mezzi, la seconda aveva l'occasione ma non vuole dirci nulla. Il nostro compito è di trovare piste e quando le piste non si presentano con prove materiali, dobbiamo, poco alla volta e in modo umano, tirarle fuori dalle persone… o talvolta da luoghi privi di vita come i cimiteri o le rubriche telefoniche.»
«Ma lei dubita che ora, qui, troviamo qualcosa che abbia a che vedere con il caso, non è vero?»
«Esiste il dubbio, certo, ma proverò lo stesso, perché potrebbe saltarne fuori qualcosa che indirettamente porti a una traccia.»
«Per esempio?»
«Quello di cui parlava lei l'altra sera. Come si chiamava quel tipo? Cinco Bellotas?»
«Joaquín López.»
«I ragazzi licenziati dalla signora Jiménez… hanno visto i due parlare tra loro. Non sappiamo di che cosa si sia trattato, potrebbe avere un collegamento oppure no, ma dobbiamo accertarlo.»
«Però lei continua a pensare che si tratti dell'opera di una mente disturbata?»
«Le menti non disturbate possono diventarlo, se viene minacciata la loro intera esistenza.»
«Ma quei filmati, quell'introdursi nell'appartamento, quel restarvi nascosto per dodici ore…»
«Ancora non sappiamo se le cose siano andate davvero così. Sono più incline a pensare che l'assassino abbia stretto un rapporto con la ragazza, che abbia ottenuto le informazioni necessarie alle Mudanzas Triana e abbia messo le due cose insieme per entrare nell'appartamento.»
«Ma lo spettacolo dell'orrore che ha inscenato con Jiménez?»
«Non è che non si possa immaginare», ribatté Falcón, dubitando di se stesso mentre lo diceva. «Non è inimmaginabile, vero?»
«Per me sì.»
Era vero, pensò Falcón, e la visione di Marta Jiménez gli attraversò la mente, con il suo mento sporco di vomito e la benda sulle sopracciglia. Ramírez era un individuo troppo poco complicato. Sarebbe sempre rimasto ispettore, perché la sua immaginazione non gli permetteva di aspirare a qualcosa di più, i suoi orizzonti erano troppo limitati.
«Che cosa crede che gli abbia fatto vedere, Inspector?»
Ramírez frenò a un semaforo, le mani strette sul volante, lo sguardo fisso sull'auto che lo precedeva, aspettando la mossa di Falcón. Lui cercò di far correre la mente in solchi laterali e inesplorati.
«La sostanza dell'orrore», disse Falcón, «non consiste necessariamente in ciò che è realmente terribile.»
«Continui», lo incoraggiò Ramírez, giudicandolo un animale strano, ma contento di aver evitato uno sforzo creativo.
«Pensiamo a noi, al livello raggiunto dalla nostra civiltà… voglio dire, ormai possiamo anche ridere del cannibalismo, certo, non c'è più niente che ci spaventi, abbiamo visto tutto… tranne…»
Il semaforo cambiò, a Ramírez si spense il motore, suoni di clacson.
«Tranne che cosa?»
«Tranne ciò che abbiamo scelto di non sapere.»
«E questo non è inimmaginabile?»
«Intendo dire qualcosa che sappiamo di noi stessi, qualcosa di assolutamente privato, nascosto profondamente, che non mostriamo a nessuno e che neghiamo fermamente, perché non saremmo in grado di vivere se ne ammettessimo l'esistenza.»
«Non ho capito niente», affermò Ramírez. «Come è possibile sapere e non sapere allo stesso tempo? È un'assurdità.»
«Quando mio padre si trasferì a Siviglia negli anni '60, fece amicizia con il prete della parrocchia che passava sempre davanti alla sua porta per andare alla chiesa in fondo a calle Bailén. Mio padre non andava in chiesa e non credeva in Dio, ma si trovavano allo stesso caffè e in tanti anni di discussioni erano diventati amici. Una volta, alle tre del mattino, mentre lavorava nel suo studio, mio padre sentì gridare in strada: 'Ehi! Cabrón! Sei stato mandato apposta per me, non è vero, Francisco Cabrón!' Era il prete. Aveva perso la sua abituale calma e sembrava infuriato, quasi pazzo, la tonaca strappata, i capelli scompigliati e beveva brandy dalla bottiglia. Mio padre lo fece entrare e lui si mise a camminare intorno al patio, imprecando contro se stesso e contro la sua vita inutile. Gli era capitato quella mattina, mentre distribuiva la comunione.»
«Aveva perso la fede», disse Ramírez. «Capita sempre. Poi la ritrovano.»
«Peggio di così. Disse a mio padre di non aver mai avuto la fede, tutta la sua vita nella chiesa era cominciata con una bugia. Una ragazza non aveva ricambiato il suo amore. Sembra che si fosse fatto prete per farle dispetto e avesse finito per fare torto a se stesso. Da più di quarant'anni lo sapeva… ma senza esserne realmente consapevole. Era stato un buon prete, ma non aveva importanza, perché nell'edificio della sua vita c'era quella falla, quella minuscola bugia sulla quale era stato costruito tutto.»