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«E questo quadro ha un titolo?»

«Fiori d'arancio e sterco di cavallo: direi che è un titolo appropriato.»

«E lei mi darebbe una copia di quest'opera importante, se io la lasciassi entrare nello studio di mio padre e… che altro? Se le lasciassi organizzare una mostra…»

«Oh, no, no, no, que no, Javier, hombre, non pretenderei mai una cosa simile. Certo, sarebbe bello un giro nostalgico tra i suoi paesaggi astratti, ma è tutto passé, ormai. Se avesse qualche nudo nascosto come quello del Reina Sofía, o come i due del Guggenheim e quello che Barbara Hutton ha donato al MOMA, be', allora sarebbe diverso. Ma tu e io sappiamo…»

«Sono sconcertato, Ramón.»

«Voglio soltanto passare una giornata da solo nel suo studio», disse Salgado, mordicchiando un altro cappero. «Puoi chiudermi dentro. Puoi perquisirmi quando esco. Tutto ciò che chiedo è un giorno tra i suoi pennelli, i suoi rotoli di tela, i suoi telai e i suoi colori.»

Il bicchiere di manzanilla a mezz'aria, Falcón fissò il vecchio, cercando di leggergli dentro, di intravedere il suo meccanismo interno, le molle e gli ingranaggi. Salgado faceva girare il bicchiere tenendolo per lo stelo, disegnando un cerchio sul legno della botte. Aveva l'aria triste, perché era quella la sua espressione abituale. E impenetrabile, i suoi modi cortesi solidi come una corazza.

«Devo pensarci, Ramón», disse Falcón. «Non è esattamente una normale trattativa d'affari.»

XII

Sabato 14 aprile 2001, Jefatura, calle Blas Infante, Siviglia

Falcón e Ramírez erano seduti nella stanza degli interrogatori della Jefatura, la videocamera collegata al televisore mentre un poliziotto più giovane, che si intendeva di queste cose, provvedeva al funzionamento dell'intera apparecchiatura. Ramírez si informò sul vecchio signore incontrato al cimitero.

«Ramón Salgado. Era il gallerista di mio padre.»

«Non aveva l'aria di poter sollevare Jiménez dalla sedia», osservò Ramírez, «e nemmeno di riuscire ad arrampicarsi su un'autoscala.»

«È anche un critico d'arte che occasionalmente tiene all'università conferenze a cui non assiste nessuno. Ha una galleria in calle Zaragoza, vicino a plaza Nueva. È tuttora frequentata da gente importante, compresi la signora Jiménez e suo marito.»

«Ha l'aria di uno che sa tirar fuori i soldi dalle tasche altrui.»

«Abbiamo parlato di denaro sporco nel settore della ristorazione e ha perfino toccato l'argomento dell'Expo '92, cosa che credo abbia fatto poco volentieri, e c'è stata un'offerta di informazioni.»

«Ma non le ha detto niente?»

Falcón avvertì di nuovo la sonda in azione.

«Conosco Ramón Salgado», rispose. «Apparentemente è un uomo d'affari di successo, quattrini, macchina di lusso, casa a El Porvenir, clienti importanti, ma ai suoi occhi è un fallito. Non si è mai impegnato in prima persona come gli artisti che rappresenta, tiene conferenze alle quali non partecipa nessuno, ha scritto due libri di nessuna rilevanza, sia dal punto di vista accademico, sia dal punto di vista commerciale.»

«E che cosa voleva?» domandò Ramírez.

«In cambio di informazioni vuole qualcosa di personale… qualcosa che ha a che vedere con mio padre. Io non voglio concedergliela in cambio di semplici pettegolezzi.»

«Il mercato dei pettegolezzi è fiorente», osservò Ramírez.

«Lei non è mai stato all'inaugurazione di una mostra, Inspector? C'è sempre moltissima gente, persone che fingono di sapere più di quello che sanno, che credono di essere le uniche a capire le opere e che poi… cercano di tradurle in parole.»

«Quelle sono stronzate, non pettegolezzi.»

«Quel genere di persone vuole essere là dove si manifesta, vuole toccarlo, vuole parlarne.»

«Parlare di che?»

«Del genio», rispose Falcón.

«I ricchi non si accontentano mai di quello che hanno, no? Nemmeno quelli del barrio che hanno sfondato si accontentano. Vogliono tornare e ficcarti in gola il loro successo e per giunta rimanere amici.»

«Neanche mio padre lo ha mai capito, eppure era ricco anche lui», disse Falcón. «Lo disprezzava.»

«Che cosa?» domandò Ramírez, pensando che stessero ancora parlando di genio.

«Il desiderio di accaparrare, l'avidità.»

«Oh, certo», convenne Ramírez sarcastico, cercando le sigarette: sapeva bene che il vecchio Falcón aveva lasciato una fortuna in proprietà che si era «accaparrato». Se aveva disprezzato l'avidità, allora il vecchio cabrón aveva disprezzato se stesso.

L'attrezzatura era finalmente pronta; si girarono verso lo schermo. Dal ronzio del nastro si passò bruscamente alla prima immagine: il silenzio del cimitero, le ombre dei cipressi lungo il sentiero, i convenuti adunati intorno alla cappella.

La mente di Falcón indugiò su Salgado, su suo padre, sullo studio mai aperto e sulla strana richiesta. Era stato Salgado a creare per suo padre la possibilità di farsi conoscere e per questa ragione in privato Francisco Falcón riservava a lui un disprezzo speciale. Salgado aveva organizzato a Madrid la mostra in cui era stato venduto il suo primo nudo, all'inizio degli anni '60. Il mondo dell'arte europeo era impazzito, la casa di calle Bailén era stata comprata sull'onda di quel successo.

E sull'onda di quel successo, grande, ma domestico, Salgado aveva organizzato una mostra a New York. Erano corse voci di una montatura, che il quadro fosse già stato promesso all'ereditiera Woolworth e «regina» di Tangeri, Barbara Hutton, e che la mostra fosse solo un mezzo per creare eccitazione intorno al nome di Francisco Falcón. In ogni caso aveva funzionato. Barbara Hutton aveva effettivamente comprato il quadro e, alla mostra, era accorsa tutta la folla scintillante e mondana di New York. Il nome di Falcón era sulle labbra di tutti. Le due successive esposizioni nella stessa città avevano ottenuto un grande successo e, per un periodo di qualche settimana, alla metà degli anni '60, Francisco Falcón era stato famoso quasi quanto Picasso.

Parte di quel successo era dovuto al talento di Ramón Salgado, il quale conosceva fin dal principio i limiti del suo artista. Il fatto era, e in suo padre questo aveva causato grande amarezza, rabbia e frustrazione, che esistevano solo quattro nudi Falcón, tutti dipinti nello spazio di un anno, a Tangeri, all'inizio degli anni '60. Dopo il suo arrivo in Spagna quella particolare vena del suo genio si era esaurita. Il pittore non era mai riuscito a ricatturare quella qualità unica, misteriosamente proibita, presente in quei quattro quadri astratti. Suo padre gli parlava spesso di Gauguin, gli spiegava che Gauguin era già un pittore eccezionale prima di aver visto le donne delle isole dei mari del Sud, ma che, a quel tempo, nessuno lo sapeva. Quelle figure femminili avevano fatto riemergere il suo genio. Se non fosse stato per loro, sarebbe probabilmente finito a dipingere porte in Francia. La stessa cosa era accaduta a Francisco Falcón. La sua prima moglie era morta, la seconda anche e il pittore aveva lasciato Tangeri. I critici avevano scritto che il carattere particolare di quei nudi era una sorta di consapevole innocenza, una presenza intangibile e che forse era stato il trauma di quegli ultimi anni a Tangeri a interrompere il flusso ispiratore: le perdite che aveva subito gli avevano impedito di accedere nuovamente a quella purezza innocente. Non aveva mai nemmeno tentato di dipingere un nuovo nudo astratto.

Qualcosa attirò l'attenzione di Falcón. Una macchiolina nera comparsa brevemente sullo schermo bianco.

«Che cos'era?»

Ramírez sobbalzò sulla sedia. Quasi non lo stava guardando, quello stramaledetto filmato, solo una gran perdita di tempo, secondo lui.