«Ho intravisto qualcosa», disse Falcón. «Qualcosa sullo sfondo. In alto a destra. Possiamo tornare indietro?»
Ramírez si aggirò intorno allo schermo come un moscone intorno a un mucchio di letame. Il dito tozzo premette maldestramente il pulsante di riavvolgimento e le figure cominciarono a rincorrersi all'indietro. Un altro colpo e presero a muoversi a un passo più dignitoso.
Era dopo la cerimonia davanti al mausoleo, la gente si stava allontanando. Falcón osservò attentamente lo sfondo: il profilo frastagliato dei tetti delle cappelle di famiglia, la linea piatta delle strutture che ospitavano i loculi dove riposavano le ossa dei poveri. La videocamera cominciò una lenta panoramica da sinistra a destra.
«L'ha visto?» domandò Falcón, meno sicuro ora che si stava concentrando.
«Io non ho visto nulla», disse Ramírez, soffocando uno sbadiglio.
«Richiami quel giovanotto per fermare l'immagine.»
Ramírez andò a recuperare il giovane poliziotto, che fece scorrere le sequenze un'inquadratura dopo l'altra.
«Ecco», disse Falcón, «a destra in alto, contro la cappella bianca.»
«Joder!», esclamò Ramírez. «Crede che sia lui?»
«Lo ha colto proprio alla fine della panoramica.»
«Otto fotogrammi», annunciò il giovane poliziotto. «Vuol dire un terzo di secondo. Non so come abbia fatto a vederlo.»
«Non l'ho visto», spiegò Falcón, «ha solo colto il mio sguardo.»
«Sta filmando i presenti!» Ramírez era sbalordito.
«Deve aver visto lei e la sua videocamera, Inspector, e si è ritirato dietro il mausoleo bianco», disse Falcón. «Ma quello, ne sono quasi certo, è un terzo di secondo del nostro assassino.»
Guardarono il filmato tre volte, ma non notarono null'altro. Alla sezione informatica un operatore ancora al lavoro digitalizzò le immagini della cassetta e inserì nel computer gli otto fotogrammi, selezionò l'elemento vitale e lo ingrandì. A dispetto di una certa distorsione della figura, apparve chiara la cura che quella persona aveva riservato al suo aspetto. Portava un berretto da baseball nero senza segni distintivi della marca, la visiera girata nella posizione ore dieci in modo da poter tenere la videocamera ben ferma sull'occhio. Aveva i guanti e il collo di un maglione dolcevita che gli copriva la bocca e il naso. Era inginocchiato e il soprabito scuro arrivava fino a terra.
«Non possiamo nemmeno capire di che sesso è», si rammaricò Falcón.
«Posso ripulire l'immagine» disse l'operatore. «Dovrò lavorare nel weekend, ma posso farlo.»
Si fecero stampare il fotogramma e tornarono nell'ufficio di Falcón.
«Dunque, che cosa stava facendo al funerale?» si domandò Falcón, sedendosi alla scrivania. «Stava filmando qualcuno in particolare o solo la scena nel suo complesso?»
«Fumava la conclusione della sua opera», suggerì Ramírez, «il bastardo morto e sepolto. Questa è la mia ipotesi.»
«Avrebbe corso un tale rischio solo per una soddisfazione personale?»
«Non era un rischio poi così grande, in genere non filmiamo i funerali delle vittime», obiettò Ramírez.
«Potrebbe essere la fine di quel lavoro e l'inizio di un altro», disse Falcón.
«Non era questo che stava insinuando prima che arrivassimo al cimitero?»
«Non ricordo di aver insinuato niente.»
«Ha detto che una mente non disturbata avrebbe potuto diventarlo. Non è la stessa cosa?»
«Un pazzo con un movente perverso. O un pazzo perverso senza movente.»
Ramírez si guardò alle spalle, per vedere se fosse appena entrato qualcuno più intelligente di lui.
«Ma è questo il punto, no?» riprese Falcón. «Ancora non abbiamo niente su cui costruire un'indagine.»
Attaccò il fotogramma stampato alla parete.
«È come quel gioco nei giornaletti», affermò Ramírez, distendendosi sulla sedia. «Si deve indovinare l'identità di una pop star da un occhio, un naso o una bocca. I miei ragazzi pensano che io dovrei riuscirci perché sono un poliziotto, ma a quanto pare non capiscono che io non so chi siano quei tizi. Chi cazzo è Ricky Martin?»
«Il figlio di Dean Martin?»
«E chi cazzo è Dean Martin?»
La domanda fece perdere il controllo a Falcón, che fu preso da un attacco isterico. Forse era per via delle notti inquiete, degli strani sogni. Un fou rire silenzioso. Fino alle lacrime che Falcón asciugava contorcendosi sulla sedia, assalito da un'ondata di ilarità dopo l'altra. Ramírez lo fissava come un avvocato con un cliente inaffidabile chiamato a deporre in tribunale.
L'Inspector telefonò agli uomini sul campo, ascoltò i rapporti. Niente. Uscì per la pausa del pranzo e Falcón finalmente si riprese e andò a casa, ancora stordito da quell'esplosione d'ilarità, dal fatto che fosse capitato a lui di perdere il controllo. Mangiò qualcosa che Encarnación aveva lasciato sul fornello, senza rendersi conto di che cosa fosse, poi si coricò sul letto, sperando in un'ora di sonno. Si svegliò alle nove di sera nel buio pesto della sua camera, di colpo desto come se qualcuno avesse tirato qualcosa che gli annodava lo stomaco. Aveva visto gli ubriachi fare la stessa cosa, risvegliarsi all'improvviso in cella come se fossero stati scaraventati d'un tratto nella corrente della vita. Si sentiva incerto sulle gambe, aveva la lingua impastata e un brutto sapore in bocca, le membra irrigidite e le giunture bloccate.
In piedi sotto la doccia lasciò che l'acqua corrente si portasse via tutto quanto, con l'impressione che la testa e le viscere fossero frullatori muniti di lame che trituravano, schiacciavano, maciullavano.
Nello spogliatoio indossò un paio di calzoni grigi e una camicia bianca che emise una sorta di crepitio mentre la infilava. Nel guardarsi allo specchio non riuscì a sopportare la vista di se stesso. La camicia. Odiava quel bianco, non sopportava il… non colore. Se la strappò di dosso e, con un brivido provocato da quell'odio così violento, la fece volare in fondo alla stanza. Avvicinatosi allo specchio si esaminò il viso, premette la pelle più delicata sotto gli occhi, la vide raggrinzirsi ma non tornare elastica come prima. L'età. Forse il suo interno stava riempiendosi di rughe come l'esterno? Forse nel cervello si stavano formando tante grinze, così che lui andava a letto amando le camicie bianche e si svegliava detestandole?
Scelse una camicia verde.
Di ritorno in camera, mentre guardava il letto disfatto e le lenzuola blu scuro, lo assalì un ricordo improvviso. Inés aveva sempre voluto lenzuola bianche, ma lui non riusciva a dormirci. Un altro esempio della sua avversione per il bianco. Si erano accordati sul celeste. Falcón ebbe una curiosa percezione di se stesso come di un tipo eccentrico, simile a certi collezionisti inglesi che suo padre aveva conosciuto. No, quella era chiaramente una bugia suggerita subdolamente dal suo ego. Vide se stesso come Inés doveva averlo visto: un vecchio, con le sue manie e le sue abitudini; se non che un quarantacinquenne non poteva dirsi vecchio. Però a quindici anni un uomo di quaranta gli pareva decrepito, i quarantenni indossavano completi, portavano il cappello e avevano i baffi… A ben pensarci, lui vestiva sempre così, perfino il sabato e la domenica era in giacca e cravatta. Inés aveva cercato di convertirlo alle felpe e ai jeans, alle polo con le maniche lunghe e perfino ai dolcevita, un genere che lui non riusciva assolutamente a portare. Mancanza di sostegno. A lui piacevano camicia e cravatta perché lo tenevano insieme, lo facevano sentire contenuto. Non sopportava gli indumenti larghi e sformati, gli piacevano gli abiti su misura, amava la sensazione di guscio che gli suggeriva un completo di buon taglio. Lo faceva sentire piacevolmente protetto.
Protetto da che cosa?
Di nuovo quel senso di precipitazione interiore. Questa volta, invece di liberarsene con uno scossone, cercò di esaminarlo. Era come una proiezione accelerata di un film… ma non era proprio così, perché non c'era un avanzamento. Anzi. Ma non era nemmeno una regressione. Una stasi. Sì, era così. Rimase immobile mentre il passato lo raggiungeva. Il pensiero lì e subito dopo svanito, simile a un frammento che precipitasse in un lampo al di là del finestrino… E da dove veniva? Frammenti che precipitavano… Il sogno riaffiorò da un sonno che aveva creduto senza sogni; perciò si era svegliato di soprassalto. Conosceva l'origine di quell'incubo. Aveva letto il resoconto del disastro aereo del volo 103 Pan Am, a Lockerbie, in Scozia. Un uomo si era svegliato all'improvviso in casa sua e aveva trovato in giardino una fila di passeggeri ancora sui loro sedili che… tenevano tutti le dita incrociate. Quel particolare pietoso aveva trascinato nella mente di Falcón l'orrore dell'aereo esploso in aria, un orrore che gli era rimasto dentro e che ora la memoria aveva riportato alla superficie. Lo schianto; i componenti, i meccanismi fondamentali del velivolo che volavano via al di là del finestrino, pezzi di turbina, finiture di ali… e poi scagliati fuori nelle fauci sbadiglianti della notte, a precipizio attraverso il buio sottile, la mente annichilita, solo l'istinto a lottare per ritrovare momenti meno pericolosi, le montagne russe, la montagna magica. Oh, andrà tutto bene, dita incrociate. Il suolo invisibile che ti viene incontro a precipizio, il nero sempre più nero, del genere senza stelle. Oh, Dio, il mondo capovolto, non eravamo certo fatti per questo, a che serve ora ripetersi: «Tenersi forte! Tenersi forte»? Siamo proprio in classe economica. E avremo un tale ritardo! Tutti questi pensieri — riflessioni folli, piccole battute persuasive, desiderio feroce di normalità — e intanto stiamo precipitando giù, verso l'impatto.