«Massimo effetto.»
«Un vero intrattenitore», convenne Felipe annuendo. «Su quest'altra custodia è scritto con il pennarello rosso La Familia Jiménez e nel videoregistratore c'è una cassetta con lo stesso titolo, identica scrittura.»
«Non sembrerebbe una prospettiva così orribile», osservò Falcón e tutti contemplarono per un istante il terrore e il sangue sulla faccia di Raúl Jiménez prima di tornare al loro lavoro.
«A lui lo spettacolo non è piaciuto», commentò Felipe.
«Non guardare, se non sei in grado di sopportarlo», consigliò Jorge da sotto la scrivania.
«I film dell'orrore non mi sono mai piaciuti», sentenziò Falcón.
«Neanche a me», affermò Jorge. «Non sopporto tutta quella… quella…»
«Quella? Che cosa?» domandò Falcón, stupito di provare interesse.
«Non so… la normalità, l'aspetto minaccioso che può assumere la normalità.»
«Abbiamo tutti bisogno di un po' di paura per tirare avanti», disse Falcón, osservandosi la cravatta rossa, la fronte di nuovo imperlata di sudore.
Da sotto la scrivania venne un tonfo sordo: la testa di Jorge aveva sbattuto contro il fondo.
«Joder!» Cazzo. «Sapete che cos'è questo?» domandò Jorge, sbucando da dietro la scrivania. «Questo è un pezzo della lingua di Jiménez.»
Silenzio da parte degli altri tre.
«Lo metta in un sacchetto», disse Falcón.
«Non si troverà nessuna impronta», spiegò Felipe. «Le custodie delle cassette sono pulite, il videoregistratore, il televisore, il mobiletto, il telecomando sono puliti. Questo tizio si era preparato bene.»
«Un uomo?» domandò Falcón. «Questo non lo abbiamo ancora accertato.»
Felipe inforcò un paio di occhiali fatti su misura, forniti di lenti di ingrandimento, e cominciò a esaminare minuziosamente il tappeto.
Falcón era sbalordito dal comportamento degli uomini della scientifica. Di sicuro non avevano mai visto niente di così orrido in tutta la loro carriera, non lì, non a Siviglia, eppure eccoli che stavano tranquillamente… Sfilò dalla tasca il fazzoletto perfettamente stirato e piegato in quattro e si asciugò la fronte. No, Felipe e Jorge non c'entravano affatto, il problema era suo. I due si comportavano così perché così si comportava normalmente lui e perché così lui aveva detto che occorreva comportarsi in un'indagine su un omicidio. Freddi. Obiettivi. Spassionati. Nel lavoro dell'investigatore, sentiva la propria voce dire nell'aula delle conferenze di un tempo, all'accademia, non si devono provare emozioni.
Che cosa c'era dunque di diverso nel caso di Raúl Jiménez? Perché il sudore in quella fresca mattina di aprile? Sapeva che alla Jefatura Superior de Policía in calle Blas Infante lo avevano soprannominato El Lagarto. Il ramarro. Aveva creduto che fosse per via della sua impassibilità, delle sue fattezze inespressive, della sua tendenza a fissare intensamente l'interlocutore mentre lo ascoltava. Inés, la sua ex moglie, la moglie divorziata da poco, lo aveva disilluso in proposito. «Tu sei freddo, Javier Falcón. Sei gelido come un pesce. Non hai cuore.» Che cos'era quello che stava battendo così furiosamente nel suo petto, allora? Si premette il punto corrispondente della giacca con il pollice e si rese conto di avere la mascella contratta. Felipe, chino sul tappeto, aveva alzato su di lui occhi da creatura marina.
«Un capello, Inspector Jefe», disse. «Trenta centimetri.»
«Colore?»
«Nero.»
Falcón si diresse alla scrivania per controllare la foto della famiglia Jiménez. Consuelo Jiménez, in piedi, avvolta in una pelliccia lunga fino a terra, aveva i capelli biondi pettinati all'insù, stile torta nuziale, e i tre figli maschi in posa sorridevano all'obiettivo.
«Nel sacchetto», ordinò prima di chiamare il Médico Forense. Nella fotografia Raúl Jiménez era in piedi accanto alla moglie, i denti da cavallo scoperti in un sorriso, le guance flosce: lui sembrava un nonno e la moglie una figlia. Matrimonio in età avanzata. Quattrini. Conoscenze. Falcón osservò il sorriso brillante di Consuelo Jiménez.
«Gran bel tappeto», disse Felipe, «seta, mille nodi ogni centimetro, folto, in grado di sostenere i mobili molto bene.»
«Quanto crede che pesi Raúl Jiménez?» domandò Falcón al medico legale.
«Be', direi che ora pesasse tra i settantacinque e gli ottanta chili, ma a giudicare dal ventre afflosciato deve essere arrivato a più di novanta.»
«Le condizioni del cuore?»
«Se la moglie non le conosce, il suo medico curante ne è certamente al corrente.»
«Crede che una donna abbia potuto sollevarlo dalla poltrona dov'era sprofondato, per spostarlo sulla sedia con la spalliera alta?»
«Una donna?» domandò il Médico Forense. «Pensa che sia stata una donna?»
«Non era questa la domanda, dottore.»
Il medico legale si irrigidì all'osservazione, che lo aveva fatto sentire stupido per la seconda volta.
«Ho visto infermiere addestrate a sollevare uomini molto più pesanti. Uomini vivi, naturalmente, il che rende la cosa più facile… ma non vedo perché no.»
Falcón si voltò, aveva finito con lui.
«Dovrebbe chiedere a Jorge, se vuole sapere qualcosa sulle infermiere, Inspector Jefe», disse Felipe, il deretano in aria, il naso praticamente affondato nel tappeto.
«Sta' zitto!» ribatté Jorge, seccato.
«Per quel che ne so, è tutta una questione di fianchi», riprese Felipe, «e di contrappeso delle natiche.»
«È solo teoria, Inspector Jefe», disse Jorge, «lui non ha mai avuto la possibilità di farsi un'esperienza pratica.»
«E che ne sai?» replicò Felipe, rialzandosi sulle ginocchia per afferrare un sedere immaginario, mimando l'amplesso. «Sono stato giovane anch'io.»
«Non che riusciste a combinare un gran che ai vostri tempi», obiettò Jorge. «Erano serrate come ostriche, no?»
«Le ragazze spagnole, sì», convenne Felipe. «Ma io sono di Alicante e Benidorm era a un tiro di schioppo. Tutte quelle ragazze inglesi negli anni '60 e 70…»
«Te le sei sognate», concluse Jorge.
«Sì, ho sempre fatto sogni molto erotici», ammise Felipe.
I due uomini della scientifica risero e Falcón li guardò, chini con il naso sul pavimento come maiali in cerca di ghiande, le partite di calcio e la gara a chi scopava di più che occupavano i loro cervelli. Ne fu leggermente disgustato e si girò di nuovo per studiare le foto alle pareti. Jorge accennò con il capo a Falcón e pronunciò silenziosamente la parola mariquita. Frocetto.
Risero di nuovo; Falcón li ignorò. Il suo sguardo, proprio come gli accadeva quando osservava un quadro, fu attirato dalle immagini alle estremità dell'esposizione. Si scostò dalle immagini centrali dove Raúl era ritratto con le celebrità e ne trovò una dove teneva le braccia sulle spalle di due uomini entrambi più alti e più grossi di lui: alla sua sinistra il Jefe Superior de la Policía de Sevilla, Comisario Firmín León, e alla sua destra il procuratore capo, Fiscal Jefe Juan Bellido. Sentì un peso gravargli addosso e si aggiustò la giacca, raddrizzando le spalle.
«Aha! Ora sì che ci siamo», esclamò Felipe. «Ecco qui. Un pelo del pube, Inspector Jefe. Nero.»
I tre uomini si voltarono simultaneamente verso la finestra, perché avevano udito voci soffocate dietro i doppi vetri e un rumore meccanico simile a quello di un ascensore. Al di là della ringhiera del balcone comparvero lentamente due uomini in tuta blu, uno con i capelli neri e lunghi legati sulla nuca e l'altro con i capelli a spazzola e un occhio pesto. Stavano gridando qualcosa alla squadra che manovrava l'autoscala, diciotto metri più in basso.
«Chi sono quegli idioti?» domandò Felipe.