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L'ultimo scatolone conteneva altri libri, rilegati in pelle, ma senza titolo. Anche il dorso era liscio. Ne aprì uno a caso. Le pagine erano coperte dalla scrittura nitida di suo padre. Una riga gli saltò all'occhio:

Sono così vicino.

Richiuse di scatto il volume per riaprirlo alla prima pagina: Siviglia 1970, Diari. Suo padre aveva tenuto un diario e lui non lo aveva mai saputo. La fronte era di nuovo imperlata di sudore e Falcón l'asciugò con la mano. Mano umida. Cercò di capire in che ordine erano stati riposti i diari e si rese conto che aveva tra le mani l'ultimo. Fece scorrere le pagine fino al dicembre 1972 e alle ultime parole del diario:

Sono veramente stufo ormai. Credo che smetterò.

Infilata nella cassa trovò una busta indirizzata «A Javier». Gli si rizzarono i capelli sulla nuca. L'aprì con dita tremanti. La data sulla lettera era: 28 ottobre 1999. Il giorno prima che suo padre morisse, tre giorni dopo il suo ultimo testamento.

Caro Javier,

se stai leggendo questa lettera, significa che stai pensando di disubbidire alle istruzioni e al mio preciso desiderio contenuto nel mio ultimo testamento del 25 ottobre 1999, nel quale, nel caso tu lo abbia dimenticato, è affermato in termini molto chiari che tutto ciò che è contenuto nel mio studio deve essere completamente distrutto.

Sì, esiste una scappatoia per te, Javier, che hai una mente logica da poliziotto. Puoi aver deciso di voler ispezionare, valutare, leggere e annusare le mie cose prima di distruggerle. Tu mi conosci meglio degli altri miei figli, noi due abbiamo parlato in un modo, con una confidenza che non sono mai riuscito ad avere con Paco o con Manuela. Sai che cosa intendo dire. Sai perché ho fatto così e ho affidato tutto a te.

Tanto per cominciare, né Paco né Manuela riuscirebbero mai a bruciare 85 milioni di pesetas, ma tu sì, Javier. So che lo farai, perché sai da dove proviene questo denaro e, cosa più importante, perché sei incorruttibile.

Forse pensi che la mia grande fiducia in te ti conferisca il diritto di leggere questi diari. Naturalmente non posso fare niente per impedirtelo e va bene così, ma devo avvertirti che il loro contenuto potrebbe essere devastante. Io non ne sarò responsabile. Devi decidere tu.

I diari non sono completi, sarà necessario un lavoro da investigatore. Tu sei perfetto per questo compito, ma non prenderlo alla leggera, Javier, specialmente se ti senti forte, contento, rinvigorito dalla tua vita attuale. Questa è una piccola storia di dolore e diventerà la tua. L'unico modo di evitarlo è non cominciare.

Il tuo affezionato padre,

Francisco Falcón

XIII

Sabato 14 aprile 2001, casa di Falcón, calle Bailén, Siviglia

Falcón rimise la lettera nella busta, la infilò nella scatola e spense le luci nelle due stanze, avvertendo che il buio inghiottiva con ingordigia il lavoro di suo padre.

I giardini di fronte al Museo de Bellas Artes stavano cominciando a riempirsi di giovani che fumavano marijuana e bevevano a collo dalle bottiglie da un litro di Cruzcampo. Alle undici di sera era ancora presto, ma, entro qualche ora, gli alberi oscuri sarebbero stati scossi dal frastuono di una festa di massa all'aperto. Si diresse verso il centro, lontano da luoghi dove poteva essere conosciuto.

Un certo ritmo si stabilì dentro di lui, un ritmo che non richiedeva il pensiero, solo la sensazione del selciato sotto la suola delle scarpe. Le parole della lettera di suo padre gli risuonavano fragorose nella mente come un interminabile treno merci che sussultasse a intervalli regolari sui binari. Sapeva che lo avrebbe fatto, sapeva che non avrebbe resistito e avrebbe letto i diari.

Mezz'ora dopo era in calle Jesús del Gran Poder, un nome altisonante per una strada di poche pretese. Tagliò per l'Alameda, dove le ragazze erano appostate tra gli alberi e le macchine parcheggiate nello spazio libero che la domenica mattina ospitava il mercato delle pulci. Dai bar e dai club in fondo alla strada giungeva una musica ritmata. Una ragazza si stirò la minigonna elasticizzata sul sedere e si avvicinò per domandargli che cosa cercasse. Aveva la faccia nera e bianca nelle luci gialle della via, i seni spinti in su nella scollatura geometrica di un top a rete, lo stomaco nudo arrotondato, le labbra nere e lucide: la lingua sembrava una creatura marina che si affacciasse tra gli scogli. Falcón era ipnotizzato. La ragazza suggerì qualcosa che funzionò, con sorpresa dell'uomo. Aveva voglia di sesso, ma non gli era mai venuto in mente di comprarlo. La prostituta aveva attirato la sua attenzione ormai, usava tutti i trucchi e Falcón sentiva qualcosa smuoverglisi dentro, ma nella posizione sbagliata, nel colore sbagliato, gli si torceva nello stomaco come le spire di un serpente nero, mostruoso, silenzioso, gli metteva idee nella testa, idee terribili che Falcón non aveva immaginato di poter avere. Dovette liberarsi con uno sforzo.

«Sono della polizia», disse irrigidendosi, «cerco Eloisa Gómez.»

La ragazza, immusonita, indicò con un cenno del capo un gruppo in mezzo alla piazza. Falcón uscì dagli alberi, turbato nel constatare che non poteva più fidarsi di se stesso, inquieto per l'imprevedibilità che si stava insinuando nella sua natura. Fu costretto a dirsi che lui era buono, che stava dalla parte dei buoni, perché quell'istantanea gli aveva appena rivelato che il lato oscuro del suo carattere era fremente di vita. Mentre calpestava il suolo disuguale dell'Alameda ebbe la strana idea di poter avere paura di se stesso, di ciò che aveva dentro e che non conosceva. L'assassino non aveva forse fatto questo a Raúl Jiménez, cioè mostrargli la cosa che aveva terrorizzato quell'uomo ogni giorno della sua vita?

Raggiunse il gruppo di ragazze in piedi di fronte a calle Vulcano, dove altre donne erano ferme sotto i lampioni della strada, gli stivali alti fino alla coscia evidenziati in controluce. Donne della fantasia, che con ogni loro gesto dicevano agli uomini di fare tutto ciò che volevano tranne baciarle sulla bocca. Il gruppo si divise senza una parola e aspettò che fosse lui a parlare, perché tutte sapevano che non era un cliente. Chiese di Eloisa Gómez. Una ragazza bassa di statura, grassa, con i capelli neri tinti e una faccia gonfia disse che non l'aveva vista in giro, non si era più vista da quando aveva preso la chiamata di un cliente la sera prima.

«Non è strano che non sia tornata qui?» domandò Falcón e le ragazze si strinsero nelle spalle.

«Devi essere un poliziotto», osservò una, «sei con quel cabrón che è stato qui ieri sera?»

«Sono della squadra omicidi», spiegò Falcón. «Eloisa è stata con un cliente mercoledì notte, giovedì mattina. Dopo che se ne è andata l'uomo è stato assassinato.»

«Che peccato.»

Recuperò il numero di Eloisa sul cellulare e lo chiamò. Nessuna risposta; lasciò un messaggio, fornendo il suo numero, pregandola di mettersi in contatto. Le donne stavano lì, in attesa di sviluppi interessanti, dandogli l'impressione di essere un animale dello zoo, finché una bionda dietro alle altre disse: «Se vuoi un pompino, ti facciamo il solito sconto per la polizia». Risate.