Risalì calle Vulcano, lasciandosi alle spalle le ragazze, fino a calle Mata, svoltando poi in calle Relator. Stava ricordando l'ultima volta in cui era stato in quella zona, probabilmente con suo padre, perché non ci veniva mai per bere qualcosa o per una tapa. In quel quartiere della città si trovavano ancora gli artigiani, sì, ricordava un corniciaio, e anche un pittore specializzato in copie, un tipaccio scuro di pelle che, secondo suo padre, faceva uso di eroina. Come si chiamava? Era un soprannome… Lo aveva visto un'unica volta e in quell'occasione era venuto alla porta indossando soltanto un paio di mutande di raso nero. Era magro, con una muscolatura da animale selvatico. Denti grandi. L'uomo lo aveva impressionato per il fatto che non si era preso la briga di vestirsi e perché parlava con suo padre tenendo una mano infilata nelle mutande.
Attraversò calle Feria fino alla vecchia chiesa con un nome latino, Omnium Sanctorum, accanto al mercato coperto, un angolo buio e quieto, tanto che il trillo del telefonino lo fece sobbalzare.
«Diga», rispose.
Silenzio a parte un sibilo etereo.
«Diga», ripeté, a voce più alta.
La voce suonò calma, sommessa, maschile.
«Dove sei?»
«Chi parla?» disse Falcón, irritato dalle persone che non dicevano il proprio nome.
«Siamo vicini?» riprese la voce e quelle due parole furono sufficienti a immobilizzare Falcón, a lasciarlo piegato, come se curvandosi potesse udire meglio.
«Non so. Lo siamo?»
«Più vicini di quanto pensi», rispose la voce e la telefonata si interruppe. Falcón si girò di scatto, controllò ogni portone e ogni angolo di strada, il vicolo buio tra la chiesa e le vie laterali. Una coppia con un cagnolino attraversò la strada per evitarlo, probabilmente lo avevano preso per pazzo vedendolo saltare di qua e di là dietro alle ombre, come un pugile suonato.
Falcón si fermò e fissò il selciato, incerto tra due possibilità. Se l'assassino non conosceva già Eloisa Gómez, allora aveva trovato il suo numero sul cellulare di Jiménez che aveva rubato nell'appartamento. La sera prima l'aveva chiamata e ora doveva avere il telefonino di lei… «perché ha trovato il mio numero nel messaggio. Io l'ho lasciato da poco, il che significa…» Il senso di colpa gli si installò nel petto. Quell'uomo l'aveva uccisa. Se invece conosceva già Eloisa Gómez… il risultato non cambiava.
Ci siamo mossi malissimo, pensò. Si mise a correre, tornando sull'Alameda sudato e senza fiato. Le donne lo circondarono.
«Dove abita Eloisa Gómez?» domandò. «Nessuna di voi sa dove sia andata dopo che ha ricevuto quella telefonata ieri sera?»
La ragazza grassa trotterellò con lui fino a una casa sulla calle Joaquín Costa, passando davanti a gruppetti raccolti nell'ombra di aree vuote e di androni, curvi su fogli di alluminio, a succhiare le cannucce di penne biro vuote e aspettare il colpo di coda del drago. Aprì il portone di un vecchio edificio malandato, con l'erba e i fiori che spuntavano dalle crepe dell'intonaco. Le scale di legno non erano illuminate e puzzavano di urina. Sul pianerottolo del primo piano la ragazza indicò una porta e quando Falcón, che aveva bussato, non ottenne risposta, andò a prendere una chiave di riserva dalla sua camera. All'interno nessuna traccia di Eloisa, solo un grosso panda di peluche nuovo di zecca sul divano mezzo sfondato.
«È per sua nipote», spiegò la ragazza. «Sua sorella vive a Cadice.»
Il panda sedeva a braccia aperte in un gesto rigido, gli occhi stupidi e tristi, e per un attimo Falcón contemplò la propria solitudine nel muso di quel giocattolo muto. Riprovò a chiamare il numero di Eloisa Gómez e gli rispose la voce della segreteria.
«Dove si trova?» lasciò come messaggio.
Fornì il suo biglietto da visita alla ragazza, le raccomandò le solite cose. Lei prese il biglietto con mano tremante: aveva capito.
Falcón provò rabbia per il suo fallimento. Si allontanò dall'Alameda risalendo la calle Amor de Dios a passo svelto, come se sapesse dove andare, ma in realtà senza una meta precisa, svoltando a sinistra e a destra nel disordine delle stradine finché non avvertì odore di urina di gatti. La via si stringeva per allargarsi poi davanti a una chiesa dedicata alla Divina Enfermera. Grossi blocchi di asfalto si accumulavano in plaza de San Martin. Era stato lì con suo padre quando erano andati dal pittore di falsi e, passando davanti alla chiesa della Divina Enfermera, suo padre aveva fatto una battuta volgare, mostrandogli le divine infermiere al lavoro: donne di sessantacinque anni sedute sulla soglia di casa a gambe aperte, nero corvino tra le cosce flaccide. Suo padre aveva iniziato con loro trattative interminabili a proposito di un pompino e Javier, sconvolto, non aveva resistito ed era scappato via, fermandosi in fondo alla strada sotto una pubblicità dell'amontillado fino e della manzanilla pasada su un pannello di piastrelle in ceramica.
I nomi delle vie scivolarono dietro di lui fino a San Juan de la Palma, affollata di gente che usciva dalla Cervezería Plazoleta e beveva birra intorno alle due palme svettanti al di sopra dei lampioni. Era facile sentirsi soli a Siviglia. Passò davanti alla dimora della Duquesa de Alba. Una volta c'era stato, fermo in piedi sotto le cascate torreggianti delle buganvillee a bere nettare con il bel mondo. Così si sentono i vagabondi? Sto cominciando a vagabondare, a fuggire da me stesso.
Una folata di brezza gli raffreddò il velo di sudore sulla fronte. Non pensava di essere assorto nel flusso dei pensieri, eppure le parole gli fluttuavano nella mente, sbucando dal nulla, non invitate. Andropausa. Quarantacinque. Uomo maturo. Un'altra stronzata delle riviste di Manuela. No. Qui si tratta semplicemente di età, senza mezzi termini, l'inizio strisciante della vecchiaia notato dalla mente e dal corpo, età avanzata significa disintegrazione delle possibilità e affermazione delle probabilità, probabilità favorevoli di giorno in giorno minori: Francisco Falcón, giugno 1996.
Si mise a correre, scattò come se potesse così sfuggire a ciò che gli stava crescendo nella testa. La gente si scostava all'avanzare sonoro dei suoi passi e quanti avevano un più forte istinto gregario cominciarono a seguirlo, convinti che sapesse dove stava andando. Idioti, grandissimi idioti. Arrivato a calle Matahacas aveva già venti persone dietro di sé e fu allora che vide la folla materializzarsi uscendo dal buio e avvertì il silenzio profondo che i sevillanos riservavano a due cose: la Virgen e los toros.
In fondo alla strada, all'altezza delle Escuelas Pías, al di sopra di un mare di teste nere e illuminata dalle candele, comparve la Madonna. La figura dalla testa china, la veste bianca tempestata di gemme, la guancia bagnata dalle lacrime, ondeggiò nelle volute d'incenso e il timore sacro le lambì i piedi salendo dall'umanità ammassata sotto di lei mentre il paso avanzava dondolando nel buio.
La gente alle spalle di Falcón lo spinse verso la stupefacente visione di bellezza che lo affascinò e lo disgustò al tempo stesso, lo riempì di rispetto reverenziale e di paura. La folla che gli veniva incontro si fece più numerosa, donnette che gli arrivavano alla vita mormorarono preghiere e baciarono rosari. Era intrappolato in quel bizzarro mondo parallelo, mentre l'Alameda con le sue prostitute e i suoi clienti, i suoi drogati in cerca di oblio armato di lancia, viveva una vita diversa, di sangue e di sudiciume, ben lontana da questa cattedrale alta di silenzio, con la sua bellezza mortificante che avanzava sull'onda della reverenza e dell'adulazione.
Possibile che apparteniamo tutti alla stessa specie?
La domanda gli si presentò inaspettata, ma lo indusse a pensare che forse il bene e il male potessero abitare nello stesso luogo, nella stessa persona. Perfino dentro di lui. Il panico lo ghermì, doveva assolutamente uscire dalla folla e l'unico modo era proseguire dritto.