17 ottobre 1932, Dar Riffen
Ho confessato a Oscar di aver scritto solo due volte in questo diario da quando me lo ha regalato. Si è infuriato. Io gli ho detto che non ho niente da scrivere, non facciamo altro che esercitazioni interminabili seguite da bevute e da risse. Lui mi ha ricordato che un diario non deve essere solo un resoconto di fatti esterni, ma anche un esame di quello che abbiamo dentro. Non ho la minima idea di come abbordare queste cose interne di cui parla. «Devi scrivere su chi sei», dice lui. Gli mostro la mia prima pagina. Dice: «Non è detto che tu abbia smesso di esistere solo perché non hai una famiglia, loro sono solo un riferimento, ora devi trovare il tuo proprio contesto». Annoto le sue parole, ma non capisco affatto il loro significato. Mi parla di un filosofo francese che avrebbe detto: «Penso dunque sono». Domando: «Che cosa vuol dire pensare?» Nella lunga pausa dopo la mia domanda, non so perché immagino un treno che corre attraverso un paesaggio vasto. Glielo dico e lui commenta: «Be', è un inizio».
23 marzo 1933, Dar Riffen
Ho appena completato il mio primo lavoro importante e cioè le caricature dell'intera compagnia in sella a cammelli che assomigliano a chi li monta. Le ho fissate su tavole e le ho appese nelle camerate in modo che diano l'impressione di una truppa diretta verso un finto arco di Dar Riffen, che invece del motto dei legionari, porta scritto: «Legionarios a beber, legionarios a joder». Tutti gli ufficiali chiedono di vederle. Oscar ha strappato il mio arco di cartone dicendo: «Non vorrai rischiare la corte marziale e la fucilazione per uno stupido disegno». Ora non mi mancano mai le sigarette.
12 novembre 1934, Dar Riffen
Abbiamo appena salutato il colonnello Yagüe e la Legione di ritorno dalle Asturie dove hanno soffocato una rivolta dei minatori… Oscar è di malumore. Non c'è stata resistenza e dopo aver liberato Oviedo e Gijón, los brutos hanno «dimostrato mancanza di disciplina e non sono stati controllati dagli ufficiali». Vuol dire che hanno ammazzato, violentato e mutilato senza timore di essere puniti. Non so come, nella conversazione Oscar rivela di essere tedesco e mi fa infuriare quando sostiene che i soldati tedeschi non si sarebbero mai comportati così. I suoi stivali abbandonati in un angolo sembra che gridino, le bocche spalancate. «Questo è l'inizio di una catastrofe», dice. A me non sembra e riesco soltanto a emozionarmi ai fatti di sangue raccontati un'infinità di volte. A quanto pare non ho ancora imparato a pensare. In quello che ho letto di storia, ho notato, perché Oscar me lo ha fatto osservare, quanta gente che pensava sia stata fucilata, impiccata o decapitata.
17 aprile 1935, Dar Riffen
Il mio secondo lavoro importante: il colonnello Yagüe vuole che gli faccia il ritratto. Oscar mi dà qualche consiglio: «A nessuno piace la verità a meno che non coincida con la sua versione». Soltanto quando ho il colonnello seduto davanti a me mi rendo conto della vera natura dell'impresa. Quell'uomo è una specie di toro, con le lenti spesse e rotonde, stempiato, capelli grigi, guance appesantite e un mezzo sorriso che può sembrare cordiale finché non si nota la crudeltà che nasconde. Lo faccio sedere in modo che non si veda nulla del profilo che lo imbruttisce. Chiedo se vuole togliersi gli occhiali e lui mi dice che senza sembra un cucciolo appena nato. Vedo un giubbotto con il collo di pelo su una sedia. Gli chiedo di indossarlo, gli incornicerà la faccia e gli darà un'aria avventurosa, eroica. Lo indossa. Simpatizzeremo, credo.
1o maggio 1935, Dar Riffen
Il ritratto è un trionfo. Si scopre il dipinto in una piccola cerimonia privata davanti a uno scelto gruppo di ufficiali. Il colonnello Yagüe è contentissimo della reazione. Il colletto di pelo è stata un'ispirazione. Gli ho fatto la faccia più scarna e il mento in fuori in modo che il colonnello abbia un'aria di sfida, da uomo energico, affidabile ma audace e intraprendente. Sullo sfondo ho dipinto i ranghi ammassati dei legionari in marcia sotto l'arco dove si legge correttamente: «Legionarios a luchar, legionarios a morir». Oscar mi dice: «Vedo che abbiamo qui una convergenza di illusioni». Il colonnello non ha appeso il quadro, non vuole essere giudicato più pomposo o ambizioso dei suoi superiori.
14 luglio 1936, Dar Rifen
Le manovre estive finiscono con una parata al comando del generale Romerales e del generale Gómez Morato, i due comandanti di grado più alto del nostro esercito in Africa. Oscar, che ha molto fiuto, dice che sta per succedere qualcosa. Lo proverebbe il fatto che durante il banchetto, dopo la parata, prima ancora che fosse servito il dessert, vi sono state grida di «Café!» che chiaramente non erano richieste di caffè, ma stavano per: «Camaradas! Arriba! Falange Española!» È la prova che il colonnello Yagüe è al lavoro. È un falangista e Oscar crede che detesti il generale Gómez Morato. Non so come lo abbia saputo e lui dice che mi sarebbe bastato osservare gli ufficiali invitati alla cerimonia per il ritratto del colonnello Yagüe.
Siamo chiusi nella nostra caserma senza sapere che cosa stia succedendo al di là dello stretto. Oscar ha trovato un giornale, «El Sol», con un articolo sull'uccisione di un ufficiale di nome José Castillo davanti alla sua casa di Madrid. Era sposato solo da un mese. «Opera della Falange», sostiene Oscar. Io sono perplesso. Non so che fare. Chiedo a Oscar chi dobbiamo appoggiare e lui mi risponde: «Il nostro comandante, a meno di volere essere fucilati». Perlomeno non ci sono decisioni difficili da prendere, anche se Oscar mi mette in allarme soggiungendo: «Chiunque possa essere».
Più tardi quella sera mi chiama in camera sua. È molto emozionato. Ha sentito alla radio che la Spagna è sconvolta. Calvo Sotelo è stato ammazzato. Non potrebbe importarmene di meno, dato che non so nemmeno chi sia. Oscar mi dà una botta in testa. Sotelo è il capo dei monarchici e una figura importante della destra, il suo assassinio avrà conseguenze terribili. Gli chiedo chi lo abbia ucciso e Oscar si palleggia una sfera immaginaria tra le mani: «Tic tac, tic tac».
«Se non che questa volta la sinistra ha esagerato», dice. «Questo omicidio non sarà visto come un fatto privato, per via della posizione di Calvo Sotelo. Questo è un assassinio politico e ora, te lo posso garantire, scoppierà la guerra civile.» Io gli chiedo da che parte stia lui in tutto questo: Oscar alza le mani, il palmo attraversato da un migliaio di rughe e io penso che devo disegnarle. «Sto davanti a te», dice e io lo lascio senza saperne di più.
19 luglio 1936, Ceuta
Il colonnello Yagüe ci ha fatto muovere alle nove di sera e a mezzanotte avevamo il controllo di Ceuta. Non è stato sparato un solo colpo né da noi, né contro di noi. Siamo rimasti male per non aver incontrato resistenza, durante la marcia non vedevamo l'ora di combattere. La mattina dopo apprendiamo che Melilla, Tetuán, Ceuta e Larache erano tutte sotto il controllo dei militari e che il generale Franco stava arrivando per prendere il comando delle truppe.
Marcia di ritorno a Dar Riffen la mattina presto. Il generale Franco arriva in caserma nel pomeriggio e sfiliamo in parata per riceverlo. Ci sorprendiamo a gridare come matti senza sapere perché. Il colonnello Yagüe fa un discorso che comincia con le parole: «Eccoli, sono come lei li ha lasciati…» e noi capiamo che il generale è molto commosso. Urliamo: «Franco! Franco!» e lui annuncia un aumento di una peseta al giorno. Nuova esplosione di giubilo.