«E il dono della vista perfetta?»
«Forse, come diceva lei, Inspector Jefe», intervenne Calderón, unendosi alla conversazione, «queste ragazze vedono le cose con molta chiarezza.»
«La calza», cominciò Falcón, «l'unica calza mancante…»
«Probabilmente l'ha cloroformizzata per sfilargliela.»
«Sì, è probabile», convenne Falcón, deluso dalla spiegazione banale, anche se verosimile. Aveva immaginato un inizio di comunicazione più intima tra l'assassino e la ragazza, finché, al momento del sesso, con tutte le sue rivelazioni psicologiche, si era scoperta la vera natura dell'uomo.
«Dove è stata uccisa?» domandò Calderón. «Deve averlo fatto in città, non è vero?»
«E deve anche aver avuto modo di trasportarla fin qui», disse Ramírez.
«Oppure forse sono venuti insieme qui, poi lui l'ha uccisa e ha nascosto il cadavere. Deve esserci una quantità di attrezzi nel cimitero», disse Falcón e incaricò Ramírez di trovare una foto della ragazza e di mostrarla al portero: vi era una possibilità che l'avesse vista. «Dovremo anche far setacciare il cimitero», concluse.
Ramírez parlò nel cellulare, contemplando gli ettari di croci e di mausolei che si stendevano in ogni direzione fino alle lontane palme e ai cipressi lungo il muro. Anche Falcón fece scorrere lo sguardo sui fiori sgargianti, sui nomi senza fine, sui ranghi dei morti che si allungavano fin quasi a raggiungere il cielo azzurro e gli alti cirri.
Lungo il viale principale avanzò lentamente un'ambulanza, il cui parabrezza vuoto la faceva sembrare disabitata, impersonale.
«Parlerò con il Comisario Lobo e gli chiederò un certo numero di uomini per far perquisire il cimitero», disse Falcón e Ramírez annuì, sfilando una sigaretta dal pacchetto e accendendola.
«Gli occhi», disse Calderón. «Crede che anche qui abbia mutilato gli occhi?»
«So, perché me lo ha detto un marito geloso che ho messo in galera qualche anno fa a Barcellona, che strappare gli occhi non è una cosa difficile da fare», spiegò Falcón. «Lo aveva fatto alla moglie che lo tradiva. L'uomo ha detto che sotto la pressione del pollice erano saltati fuori dañe orbite come un paio d'uova di uccello.»
Falcón rabbrividì al pensiero di ciò che aveva detto. Gli uomini della scientifica uscirono per fare rapporto.
«L'ha uccisa fuori dalla cappella e poi l'ha trascinata all'interno», spiegò Felipe. «L'entrata era troppo stretta perché riuscisse a trasportarla sollevandola sulle braccia, perciò l'ha trascinata su per i gradini. La gonna è arrotolata sulle gambe, la calza rimasta è strappata malamente e la parte posteriore della gamba nuda è escoriata. Abbiamo trovato una quantità di filamenti di stoffa nel punto in cui l'assassino ha sfregato la giacca contro la lastra, ma nessuna traccia di sangue, di saliva o di sperma. E nemmeno impronte di piedi riconoscibili. Però abbiamo rinvenuto tra i capelli della vittima qualcosa che potrebbe aiutarci a individuare il luogo dove è stata uccisa…»
Jorge allungò un sacchetto contenente petali di rosa, erba e foglie.
«Gli scarti di un giardino», disse Felipe e gli uomini della scientifica se ne andarono.
Calderón firmò il levantamiento del cadaver, gli uomini dell'ambulanza sollevarono il corpo e lo infilarono nel sacco, chiusero la lampo e lo deposero sulla barella. L'ambulanza ripercorse a marcia indietro Jesús de la Pasión fino al viale e, con le luci lampeggianti, attirò gli sguardi dei visitatori del cimitero, stupefatti di vederla lì. Lobo mandò una squadra di quindici uomini a setacciare il cimitero. Calderón raggiunse l'Inspector Jefe.
«Quel verso, 'dove si muovono le ombre'», disse. «Se è di questo che si ha paura, perché andare in un cimitero… con chiunque, figuriamoci poi con un cliente? Non ha senso.»
«Provi, però, a considerare la difficoltà di issare un cadavere al di là di quelle mura», disse Falcón. «Credo che l'assassino sia riuscito a conquistarsi la sua fiducia… al punto da convincerla ad aprirgli la porta dell'appartamento di Jiménez e a seguirlo in un cimitero.»
«La ragazza è stata ammazzata sabato mattina», intervenne Ramírez tornato dalla sua conversazione sul cellulare, «e noi sappiamo che più tardi, in quello stesso giorno, l'assassino è stato qui, perché lo abbiamo visto al funerale.»
«Forse non sapeva dove trovare la cappella Jiménez», suggerì Falcón, «ma stava anche filmando il funerale, perciò aveva una doppia ragione per essere qui.»
«I fili d'erba», disse Calderón.
«Se l'ha uccisa qui, allora l'ha ricoperta con le erbacce, probabilmente presumendo che nessuno sarebbe venuto a portare via il mucchio di foglie e di scarti durante il fine settimana. Se l'ha uccisa altrove e ha dovuto issarla al di là del muro, allora ha dovuto anche trasportarla qui con una macchina che non avrà voluto lasciare parcheggiata troppo a lungo davanti al cimitero.»
«Quell'improvvisazione di cui mi parlava gli ha procurato parecchi problemi», osservò Calderón.
«È stato importante per lui dal punto di vista del tema e vuole mostrarci il suo talento», disse Falcón.
Calderón tornò in taxi all'Edificio de los Juzgados, mentre Falcón e Ramírez fecero allontanare la gente dal cimitero, che sarebbe rimasto chiuso per il resto della giornata. Lobo inviò altri dodici uomini e alle sei del pomeriggio tutta l'area era stata perquisita. Una calza nera era stata trovata legata all'impugnatura della spada spezzata sulla statua di bronzo del torero Francisco Rivera. Un bidone vicino a un cancello arrugginito nel muro in fondo al cimitero era stato rinvenuto pieno di fiori appassiti, di erba falciata e di foglie. Quel muro confinava con una fabbrica e lungo di esso, all'esterno del cimitero, correva uno stretto sentiero invaso dalle erbacce. In quel viottolo, che i sorveglianti della zona industriale avrebbero potuto controllare solo percorrendolo a piedi, erano appoggiate al muro alcune vecchie porte di metallo e una scala della specie usata nei cimiteri per salire fino ai loculi più alti. Non sarebbe stato difficile per l'assassino sollevare la minuta Eloisa Gómez su per la scala e calarla nel bidone dall'altra parte del muro.
«È la seconda volta che ci fa questo», disse Falcón.
«Confonderci con lo scenario del delitto?» domandò Ramírez.
«Sì, è uno dei suoi talenti… rallentare l'intero processo», confermò Falcón.
«Ci costringe a lavorare il doppio», si rammaricò Ramírez.
«Mio padre lo diceva sempre a proposito delle persone di genio: fanno sembrare tutto così lento intorno a loro.»
Alle sei e mezzo del pomeriggio Falcón e Ramírez erano sull'Alameda, ma non videro nessuna ragazza del gruppo di Eloisa. Si diressero allora alla sua abitazione in calle Joaquín Costa e Falcón bussò alla porta dell'amica grassa che aveva le chiavi della stanza di Eloisa. La ragazza venne ad aprire in accappatoio blu e ciabattine rosa di pelliccia, gli occhi ancora gonfi di sonno, ma desti all'istante alla vista dei due poliziotti. Falcón la pregò di consegnargli la chiave e le raccomandò di sforzarsi di ricordare quando avesse visto la sua amica l'ultima volta e di dire alle altre di fare lo stesso. La ragazza non ebbe bisogno di chiedere che cosa fosse accaduto e gli porse subito la chiave.
Lo stupido panda accolse i due uomini, che si guardarono intorno, osservando i miseri oggetti accumulati nel corso di quella vita breve e dura. Ramírez lanciò un'occhiata alle cianfrusaglie sulla toletta.
«Che ci facciamo qui?» domandò.
«Guardiamo e basta.»
«Crede che ci sia venuto?»
«Troppo rischioso», rispose Falcón. «Dobbiamo trovare l'indirizzo e il numero di telefono della sorella. Il panda è per la nipotina.»