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Fotocopiò i documenti e tornò alla Jefatura. Mentre parcheggiava l'auto ricordò all'improvviso che il nome di Carvajal era emerso in un caso di cui ancora si parlava a Siviglia quando era arrivato da Madrid per assumere il nuovo incarico. Il computer della polizia rivelò che Eduardo Carvajal aveva fatto parte di una rete di pedofili condannati dal tribunale, ma che personalmente non aveva mai affrontato il processo. Era rimasto ucciso in un incidente stradale sulla Costa del Sol nel 1998. Chiamò il Comisario Lobo per fissare un incontro.

Prima di salire da lui, controllò i messaggi, che includevano una comunicazione della polizia di Cadice: stavano accompagnando la sorella di Eloisa Gómez a Siviglia per il riconoscimento del cadavere; un altro messaggio era del suo medico, che voleva sapere perché Falcón non si fosse presentato all'appuntamento con lo psicologo. Chiamò il dottor Valera e gli parlò dei quadri di suo padre nella sala d'aspetto.

«Non ti è venuto in mente, Javier, che dovresti parlarne con qualcuno?»

«No», rispose, «ma se lo facessi non vorrei che fosse con qualcuno che…»

«Qualcuno che cosa?»

«Qualcuno che crede di conoscere mio padre.»

«Devi fidarti un po' di più della loro intelligenza…»

«Davvero?» lo interruppe Falcón. «Si vede che non hai mai presenziato all'inaugurazione di una sua mostra.»

«Potrebbe essere un po' difficile trovare qualcuno, allora», disse Valera, «era un pittore molto conosciuto.»

«Ma non tutti si interessano d'arte.»

Riagganciarono e Falcón salì da Lobo, il quale prese le fotocopie e vi si immerse con l'aria di un uomo che stesse per gettarsi su un banchetto a base di bambini in fasce. Chiese come avesse fatto Falcón a procurarsi quei documenti.

«Di tutte le aziende direttamente coinvolte nei lavori dell'Expo '92, questa era l'unica ad aver cessato l'attività. Ho chiesto al Subinspector Pérez…»

«Lei sa che Pérez e Ramírez sono molto amici da anni?»

«Ho notato che si parlano.»

«Che collegamento può avere questo con le indagini in corso?»

«Dopo l'assassinio di Eloisa Gómez credo che il caso abbia preso una piega diversa», spiegò Falcón. «Un rapporto d'affari divenuto pericoloso può essere stato il movente iniziale, ma ora, io penso, l'assassino sta agendo in modo autonomo.»

«Ho saputo che Ramírez ha altre idee e anche il Juez Calderón.»

«Ho mandato l'Inspector Ramírez a parlare con la signora Jiménez da solo. Userà metodi diversi dai miei e vedremo se otterrà soddisfazione o no. In quanto al giudice Calderón, lo ritengo di mente aperta, a proposito della principale indagata ha un atteggiamento più realistico che ossessivo.»

«Crede che quello di Ramírez lo sia?»

«La signora Jiménez è proprio il genere di donna che l'Inspector Ramírez disprezza. Credo che rappresenti per lui un cambiamento nell'ordine delle cose, un cambiamento che l'ispettore non è ancora pronto ad accettare.»

Lobo annuì e tornò ai documenti.

«Delle persone di questo elenco, con chi potrebbe parlare in privato?» domandò.

«Con Ramón Salgado, ma è fuori città fino alla fine della settimana. L'ho cercato, dopo averlo incontrato al funerale. Mi aveva offerto qualche informazione interessante su Raúl Jiménez.»

«Che genere di informazione?»

«Su quanto sia poco degno di fiducia il loro mondo esclusivo.»

«Qualche ragione per dovergli credere?» domandò Lobo. «Per essere su questo elenco, quanto meno dev'essere stato un amico di Raúl Jiménez.»

«Sì, ho qualche dubbio su di lui.»

«E quanto costerebbero queste informazioni?»

«Vuole entrare nello studio di mio padre», rispose Falcón. A un tratto ricordò una conversazione avuta con Consuelo Jiménez. «Si conoscono, Salgado e la signora Jiménez», disse. «L'indagata è stata reticente sul loro rapporto; asserisce di averlo conosciuto a una serata da mio padre, ma forse è una conoscenza che risale a tempi più remoti. La signora Jiménez lavorava nel mondo dell'arte a Madrid e Salgado frequentava anche gli ambienti della capitale.»

«Credo che lei debba parlare con Salgado, ma di persona», disse Lobo. «E questi documenti devono rimanere tra noi… mi capisce?»

Lobo guardò Falcón negli occhi, poi fece scivolare le carte nel suo cassetto. Falcón ritenne di essere stato congedato.

«Non avevo idea che il suo incarico avrebbe avuto una dimensione politica», commentò Lobo mentre Falcón gli girava le spalle. «Le forze sono a nostro svantaggio per ora, ma noi siamo più intelligenti. Però dobbiamo restare nei limiti dell'etica. Spero che il suo accordo con Salgado sia come mi ha detto.»

Falcón andrò dritto in bagno e mandò giù un Orfidal, raccogliendo un po' d'acqua nel cavo della mano.

La sorella della Gómez, Gloria, sembrava un po' maggiore di età, ma non aveva nulla della sicurezza di Eloisa. Seduta sul sedile accanto al guidatore mentre l'auto si dirigeva attraverso il traffico all'Instituto Anatómico Forense, se ne stava appoggiata alla portiera, le braccia conserte. Il viso aguzzo, volpino non dimostrava la minima inclinazione alle chiacchiere futili. Una donna chiusa, guardinga, sola in un mondo dove non ci si poteva fidare di nessuno.

«Era a conoscenza di ciò che sua sorella faceva per vivere?» domandò Falcón.

«Sì.»

«Ne parlava con lei?»

Gloria interpretò male le sue parole. «Abbiamo fatto lo stesso lavoro… per un po'», disse. «Finché sono rimasta incinta.»

«Intendevo dire più recentemente», chiarì Falcón. «Lei sapeva che cosa stesse succedendo nella vita di sua sorella?»

Silenzio. Un'occhiata in tralice gli rivelò che la donna non lo riteneva degno di fiducia. Ricominciò da capo.

«La persona che ha ucciso Eloisa ha assassinato anche uno dei suoi clienti. È possibile che uccida di nuovo. Noi sappiamo che Eloisa lo conosceva, con lei si faceva passare per uno scrittore, erano diventati amici e forse anche qualcosa di più. Credo che Eloisa avesse cominciato a vederlo come un modo per lasciare quella vita.»

«È stato proprio così», affermò la donna seccamente, riducendo Falcón al silenzio, tanto che essa ritenne di dover soggiungere: «Anche l'AIDS te la fa lasciare, quella vita».

«Ha detto che si chiamava…»

«Sergio», concluse Gloria.

«Le parlava di Sergio?»

«Le avevo detto di lasciarlo perdere. Le avevo detto che si illudeva e che non avrebbe dovuto fidarsi di lui.»

«Perché?»

«Perché le stava dando speranza e la speranza ti fa vedere le cose in modo diverso, cominci a credere che esistano delle possibilità, cominci a trascurare certe cose, a commettere errori.»

«Aveva ragione.»

«Questo succede a fidarsi degli altri», continuò lei; e sollevandosi i capelli sulla nuca, mostrò il segno lustro di una cicatrice da bruciatura. «Mi arriva fino in fondo alla schiena.»

«Così lei ha abbandonato il mestiere?»

«Avevo la scelta tra continuare quel lavoro e la povertà. Ho preferito la povertà al dolore e alla morte.»

«Ma non è bastato a convincere Eloisa?»

«Non le era mai capitato niente», spiegò la sorella. «Sì, una volta l'avevano minacciata con un coltello, certo. E qualcuno le aveva puntato una pistola alla tempia, l'avevano anche schiaffeggiata, ma non aveva cicatrici. Non appena ha cominciato a parlarmi di Sergio, però, io ho capito che quell'uomo aveva delle mire su di lei.» Lasciò ricadere le braccia sui fianchi, come se si sentisse totalmente sconfitta dalla vita, come se alla somma complessiva delle sue esperienze si fosse ora aggiunto il rimorso della sopravvissuta.