«Che cosa le diceva di Sergio?» domandò Falcón, prima che la breccia che la donna aveva lasciato intravedere nella sua corazza di riservatezza scomparisse senza lasciare traccia.
«Diceva che era guapo. Sono sempre così. Diceva che era come noi.»
«Come voi?» si stupì Falcón.
«Eloisa e io, tra di noi, ci chiamavamo las forasteras», spiegò la donna. «Le forestiere. Chiamavamo i nostri clienti los otros, gli altri… ma Eloisa diceva che lui non era così.»
«E perché sarebbe stato diverso?»
«Tutto quello che mia sorella diceva di lui, per me, faceva pensare che fosse uno di los otros. Era educato, ben vestito, aveva la macchina e un appartamento.»
«Non le ha detto che tipo di macchina e quale appartamento?»
«Quell'uomo non era uno stupido, los otros erano sempre stupidi, in questo, sì, era diverso.»
«E perché secondo sua sorella era un forastero?»
«Pensava che potesse essere uno straniero o che avesse sangue straniero nelle vene. L'aspetto era spagnolo, vestiva come uno spagnolo, parlava spagnolo. Ma era diverso.»
«Nordafricano?»
«Eloisa non l'ha mai detto e poi a lei non piaceva quella gente, non andava mai con loro. Non sarebbe stata attratta da lui, se le fosse parso nordafricano. Forse era stato all'estero per molto tempo o aveva studiato fuori, pensava lei.»
Erano arrivati all'Instituto, deserto e silenzioso. Osservarono il cadavere dietro il vetro. In qualche modo le orbite erano state riempite. Gloria Gómez appoggiò le mani al vetro e vi premette la fronte. La pena che trasudava dal suo intimo la faceva cigolare come un mobile sottoposto a uno sforzo.
«I vostri genitori sono ancora vivi?» domandò Falcón alle sue spalle, osservando la testa dai capelli già un po' radi, la spalla scucita della giacca da poco prezzo. La donna fece segno di no, continuando a premere la fronte contro il vetro.
«Eloisa avrebbe avuto qualche motivo per andare al cimitero di San Fernando?»
Gloria voltò le spalle alla sorella morta.
«Ci andava ogni volta che poteva», rispose. «C'è sepolta la sua bambina.»
«La sua bambina?»
«A quindici anni ha avuto una figlia. È morta a tre mesi.»
Tornarono alla Jefatura senza parlare, solo Falcón compì un ultimo tentativo per sapere se Eloisa avesse mai fatto qualche accenno all'aspetto fisico di Sergio.
«Diceva che aveva delle belle mani», fu tutto ciò che riuscì a sapere.
Era appena entrato nel suo ufficio quando squillò il telefono. Il dottor Fernando Valera lo chiamava per dirgli che aveva risolto i suoi problemi, avendogli trovato una psicologa dell'università niente affatto interessata all'arte. Falcón non era dell'umore adatto per discutere.
«Si chiama Alicia Aguado. Ti riceverà a casa sua, Javier», gli spiegò il medico dandogli un indirizzo in calle Vidrio. «Psicologia clinica significa studi molto rigorosi accompagnati anche da… tecniche personali. È bravissima. So quanto sia difficile fare il primo passo in queste cose, ma desidero che tu la veda. Sei già alla disperazione. È importante.»
Falcón riagganciò, pensando a come tutti ormai si fossero accorti del suo stato di disperazione, di come l'avessero riconosciuto a fiuto, Sergio compreso. Entrò Ramírez e sedette sulla sedia allungando le gambe.
«La signora Jiménez è crollata?» domandò Falcón.
Ramírez si tolse una briciola immaginaria dalla cravatta con l'aria di chi stia per confidare un'esperienza sessuale… anzi, no, un trionfo.
«Scommetto che indossa biancheria intima costosa», disse. «E il tanga d'estate.»
«Vedo che ne è stato conquistato.»
«Ho chiamato Pérez alle Mudanzas Triana e gli ho detto di prendere la cassa con l'attrezzatura cinematografica», riprese Ramírez. «Lei ha acconsentito subito, nessun problema. Ma forse può interessarle quello che ha aggiunto quando stavo per andarmene.»
Falcón lo esortò con un cenno della mano.
«Ha detto: 'Prendete quella cassa, ma solo quella. Se guarderete nelle altre scoprirete che niente del loro contenuto sarebbe ammissibile come prova'.»
Falcón lo pregò di ripetere, e Ramírez ubbidì diligentemente. La seconda volta gli fu più chiaro: l'ispettore stava mentendo e mentendo male, per giunta. Falcón dubitava fortemente che Consuelo Jiménez fosse stata così poco sottile.
«E ha datato le riprese della cassetta La Familia Jiménez?»
«Ha detto che lo avrebbe fatto, ma che è occupatissima in questo momento, bisogna rimandare a dopo la Feria.»
«Molto utile.»
«È difficile, quando si è subita una tale perdita», obiettò Ramírez.
XX
Mercoledì 18 aprile 2001, casa di Falcón, calle Bailén, Siviglia
Seduto a tavola, la forchetta a mezz'aria e il piatto ancora pieno, Falcón non pensava a Ramírez, ma al Comisario León, il quale non era certamente arrivato a occupare quella posizione senza possedere un notevole talento politico. Visto che era stato uno degli amministratori della società di consulenza, che cosa poteva significare il fatto che León si tenesse al corrente delle indagini attraverso Ramírez e permettesse che si facesse pressione su Consuelo Jiménez, la quale probabilmente non sapeva niente della MCA? Falcón posò la forchetta, assalito da un'ondata di paranoia che produsse su di lui un effetto simile a nausea. Alla prima occasione lo avrebbero allontanato dall'incarico. Mentre i documenti sulla MCA restavano a dormire in un cassetto, al Comisario León andava molto bene che si continuasse a bussare alla robusta porta della signora Jiménez: se fossero saltati fuori, per lui sarebbe stata la fine.
Dopo colazione si ritrovarono per esaminare i vecchi filmini di Raúl Jiménez che Pérez aveva prelevato alle Mudanzas Triana. Il poliziotto aveva riferito che il magazzino aveva un solo ingresso e che tutti i depositi a lungo termine si trovavano in un'unica area sul retro dell'edificio. Ogni cliente aveva a disposizione uno spazio chiuso a chiave per riporvi mobili e casse sigillate da un nastro adesivo sul quale era apposta la data del deposito, in modo da rendere evidente un'eventuale apertura delle stesse. Le casse lasciate da Raúl Jiménez erano là da lungo tempo. Tutto il personale delle Mudanzas Triana aveva accesso al magazzino, ma soltanto il capodeposito aveva le chiavi degli spazi privati e nessuno poteva accedervi senza che egli fosse presente. Le chiavi si trovavano in una cassaforte nel suo ufficio. Di notte il magazzino era sorvegliato da due guardie notturne con i cani. Negli ultimi quarant'anni avevano avuto luogo quattro tentativi di scasso, ma non era stato rubato niente di importante, dato che ogni volta i ladri erano stati interrotti a metà dell'opera.
Falcón fu contento che Pérez fosse presente per sostenere l'urto dei commenti di Ramírez. Non aveva previsto di lasciarsi emozionare tanto dalle tremolanti immagini in bianco e nero della vita precedente di Raúl Jiménez, un'esistenza più felice. Mai era arrivato a commuoversi nel buio di un cinema: le storie inventate non riuscivano a coinvolgerlo, ne aveva sempre avvertito l'inganno e si era ogni volta rifiutato di farsi prendere dalle emozioni a comando, tanto da non versare mai una sola lacrima.
Ora, però, avendo conosciuto i protagonisti in un modo tanto personale, nell'oscurità osservava con animo diverso José Manuel e Marta giocare sulla spiaggia mentre le onde tranquille si ripiegavano sulla sabbia. La moglie di Raúl, Gumersinda, entrò nell'inquadratura, si girò e tese le braccia. Sopraggiunse di corsa dietro di lei il piccolo Arturo, raggiunse le braccia che lo attendevano e la madre lo afferrò e lo sollevò in alto, al di sopra della sua testa, le gambette ciondolanti mentre il bambino, deliziato e felice, guardava il viso sorridente di lei. Arturo venne alzato verso il cielo e lo stomaco di Falcón si contrasse: ricordava quell'emozione. Dovette farsi forza per trattenere le lacrime, oppresso dal peso della tragedia che aveva fatto a pezzi quella famiglia.