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Calderón si passò di nuovo le dita tra i capelli. «Avreste dovuto impedirglielo», disse, nel tentativo di liberarsi di una parte di responsabilità. I due poliziotti non aprirono bocca. Il giudice guardò l'ora sul suo sofisticato orologio e annunciò che era costretto a lasciarli. Si accordarono per vedersi nel pomeriggio alle cinque all'Edificio de los Juzgados, per presentare i primi elementi di prova.

«Ha visto quella fotografia laggiù, vicino alla finestra?» domandò Falcón.

«Quella con León e Bellido?» rispose Calderón. «Sì, l'ho vista, e, se la osserva con attenzione, ne vedrà anche una con il Magistrado Juez Decano de Sevilla. Spinola, il vecchio Occhio di falco in persona.»

«Non mancheranno le pressioni, in queste indagini», commentò Ramírez.

Calderón si passò il telefonino da una mano all'altra, poi lo fece scivolare in tasca e uscì.

III

Giovedì 12 aprile 2001, Edificio Presidente,

Los Remedios, Siviglia

Falcón incaricò Ramírez di interrogare i manovali della ditta di traslochi, in modo particolare di chiedere loro quando fossero arrivati e ripartiti e se la loro attrezzatura fosse mai rimasta incustodita.

«Crede che sia entrato così?» domandò Ramírez, un uomo che, per sua natura, era incapace di limitarsi a eseguire.

«Non è facile entrare e uscire da questo palazzo senza essere notati», rispose Falcón. «Se la domestica conferma di aver trovato la porta chiusa a chiave stamani quando è arrivata, è possibile che l'assassino abbia usato l'autoscala per entrare. Se non era chiusa, allora dovremo controllare le registrazioni delle telecamere di sicurezza.»

«Una bella resistenza nervosa, aspettare qui più di dodici ore, Inspector Jefe», osservò Ramírez.

«E poi scivolare via quando la domestica è fuggita dopo aver trovato il cadavere.»

Ramírez si morse il labbro inferiore, poco convinto della possibile esistenza di un essere umano dotato di simili nervi d'acciaio, e lasciò la stanza come se temesse di poter essere trattenuto da altre domande.

Falcón sedette alla scrivania di Raúl Jiménez. Tutti i cassetti erano chiusi a chiave. Ne scelse a caso una dal mazzo posato sul piano e aprì i cassetti laterali, poi scoprì che con un'altra delle chiavi poteva aprire quello centrale. Trovò qualcosa soltanto nei due cassetti superiori ai lati. Falcón frugò in un mucchietto di conti, tutti recenti. Una fattura attirò la sua attenzione, non tanto perché fosse di un ambulatorio veterinario per la vaccinazione di un cane quando non c'era traccia di cani nell'appartamento, quanto perché era stata emessa dall'ambulatorio di sua sorella e la firma era la sua. La cosa lo disturbò, il che era illogico. Cercò di cancellare quel particolare dalla mente, considerandolo un'altra apparente coincidenza.

Esaminò il contenuto del cassetto centrale, parecchie scatole vuote di Viagra e quattro videocassette dai titoli eloquenti quali Cara o Culo II, seguito del film di cui era stata lasciata la custodia vuota sul mobile del televisore. Si rese conto che non era stata trovata la cassetta porno proiettata mentre Raúl era con la prostituta. Richiuse il cassetto e cominciò un'ispezione accurata delle fotografie sulla parete alle sue spalle. Forse Raúl Jiménez aveva conosciuto suo padre: dopotutto Francisco Falcón era un pittore famoso, un personaggio noto a Siviglia e Raúl Jiménez, a quanto pareva, era stato un collezionista di celebrità. Man mano che osservava le immagini però, passando dal centro alla periferia dell'esposizione, si accorse che quelle erano celebrità di un genere diverso. C'erano Carlos Lozano, il presentatore di El Precio Justo; Juan Antonio Ruiz, conosciuto nell'arena come «Espartaco»; Paula Vásquez, presentatrice di Euromillón: tutte facce televisive. Mancavano gli scrittori, i pittori, i poeti, i registi teatrali. Nessun anonimo intellettuale. Quello era il volto superficiale della Spagna, era la gente di Hola! oppure la borghesia: la polizia, gli uomini di legge, i funzionari che avevano reso più facile la vita di Raúl Jiménez. I brillanti e gli avidi.

«Ha trovato la persona che cercava?» domandò la voce della signora Jiménez alle sue spalle.

Si era tolta il soprabito e, gli occhi cerchiati di rosso nonostante il trucco restaurato, si appoggiava alla spalliera di una sedia.

«Mi dispiace che abbia visto», disse Falcón, accennando al televisore.

«Ero stata avvertita», ribatté lei, estraendo un pacchetto di Marlboro Light dalla tasca del cardigan nero e accendendone una con il Bic posato sulla scrivania. Gli offrì una sigaretta prima di gettare il pacchetto sul tavolo. Falcón scosse la testa: era ormai abituato a quell'esame rituale e non se ne curava. Serviva a dare tempo anche a lui.

L'uomo vide davanti a sé una donna più o meno della sua stessa età, dall'aspetto molto curato, forse sin troppo curato. Le dita, con le unghie troppo lunghe e troppo rosse, erano cariche di anelli e gli orecchini che ammiccavano dal caschetto biondo le appesantivano i lobi. Il trucco, nonostante si trattasse di un ritocco, era stato applicato pesantemente. Il cardigan era l'unica cosa semplice nel suo aspetto. L'abito nero sarebbe andato bene, se non fosse stato per una bordura di pizzo che, in luogo di far pensare al lutto, richiamava maldestramente qualcosa di sessuale. Le spalle erano ampie, il busto eretto, le forme piene, ma senza traccia di grasso in eccesso. I muscoli del collo che le incorniciavano la laringe e i polpacci ben delineati dalle calze nere suggerivano la frequentazione di centri di benessere e di palestre. Si poteva definirla una bella donna.

Lei, dal canto suo, vide davanti a sé un uomo in buona forma fisica, con un abito dal taglio perfetto e i capelli folti prematuramente ingrigiti, un uomo che tuttavia, come tanti del suo genere, non avrebbe mai pensato di restituire loro il nero originario. Portava scarpe con i lacci e dal modo in cui erano stati stretti si capiva che Falcón non era il tipo da sbottonarsi con facilità. Il fazzoletto spuntava dal taschino della giacca, un fazzoletto immancabile secondo lei, ma che certamente non veniva mai usato. Probabilmente possedeva una gran quantità di cravatte e le portava sempre, anche nei weekend, forse perfino a letto. Vide un uomo chiuso, impacchettato e legato, un uomo che non si apriva mai, il che, anche se lei ne dubitava, era forse una deformazione professionale. Consuelo Jiménez non vedeva davanti a sé un sivigliano, non un sivigliano normale, comunque.

«Doña Consuelo, poco fa ha affermato che tra lei e suo marito non esistevano segreti, o quasi.»

«Dovremmo metterci a sedere», replicò la donna indicando con le dita che stringevano la sigaretta la poltrona del marito dietro la scrivania. Fece ruotare con una certa destrezza quella dei visitatori, per poi sedersi con una mossa rapida appoggiandosi a un bracciolo, le gambe accavallate così da far salire l'orlo di pizzo sul polpaccio.

«È sposato, Inspector Jefe?»

«Questa è un'indagine sull'omicidio di suo marito», affermò asciutto Falcón.

«È pertinente.»

«Ero sposato.»

La donna aspirò il fumo, toccandosi la punta delle dita con il pollice, come se contasse.

«Non c'era bisogno che specificasse questo particolare, sarebbe bastato rispondere 'sì'.»