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«Come?»

«Quella parola, 'incidente', le ha provocato una forte reazione.»

«È una parola che ho visto scritta nei diari di mio padre, ho appena cominciato a leggerli. Si riferisce a un fatto accaduto quando lui aveva sedici anni e che lo ha indotto a scappare di casa. Non rivela di che cosa si sia trattato.»

Avendo constatato l'efficacia del metodo, Falcón dovette farsi forza per reprimere il desiderio di liberarsi dalla mano che gli teneva il polso: a quanto pareva Alicia Aguado non soltanto era in sintonia con l'anatomia umana, ma sapeva captare anche le contorsioni dell'anima.

«Crede sia stato per questo che ha scritto un diario?»

«Intende dire per liberarsi dell'incidente?» rispose Falcón. «Non credo fosse quella la sua intenzione. Non avrebbe nemmeno cominciato, io penso, se un suo compagno non gli avesse regalato un diario su cui scrivere.»

«Talvolta queste persone ci vengono inviate.»

«Come a me è stato inviato questo assassino?»

Silenzio, mentre le parole venivano assorbite.

«Tutto ciò che verrà detto in questo studio è materia di segreto professionale, incluse anche le informazioni di polizia. Le registrazioni su nastro vengono chiuse in cassaforte», lo informò la donna. «Ora voglio che mi parli di come è cominciato.»

Le raccontò della faccia di Raúl Jiménez, come l'assassino avesse voluto costringere Jiménez a guardare qualcosa che l'uomo si era rifiutato di vedere. Non le risparmiò nessun dettaglio nel descriverle la sensazione che la vittima doveva aver provato ritornando in sé dopo che le palpebre gli erano state asportate e le spiegò come questo, unito all'orrore di ciò che l'assassino gli stava mostrando, avesse indotto Raúl Jiménez a spaventose automutilazioni. Credeva che il proprio crollo nervoso fosse cominciato nel momento in cui aveva visto quella faccia e il terrore di un uomo costretto ad affrontare l'orrore supremo.

«Ritiene che l'assassino veda se stesso in una veste professionale?» gli domandò la donna. «Come uno psicologo o uno psicoanalista?»

«Ah», disse Falcón, «intende dire che io lo vedo così?»

«È la verità?»

Silenzio, finché Alicia non decise di prendere le redini in mano.

«Lei ha fatto un collegamento tra questo omicidio e suo padre.»

Falcón le parlò allora delle fotografie di Tangeri che aveva trovato nello studio di Raúl Jiménez.

«Anche noi abbiamo vissuto là nello stesso periodo», spiegò, «e ho pensato di poter trovare mio padre in quelle foto.»

«Niente altro?»

Javier allargò e piegò le dita della mano, a disagio al pensiero delle informazioni che stavano scorrendo nel suo polso.

«Ho pensato anche che forse vi avrei trovato mia madre», disse. «È morta a Tangeri nel 1961, quando io avevo cinque anni.»

«L'ha trovata?» domandò Alicia dopo qualche momento.

«No. Ho trovato invece sullo sfondo di un'istantanea mio padre che baciava la donna che poi è diventata la mia seconda madre… voglio dire, la sua seconda moglie. La data sul retro era precedente alla morte di mia madre.»

«L'infedeltà non è una cosa tanto insolita.»

«Mia sorella sarebbe d'accordo con lei. Ha detto che mio padre 'non era un angelo'.»

«Questa cosa ha avuto un effetto sul modo in cui lei vede suo padre?»

Falcón si sorprese a pensare attivamente: per la prima volta nella sua vita si stava realmente addentrando nelle strette vie lastricate della sua mente. Il sudore gli imperlò la fronte. L'asciugò.

«Suo padre è morto due anni fa. Gli era molto vicino?»

«Credevo di esserlo. Ero il suo preferito. Io… io… ora sono confuso.»

Le parlò del testamento, del desiderio espresso da suo padre che lo studio fosse distrutto e di come gli stesse disubbidendo a causa dei diari che aveva cominciato a leggere.

«Trova strano il desiderio di suo padre?» domandò lei. «In genere gli uomini famosi vogliono lasciare qualcosa per la posterità.»

«Una sua lettera mi avvertiva che avrebbe potuto essere un viaggio pericoloso.»

«Allora perché lo ha intrapreso?»

Falcón finì, nella sua mente, in una strada senza uscita, contro un muro bianco e piatto di panico. Il suo silenzio si fece più profondo.

«Che cosa ha detto di aver trovato così agghiacciante nella morte della vittima?» domandò Alicia.

«Che era stato costretto a guardare…»

«Ricorda chi cercasse lei nelle foto della vittima?»

«Mia madre.»

«Perché?»

«Non lo so.»

Nel silenzio che seguì Alicia si alzò, accese un bollitore elettrico e preparò una tisana, cercò a tentoni delle tazze cinesi, versò la bevanda e tornò a stringergli il polso.

«È interessato alla fotografia?» gli domandò.

«Lo ero fino a poco tempo fa», rispose Falcón. «In casa ho perfino una camera oscura. Mi piace la fotografia in bianco e nero, mi piace sviluppare le mie immagini.»

«Che cosa cerca, che cosa vede nella fotografia?»

«Vedo una memoria.»

Le disse dei filmini che aveva visto quel pomeriggio, di come lo avessero fatto piangere.

«Andava spesso al mare da bambino?»

«Oh, sì, a Tangeri la spiaggia era proprio attaccata alla città… voglio dire, era praticamente in città. D'estate ci andavamo tutti i pomeriggi. Mio fratello, mia sorella, mia madre, la nostra domestica e io. Qualche volta eravamo solo mia madre e io.»

«Lei e sua madre.»

«Si sta chiedendo dove fosse mio padre?»

Alicia non replicò.

«Mio padre lavorava, aveva uno studio affacciato sulla spiaggia. Ogni tanto io andavo a trovarlo nello studio. Lui ci osservava, però, questo lo so con precisione.»

«Vi osservava?»

«Aveva un binocolo. Qualche volta me lo lasciava usare, mi aiutava a individuarli… la mamma, Manuela e Paco sulla spiaggia. Diceva che quello era un segreto fra noi. 'E il mio modo di tenervi d'occhio.'»

«Tenervi d'occhio?»

«Le ho dato l'impressione che ci spiasse?» domandò Falcón. «Ma non ha senso! Perché un uomo dovrebbe spiare la sua famiglia?»

«In quei film di famiglia che ha visto oggi si vedeva il padre?»

«No, era dietro la cinepresa.»

Gli chiese perché avesse guardato quei film e Falcón le raccontò tutta la storia di Raúl Jiménez. La donna lo ascoltò affascinata, interrompendolo solo per cambiare il nastro.

«Ma perché ha guardato quei film?» gli domandò di nuovo alla fine del racconto.

«L'ho appena detto», rispose Falcón, «è quasi mezz'ora che…»

Si fermò per riflettere a lungo, minuti di una complessità interminabile.

«Le ho detto che per me la fotografia è memoria», disse. «Sono attirato dalle fotografie perché ho un problema di memoria. Le ho detto che andavo al mare con la mia famiglia, ma in realtà io non lo ricordo. Non lo vedo. Non si tratta di qualcosa che è dentro di me e che posso richiamare alla memoria. Ho dovuto inventare per riempire i vuoti. So che andavamo sulla spiaggia, ma non lo ricordo come una mia esperienza. Ha senso quello che dico?»

«Perfettamente.»

«Voglio vedere i film e le foto per stimolare la mia memoria», continuò Falcón. «Quando ho parlato con lui della sua tragedia familiare, José Manuel Jiménez mi ha detto di avere difficoltà a ricordare la sua infanzia Io ho provato a pensare al mio primo ricordo e sono stato preso dal panico, perché sapevo che non c'era.»

«Ora può rispondere alla domanda che le ho rivolto prima? Perché legge quei diari?»

«Sì, sì!» esclamò Falcón, come se qualcosa fosse scattato in lui. «Sto disubbidendo a mio padre perché penso che i diari possano contenere i segreti della mia memoria.»