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Il registratore si spense. Nella stanza si diffusero i rumori distanti della città. Falcón aspettò che Alicia cambiasse il nastro, ma la donna non si mosse.

«Per oggi basta così», disse.

«Ma abbiamo appena cominciato!»

«Lo so. Ma non riusciremo a sciogliere i suoi nodi in una seduta. È un processo lungo. Non esistono scorciatoie.»

«Ma siamo… abbiamo cominciato a toccare i punti…»

«Proprio così. È stata una buona prima seduta», disse Alicia. «Voglio che lei rifletta un po', voglio che si interroghi sulle somiglianze tra la famiglia Jiménez e la sua, se ne vede qualcuna.»

«Entrambe le famiglie hanno lo stesso numero di figli… io ero il minore…»

«Non ne parleremo adesso.»

«Ma ho bisogno di fare progressi!»

«Li ha fatti, ma la mente umana può sopportare solo una certa quantità di realtà. È necessario che si abitui.»

«Realtà?»

«È ciò che ci stiamo sforzando di raggiungere.»

«Ma dove siamo ora, se non nella realtà?» domandò Falcón, spaventato da quel pensiero. «Non so chi sia immerso nella realtà più di me, sono un investigatore della squadra omicidi, il mio lavoro riguarda la vita e la morte, non si può essere a contatto con la realtà più di così.»

«Ma non è la realtà di cui stiamo parlando.»

«Mi spieghi.»

«La seduta è finita.»

«Mi spieghi solo questo!»

«Farò un esempio fisico», disse Alicia.

«Quello che vuole… Devo capire.»

«Dieci anni fa ruppi un bicchiere e, mentre stavo raccogliendo i pezzi, una minuscola scheggia mi entrò nel pollice. Non riuscii a estrarla, ma il medico preferì lasciarla stare per timore di ledere un nervo. Nel corso degli anni ogni tanto il dito mi faceva un po' male, ma niente di più, e nel frattempo il corpo si difendeva da quel pezzetto di vetro, avvolgendolo in strati di pelle fino a farlo diventare come un sassolino. Poi, un giorno, il corpo estraneo fu espulso dal corpo, il sassolino salì verso la superficie e, con l'aiuto di un po' di solfato di magnesio, uscì dal pollice.»

«E questa sarebbe la sua spiegazione sulla specie di realtà di cui stiamo parlando?»

«Le schegge di vetro possono entrare anche nella mente», ribatté Alicia e la sola idea diede la nausea a Falcón. «Talvolta queste schegge sono troppo dolorose per poterle affrontare e le cacciamo nel fondo del nostro cervello, pensando di poterle dimenticare, nascondendole sotto strati numerosi di… bugie. Così le teniamo a bada, finché un giorno accade qualcosa e, senza nessuna ragione apparente, la scheggia comincia a risalire verso la nostra parte conscia. La differenza è che non possiamo applicare il solfato di magnesio per far uscire la scheggia di vetro dall'inconscio.»

Falcón si alzò e cominciò a passeggiare avanti e indietro nella stanza. L'idea di quelle minuscole schegge che affioravano alla superficie lo stava spaventando, quasi gli sembrava di sentirle scricchiolare nella testa come… come ghiaccio che si fendesse. Un'altra analogia fisica?

«Lei ha paura», disse Alicia. «È del tutto normale. Non è una cosa facile, richiede un grande coraggio. Ma la ricompensa finale è enorme, è la vera pace interiore e la rinascita a ogni possibilità.»

Falcón ridiscese le scale, allontanandosi dalla luce della porta di Alicia per uscire nella strada buia, riflettendo su quell'ultima frase: la psicoterapeuta aveva pensato, evidentemente, che la fine di ogni possibilità fosse per lui molto vicina, bisognava accettare questo fatto.

S'incamminò di fretta accanto a un gruppo di giovani diretti in centro. La maggior parte delle vie era deserta, ancora in preda ai postumi dell'estasi e degli eccessi della Semana Santa. I bar, chiusi, avrebbero riaperto soltanto l'indomani, i sevillanos tornati finalmente ai ritmi della vita normale. Si ritrovò a percorrere piazze in genere piene di gente anche durante la settimana e ora silenziose e buie, dove si udiva solo qualche voce staccata, come se fosse molto più tardi e gli addetti alla pulizia delle strade stessero commentando la partita di calcio della sera prima. Falcón aveva la sensazione che la sua mente fosse libera dalla dispersione della vita quotidiana, quando non si riusciva a riflettere con calma su nulla e ogni azione generava la successiva.

Le voci tacquero. Javier non provava nessun desiderio di tornare a casa e decise che avrebbe continuato a camminare così ancora per qualche ora. Cominciò a pensare alla famiglia Jiménez, confrontandola con la sua. Sì, anche la sua famiglia era stata distrutta… no, distrutta era un'esagerazione. La morte improvvisa di sua madre non li aveva distrutti, ma danneggiati sì, come quelle sottilissime crepe sulla superficie della porcellana. Rivide il viso sconvolto del padre mentre il suo sguardo passava da Paco a Manuela a Javier; e in certo modo rivide anche se stesso, l'espressione sgomenta, la bocca spalancata, incapace di ritrovare il respiro dopo che gli era stato portato via tutto il suo mondo. Quei pensieri fecero affiorare in lui qualcosa di oscuro e di terribile, tanto che accelerò il passo sul selciato rilucente come seta.

Gli vennero alla mente giorni migliori, il ricordo gioioso di Mercedes, la donna che sarebbe diventata la seconda moglie di suo padre. Javier le aveva subito voluto bene. E ora il suo sentimento era imbrattato dalla fotografia trovata nell'appartamento di Raúl Jiménez: suo padre aveva una relazione con lei da prima della morte della moglie. Un pensiero che smosse in lui qualcosa di più terribile ancora, e Falcón si mise quasi a correre attraversando la plaza Nueva, i tronchi e i rami degli alberi avvolti in luci magiche. Era Natale ogni giorno ormai. Fissò con aria assente le vetrine perfettamente illuminate di Max Mara, i modelli su manichini perfetti. Si augurò una vita meno complicata, dove non vi fossero quei pensieri e quelle emozioni che lo scorticavano dentro, lasciandolo esternamente quasi intatto, ma sanguinante dentro come dopo l'esplosione di una bomba.

Il sudore gli sprizzava dalla fronte mentre percorreva quasi di corsa calle Zaragoza; gli parve di avvertire un certo appetito e pensò di andare da El Cairo per una tapa di merluza rellena de gambas. Avrebbe preferito sangre encebollada, ma, in una sera come quella, per un piatto a base di sanguinaccio e cipolle sarebbe occorso uno stomaco più robusto. Passò davanti alla galleria di Ramón Salgado, con una sola scultura illuminata nella vetrina. Poco più in là, in una tipica casa sivigliana, era stato aperto un caffè con un ristorante di lusso al piano superiore, frequentato da uomini d'affari e da avvocati con le mogli e le amiche.

Illuminata di spalle, in piedi sull'ultimo gradino della scala, c'era Inés. Qualcuno la stava aiutando a infilarsi il cappotto. Aveva i capelli raccolti sulla nuca e si pettinava così soltanto quando voleva essere attraente e sexy, mai per occasioni di lavoro. Falcón non riuscì a vedere in faccia l'uomo che era con lei mentre i due uscivano dal locale e si avviavano lungo la strada buia, tenendosi a braccetto, in direzione della Reyes Católicos. Nessun altro con loro, era stata una cena per due. Inés si voltò, fermandosi un istante, e Falcón si immobilizzò, poi i tacchi alti risuonarono sul selciato mentre lei affrettava il passo per raggiungere il compagno. Javier li seguì tenendosi sull'altro lato della strada, la fame e la stanchezza scomparse ora che la mente aveva ricevuto quel nuovo combustibile.

La coppia attraversò la Reyes Católicos, passando davanti al bar La Tienda, chiuso, poi tagliò per i vicoli verso calle Bailén e girò dietro il museo sbucando sulla piazza, così che Falcón dovette tenersi a distanza finché non li ebbe visti scomparire nella calle San Vicente. Dopo qualche momento li seguì, ma la via era ormai deserta. La percorse avanti e indietro per un centinaio di metri, domandandosi se non avesse immaginato tutto quanto o se l'uomo non avesse un appartamento lì, in quella strada, a meno di un chilometro daña via in cui abitava Falcón.