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R.: Ma perché?

Io: Non lo scrivo per gli altri.

R.: E a che ti serve?

Io: È un registro, proprio come i tuoi libri contabili.

R.: Serve a ricordarti dove sei?

Io: Precisamente.

R.: Non pensi che la gente leggerà i tuoi diari e dirà: «Che uomo straordinario»?

Qualche volta lo penso, ma non glielo dico.

R.: Chiunque conti qualcosa deve essere un po' vanitoso.

1o aprile 1944

Ci prendiamo la nostra prima vacanza, in modo che R. possa rendersi conto di come funzionano le banche. Stiamo al Residencial Almería. Vi si incontra gente di tutte le nazionalità e un sacco di donne sole che lavorano nelle centinaia di aziende che si sono impiantate qui dall'inizio della guerra.

R. si gode i suoi soldi. Si è fatto fare un abito su misura da un ebreo francese di Petit Soco. Se lo mette per andare nelle banche. Pranza in un ristorante tenuto da una famiglia spagnola nel Grand Hôtel Villa de France. Dopo mangiato fa una breve passeggiata lungo la rue Hollande e poi sale fino all'hotel El Minzah dove prende un caffè e un brandy. La sua vanità consiste nell'immaginarsi ricco e la cosa funziona, perché in quei posti conosce gente e conclude affari, essendo quelli locali frequentati da chi fa il mercato nero e cerca tipi come R. per trasportare le sue merci in Europa.

A me piace starmene seduto al sole al Café Central nella medina a guardare il caos del Soco Chico. La sera sono attirato dalla trasandatezza del porto. C'è un bar spagnolo che si chiama ha Mar Chica, con la segatura sul pavimento e una vecchia bagascia di Malaga che balla un flamenco passabile. Puzza, come se tutto il suo organismo fosse in disordine, e in realtà sudando si depura, liberandosi dai suoi malanni.

26 giugno 1944

Da quando gli alleati hanno invaso la Normandia abbiamo lavorato senza sosta. R. ha trovato un ubriacone scozzese che ha bisogno di soldi per pagare i debiti di gioco e così noi siamo i nuovi proprietari della «Highland Queen». Uno spagnolo, Miguel, che come lavoro portava i pescherecci fuori da Almuñecar, avrà il comando della nuova barca.

3 novembre 1944

In panne al largo di Napoli, alle prime luci dell'alba, siamo attaccati. Puntano sulla «Highland Queen», che si è staccata da noi. Durante il tempo che impiego ad avvicinarmi, M. è già in coperta con una pistola puntata alla testa. Non capisco quello che dicono. R. mi chiama per radio e mi dice di fare fuoco e io eseguo. Cadono tutti, compreso M. La barca dei pirati se ne va e io uso un Lee Enfield .303 inglese, molto preciso quando si spara a distanza, per abbattere l'uomo alla ruota. Sono greci. Rimorchiamo le due barche a Napoli. M. ha una brutta ferita alla gamba destra e dobbiamo lasciarlo lì. La nostra flotta è ora di quattro unità.

15 novembre 1944, Tangeri

R. sta cercando di affittare un magazzino al porto e uno fuori città. Il mio ruolo è garantire la sicurezza, il che significa trovare uomini fidati che impediscano ai ladri esterni di entrare e a quelli interni di rubare. Mi dice che la gente ha paura di me. Sono sorpreso. Si è sparsa la voce del modo in cui ho sistemato i greci e mi rendo conto che R. sta creando un mito su di me, ma sono incapace di impedirglielo.

17 febbraio 1945, Tangeri

R. ha trovato i magazzini. Parto subito per Ceuta e recluto veterani della Legione che mi conoscono. Ritorno con dodici uomini.

8 maggio 1945, Tangeri

Oggi è finita la guerra. La città è come impazzita, sono tutti ubriachi, tranne me e i miei legionari. I sobborghi sono affollati di berberi e gente del Riff scesa dalle sue montagne desolate per venire a vivere in chabolas fatte di assi e di casse da imballaggio. Non hanno niente da perdere e ruberebbero qualsiasi cosa. Siamo costretti a essere duri; le botte non li hanno dissuasi, perciò, se ora prendiamo qualcuno, la prima volta gli tagliamo un orecchio, la seconda gli rompiamo il naso o gli tagliamo il pollice o l'indice. Se ci riprovano, li portiamo fuori città e li buttiamo giù dalla scogliera.

8 settembre 1945, Tangeri

L'amministrazione spagnola si sta ritirando da Tangeri. In un primo momento R. si è preoccupato, ma sembra che la città ritorni al suo stato internazionale precedente e gli affari non ne risentiranno.

1o ottobre 1945, Tangeri

Abbiamo deciso di comprarci una casa. Io ho trovato una soluzione perfetta in una traversa appena fuori dal Petit Soco, una specie di labirinto costruito intorno a un cortile centrale dove cresce un grosso fico. La luce entra dai punti più sorprendenti. R. pensa che sia la casa di un pazzo. La sua è appena fuori dalla porta della medina in una strada del Grand Soco dove vivono molti spagnoli. Sono allarmato dal modo in cui mi parla continuamente della figlia tredicenne di un avvocato spagnolo che abita di fronte a lui. Come per miracolo il padre della ragazzina diventa il nostro avvocato ed è lui a stilare i contratti per l'acquisto delle proprietà. Io pago 1500 dollari e R. 2200 dollari e non dobbiamo prendere in prestito nemmeno un centesimo.

7 ottobre 1945, Tangeri

Ho ricominciato a dipingere. Disegno la casa e la dipingo in chiaroscuri astratti. Ogni tanto emerge un motivo all'interno di queste strutture in bianco e nero. Tenso ai miei lavori in Russia e capisco da dove mi viene questa ossessione monocromatica.

26 dicembre 1945, Tangeri

Durante la cena della vigilia di Natale R. mi domanda se io desideri sposarmi. «Con te?» gli domando, e ridiamo così forte che la verità comincia a divenire per me penosamente chiara. R. è una presenza massiccia nella mia vita (non così io nella sua). Controlla ogni mia mossa; siamo soci, ma comanda lui: pensa a pagare le mie spese, mi dà istruzioni sulle misure di sicurezza da prendere, elabora tutti i piani. Io ho compiuto da poco trent'anni, ne ho otto più di lui. Deve essere per via della Legione, di quella vita… ho bisogno di strutture ordinate per funzionare. Non sono padrone di me stesso… tranne quando mi ritiro nel mio cortile.

Questa casa è come la mia testa e la dice lunga su di me, se è vero, come dice R., che è la casa di un pazzo. Mi insedio in nuove stanze, una ha il soffitto molto alto e in cima alla parete c'è una finestra schermata da tralicci moreschi. Me ne sto seduto sul tappeto a fumare hashish e a contemplare ipnotizzato il disegno delle ombre spostarsi con il sole.

L'altro giorno P., il barman del Café Central di Petit Soco, mi ha indicato un «altro pittore spagnolo», un tipo dall'aspetto peggiore di quelli che vivono nelle chabolas della periferia. Si chiama Antonio Puentes. Dipinge, ma non vende e non espone. Io non capisco perché e cerco di discuterne con lui, ma lo trovo irremovibile. P. mi presenta a un musicista americano, un certo Paul Bowles. Conversiamo in arabo, dato che conosco poco l'inglese e il suo spagnolo è ancora peggio. Mi parla del majoun, una specie di marmellata di hashish di cui ho avuto notizia, ma che non ho mai provato. P. la prepara e ne compriamo un po'.

5 gennaio 1946, Tangeri

Fa freddo e piove. Un tempo troppo brutto per uscire con le barche. R. mi fa vedere il regalo che ha comprato per la giovane figlia del nostro avvocato: una bambola d'osso, un oggetto di una delicatezza straordinaria, ma un po' macabro. Più tardi vediamo la ragazzina che attraversa la strada con i suoi genitori, stanno andando verso la medina e la cattedrale spagnola. È molto bella, ma pur sempre una bambina. Le curve dei seni sono appena accennate e la linea del corpo è dritta dalle ascelle alle cosce. Non capisco che cosa lo attiri in lei fino a quando R. non mi rivela un'altra cosa della sua vita di un tempo. La figlia dell'avvocato gli ricorda una bambina del suo paese i cui genitori sono stati ammazzati come quelli di R., solo che la piccola non aveva voluto staccarsi da loro e nemmeno suo padre era riuscito ad allontanarla da sé. Esasperati, gli anarchici avevano sparato anche a lei. Che cosa rivela questo sull'infatuazione di R. per la figlia dell'avvocato? Quella ragazzina ha toccato in lui ciò che per lui ha più valore.