«È arrivato qualcosa», disse il magistrato, prendendo il cellulare.
Lesse le parole sul piccolo schermo. L'espressione accigliata si trasformò in una di sofferenza.
«Parla francese?» domandò, allungando il telefonino a Falcón. «Voglio dire, è semplice, ma… stranissimo.»
Aujourd'hui, maman est morte.
Ou peut-être hier, je ne sais pas.
Falcón si sentì quasi male, in preda a una forte nausea.
«L'ho capito», disse Calderón, «ma che significa?»
«'Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so'» tradusse Falcón. «E c'è di più: 'Non metterti più in contatto con me, cabrón, racconterò la storia'.»
«Ci ha risposto per le rime», ammise Calderón. «Ma che cosa ha voluto dire?»
«Non ha saputo resistere», spiegò Falcón. «Doveva dimostrarci di saper fare meglio di noi.»
«Ma in che modo?»
«Credo che abbia studiato il francese», disse Falcón.
«Quello viene da un testo letterario?»
«Non so, non posso esserne certo, ma se dovessi tirare a indovinare direi che è tratto dallo Straniero di Albert Camus.»
L'Edificio de los Juzgados era quasi vuoto a quell'ora della sera e i passi di Falcón rimbombarono attraverso le sue cavità mentre percorreva il lungo corridoio fino alle scale. Fu costretto ad aggrapparsi al corrimano per scendere le rampe, fermandosi sul pianerottolo per controllare il tremito delle gambe. Stava cercando di persuadersi che si trattava di una coincidenza, che non esisteva nessuna bizzarra telepatia tra lui e Sergio. La vita era piena di questi strani momenti, esisteva una parola precisa a questo proposito: sincronia. Non era una brutta cosa, agli esseri umani piaceva che le cose fossero sincronizzate. Ma questo no, non la discussione a proposito degli «stranieri», non Calderón che parlava di quel film dal titolo innominabile e Sergio che li atterrava con quella terribile citazione, una frase che lo scollegava dal mondo normale dei rapporti umani, dal profondo legame figlio-madre. Erano le parole dell'individuo più solo del pianeta ed erano penetrate in Falcón come una sega elettrica.
Quando i suoi riflessi si furono normalizzati si avviò all'uscita, al dispositivo di sicurezza. Dall'altra parte, Inés stava facendo passare la borsetta e la cartella attraverso la macchina. Era l'ultima persona che Falcón avrebbe voluto vedere e, mentre formulava tale pensiero, tutto quanto gli si precipitò addosso, la bellezza di lei, il sesso, la sua nostalgia, il loro fallimento. Inés aspettò di riprendere borsa e cartella, guardandolo dritto in faccia, quasi con ironia.
«Hola, Inés», salutò Falcón.
«Hola, Javier.»
L'odio nei suoi confronti era palese. Era condannato al ruolo dell'«individuo imperdonabile» e questo non riusciva a comprenderlo, perché non avvertiva in sé nessuna traccia di rancore. Avevano sbagliato, lo avevano riconosciuto, si erano lasciati. Ma lei lo detestava. L'addetto alla sicurezza le restituì le sue cose e Inés lo abbagliò con un sorriso. Le labbra tornarono una rossa linea dura per Javier. Falcón avrebbe voluto saper improvvisare qualcosa, una battuta che rasserenasse l'atmosfera all'istante, come accadeva nei film. Ma non ebbe nessuna ispirazione, non c'era niente da dire, il loro rapporto era ormai al di là perfino dell'amicizia. Lei lo disprezzava troppo.
Inés si allontanò, le spalle strette, la vita sottile, i fianchi sinuosi, il passo sicuro, i tacchi che scandivano la distanza.
L'uomo della sicurezza si morse un labbro, seguendola con lo sguardo, e Falcón comprese a un tratto perché Inés lo odiasse tanto. Lo odiava perché aveva distrutto la perfezione della sua vita. La bellissima e brillante studentessa di giurisprudenza che era diventata un pubblico ministero eccezionalmente giovane, adorata dagli uomini e dalle donne ovunque andasse, si era innamorata di lui, di Javier Falcón. E lui l'aveva rifiutata, non era riuscito a ricambiare il suo amore, aveva sciupato la sua perfezione. Per questa ragione pensava che Javier non avesse un cuore, perché era l'unica spiegazione possibile del suo fallimento.
All'esterno dell'edificio Falcón prese posizione accanto a uno dei pilastri del palazzo adiacente, un punto di osservazione che gli permetteva di vedere il portone principale dell'Edificio de los Juzgados. Qualche minuto dopo Inés ricomparve, seguita a breve distanza da Esteban Calderón. Lo attese, lo baciò sulla bocca, lo prese sottobraccio e si diressero lungo il colonnato verso la calle Menéndez Pelayo.
Si erano baciati davvero? Si trattava di un effetto della luce?
Il suo potere di dissuasione lo abbandonò. Era stato tutto troppo chiaro. E tra ombre oblique delle colonne neoclassiche Falcón si imbatté in un'altra anomalia della logica, nel difetto dell'impianto umano che poteva mandare in cortocircuito il più limpido dei pensieri. Non l'amava. Non provava nessun rancore verso di lei. Era impossibile riparare il loro rapporto. Allora perché sentiva il sangue, gli organi interni, i nervi, i tendini consumati da una gelosia mostruosa?
Tornato di corsa alla macchina, guidò fino alla Jefatura, stringendo il volante con una forza tale che ebbe qualche difficoltà a distendere le dita per scrivere il rapporto. Cercò di leggere quelli degli altri. Non riuscì, la sua concentrazione svolazzante tra il naufragio delle indagini e l'inesplicabile certezza delle insuperabili doti erotiche di Calderón.
Una porzione di tempo scomparsa. Una porzione di spazio perduta. Un attimo prima stava faticando con quei rapporti e un attimo dopo era seduto accanto ad Alicia Aguado, sul polso le sue dita leggere come piume.
«È turbato.»
«Ho avuto da fare.»
«Per lavoro?»
La risata uscì da lui come uno schizzo di vomito. Una manciata di secondi ed era già un riso isterico così irresistibile che non era più qualcosa che proveniva da lui, era lui. La donna lo lasciò andare e Falcón si gettò sul divano, piegato in due. L'accesso passò, Javier si asciugò gli occhi, si scusò e tornò a sedere accanto a lei.
«'Ho avuto da fare'… è un modo talmente assurdo, talmente riduttivo per descrivere la mia giornata», disse. «Non sapevo che la vita di un pazzo fosse tanto piena. Concentro un'intera esistenza in ogni minuscolo spazio che riesco a trovare, nessuno può dirmi qualcosa senza che un mondo intero risalga alla superficie. Mentre sono con un magistrato nel suo ufficio, mentre lui mi parla del suo punto preferito di un film, io corro su una spiaggia, sciaguattando tra le onde, vengo lanciato in aria e strillo.»
«Lanciato da sua madre?»
Falcón esitò.
«Be', questo è strano», disse.
Silenzio.
«Ho rivisto la scena con la chiarezza di un sogno», riprese Falcón. «Ora mi accorgo che mancava qualcosa, ma mi è tornata alla mente. Chi mi lanciava in aria era un uomo.»
«Suo padre?»
«No, no, uno sconosciuto.»
«Non l'aveva mai visto prima?»
«È un marocchino. Credo che sia un amico di mia madre.»
«Una cosa insolita?»
«No, no. I marocchini sono socievoli, amano chiacchierare, sono molto curiosi, fanno domande. Hanno una straordinaria facilità di…»
«Intendevo dire insolito per sua madre, una donna sposata, incontrare un uomo sulla spiaggia. Lasciare che il suo bambino fosse lanciato in aria da quell'uomo.»
«Non sono sicuro che fosse proprio uno sconosciuto. No. L'avevo già visto. Probabilmente il proprietario di un negozio dove mia madre andava a fare spese, qualcosa del genere.»