«Che cosa è successo nell'ufficio del magistrato?»
Le raccontò l'incontro, il tentativo di dialogo con Sergio, il film di Almodóvar, la terribile risposta di Sergio e la reazione che aveva scatenato in lui.
«Mi ha sconvolto il fatto che avessimo appena parlato di stranieri ed ecco che l'assassino usa una frase di quel libro, perché era Lo straniero, ne sono sicuro. Mi fa sentire come se stessi diventando pazzo.»
«Non ci pensi», lo rassicurò Alicia. «Sincronia, succede in continuazione. Si concentri sui risultati.»
«E cioè?»
Silenzio da parte di Alicia Aguado.
«Mia madre», disse Falcón. «Questo è un risultato.»
«Perché quella frase del romanzo di Camus ha avuto questo effetto terribile su di lei?»
«Non so.»
«Come è morta sua madre? Era malata?»
«No, no, non era malata. Ha avuto un attacco di cuore, ma…»
Un silenzio prolungato durante il quale Falcón batté le palpebre una volta ogni minuto.
«C'era qualcosa… un trambusto di non so che specie nella strada. Noi eravamo in casa, Paco, Manuela e io. E in strada, davanti alla nostra porta, c'era quel baccano, non ricordo perché. Dopo, però, mio padre venne a comunicarci che la mamma era morta. Ma non riesco a ricordare… quello che era successo.»
«Che accadde dopo la sua morte?»
«Ci fu il funerale. Ricordo soltanto le gambe della gente e la tristezza generale di quel giorno. Era febbraio e pioveva. Mio padre passò moltissimo tempo con noi, ci accudì durante tutto quel periodo.»
«Non rivide più lo sconosciuto della spiaggia?»
«Mai più.»
«Dopo quanto tempo si risposò suo padre?»
«Conoscevamo già Mercedes, era un'amica di famiglia. Aiutava molto mio padre, vendeva le sue opere negli Stati Uniti. Avevano una relazione prima della morte di mia madre… glielo avevo detto? L'ho scoperto da poco.»
«Vada avanti.»
«Mercedes era ancora sposata quando la mamma morì e in seguito morì anche suo marito, in America, di cancro, credo. Tornò a Tangeri sullo yacht del marito, e sposò mio padre un anno dopo la morte della mamma, mi sembra.»
«A lei piaceva Mercedes?»
«Le ho voluto bene immediatamente. Ho un vago ricordo del giorno in cui la vidi per la prima volta. Ero piccolissimo. Entrò nello studio di mio padre e mi prese in braccio. Credo di aver giocato con i suoi orecchini. Sì, le ho voluto bene fin da quel momento, ma è anche vero che secondo mio padre io ero un bambino molto affettuoso.»
«Come andò con Mercedes?»
«Fu un periodo molto bello, mio padre aveva successo, tutti parlavano dei nudi Falcón nel mondo dell'arte, lo indicavano come il nuovo Picasso, il che era assurdo, date le dimensioni e la qualità della sua opera. Poi, la tragedia. Fu dopo una cena di capodanno, andarono tutti al porto per vedere i fuochi d'artificio e alcuni di loro uscirono in barca di notte, il mare si ingrossò e Mercedes cadde fuori bordo. Il corpo non fu mai ritrovato.
«Ma… ma appena prima che tutto il gruppo uscisse, io scivolai fuori dalla mia camera e Mercedes mi vide», continuò Falcón, rivedendo il film attraverso la porta della sua mente. «Mi riportò a letto. Mi sono ricordato di questo l'altro giorno perché… ecco, sì, tutto torna. Nella mia indagine sul primo omicidio, la vittima, Raúl Jiménez, fumava quella marca di sigarette, le Celtas, e lei aveva quell'odore nei capelli. Ho scoperto solo recentemente che mio padre conosceva Raúl Jiménez fino dagli anni '40 e ora mi rendo conto che Jiménez doveva essere stato presente a quella festa… se non fosse per il fatto che a quell'epoca aveva già lasciato Tangeri.»
«Sono sicura che erano in molti a fumare quelle sigarette, allora.»
«Sì, certo», convenne Falcón. «Insomma, Mercedes mi rimise a letto, mi baciò e mi abbracciò forte. Mi strizzò dentro il suo affetto con tale veemenza che quasi non riuscivo a respirare. Aveva un profumo… ora so che era Chanel N° 5. Le donne non lo usano molto oggi, ma anni fa, quando lo sentivo per strada, subito ritornavo a quel momento. Nella stretta dell'amore.»
«E dopo che Mercedes se ne fu andata?»
Falcón provò una fitta di dolore e si portò la mano libera allo stomaco.
«Mi sembra ancora di udire…» disse, con sforzo, «di udire il rumore dei suoi tacchi allontanarsi lungo il corridoio e giù per le scale. Sento gli altri ospiti parlare e ridere, sento la porta che si chiude, i passi sul selciato. E ricordo che lei non tornò più.»
Le lacrime gli offuscarono la vista, aveva la bocca piena di saliva che non riusciva a inghiottire. Le ultime parole uscirono quasi soffocate dal muro tremante del suo stomaco.
«Niente più madri dopo di allora.»
Alicia preparò un tè. La tazza gli scottò le dita, il tè gli bruciò la lingua. La bevanda lo riportò alla realtà della stanza, con una strana, piacevole sensazione di nuovo, di pulito, come quando lui e Paco avevano scrostato e rimesso in ordine un vecchio stabbiolo alla finca, trasformandolo in un solido cubo bianco nel paesaggio color terra d'ombra bruciata. L'aveva fotografato, trovandovi in certo modo la semplicità di una grande opera d'arte.
«Non avevo mai ricordato tutto di seguito», disse. «In genere mi fermavo sempre prima del rumore dei tacchi che si allontanano.»
«E adesso, Javier, sa che non è stata colpa sua se non è ritornata, non è vero?»
«Avrei una domanda.»
«Quale domanda?»
Falcón rifletté per un lungo momento, poi scosse la testa.
«Lei sa che non è stata colpa sua», ripeté lei.
Falcón annuì.
«Sa che cosa ha fatto stasera, Javier?»
«Suppongo si possa dire che ho rivissuto un momento.»
«E l'ha visto nella sua luce normale», disse Alicia. «È così che funziona il processo. Se le neghiamo, le cose per noi dolorose non se ne vanno. Ci nascondiamo semplicemente da loro. Lei ha appena avuto il primo successo nella più grande indagine della sua vita.»
Tornò in macchina in calle Bailén, stranamente depurato, come se avesse corso e sudato, eliminando tutte le tossine dall'organismo. Parcheggiò e camminò nella casa silenziosa fino al patio, al suo centro e alla limpida pupilla di acqua nera e scintillante. Accese la luce sotto il porticato. Gli tremavano le mani entrando nel suo studio. Percorse con lo sguardo la scrivania, le fotografie sparse, il ritratto di sua madre con i bambini. Si diresse al vecchio armadietto grigio, lo aprì e tirò fuori una cartella marrone di pelle scamosciata contrassegnata dalla lettera «I». Sedette alla scrivania, consapevole del passo successivo che avrebbe fatto, scacciando il senso di colpa. Prese le quindici stampe in bianco e nero e le dispose capovolte sul piano. Domandò al riflesso sul vetro del quadro appeso alla parete: «Sei rimesso a nuovo davvero?»
Girò la prima foto. Inés giaceva bocconi, nuda, sul lenzuolo di seta del letto, il viso girato verso di lui, la testa appoggiata sulla mano stretta a pugno, i capelli sparsi dappertutto. Falcón chiuse gli occhi mentre lo spasmo di dolore si attenuava. Girò la seconda fotografia, aprì gli occhi, i muscoli del collo tremanti per la tensione. Impossibile deglutire. Inés era sostenuta dai guanciali, nuda anche qui, a parte un lembo di seta sulle spalle. Fissava l'obiettivo con intensità profondamente sensuale, le cosce aperte a rivelare il sesso rasato. Lui stava in piedi dietro la macchina fotografica, nelle stesse condizioni. Ah, la meravigliosa eccitazione mentre si rasavano a vicenda, le risatine, le mani tremanti. Non vi era stato niente di perverso, la gioia stava nell'innocenza della cosa. Rivide la luce brillante di quel giorno. Ritrovò il caldo torrido di quel pomeriggio pingue, vasto, le fessure abbaglianti delle imposte che illuminavano la penombra della stanza e rivelavano le loro immagini nello specchio, l'intimità di loro due soli nella grande casa, tanto che quando il caldo era diventato eccessivo lui l'aveva sollevata tra le braccia mentre erano ancora uniti, aveva disceso le scale, le cosce di Inés intorno alla vita, le caviglie allacciate, i talloni di lei premuti sulle sue natiche. Aveva scavalcato il bordo della fontana, immergendo i loro corpi nell'acqua fresca.