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2 agosto 1946, Tangeri

Si è stabilito un rapporto di fiducia tra me e il dottore e P. ha il permesso di venire da sola a casa mia per posare. Viene nel pomeriggio quando l'ambulatorio è chiuso e può fermarsi soltanto un'ora. Fa molto caldo e devo lavorare in una delle stanze affacciate sul patio per via della luce. Io disegno, lei sta seduta su una sedia di legno. Le sto vicino, ma non batte ciglio. Non parliamo finché non le guardo le mani, abbandonate in grembo, piccole, dalle dita lunghe, delicati strumenti di piacere.

Io: Chi le ha insegnato a fare i massaggi?

P.: Perché crede che mi abbia insegnato qualcuno?

Io: Mi è parso che l'esperienza delle sue mani fosse frutto di un insegnamento, non il risultato di tentativi e di errori.

P.: Chi le ha insegnato a dipingere?

Io: Sono stato aiutato nel modo di guardare le cose.

P.: Ho imparato da una zingara a Granada.

Io: È da lì che viene?

P.: In origine, sì. Mio padre ha esercitato a Melilla per qualche anno prima di venire qui.

Io: E suo padre le permetteva di frequentare gli zingari?

P.: Sono molto libera, anche se i miei genitori forse vogliono farle credere il contrario.

Io: Può girare da sola?

P.: Faccio quello che mi pare. Ho ventitré anni.

Arriva il ragazzo con il tè alla menta. Ricadiamo nel silenzio. Disegno le sue mani e poi beviamo il tè.

P.: Nei disegni lei è figurativo, ma nei quadri è astratto.

Io: Insegno a me stesso a vedere con i disegni e interpreto con la pittura.

P.: Oggi che cosa ha visto?

Io: Ho guardato la struttura.

P.: Sono ben costruita?

Io: Con delicatezza e forza.

P.: Sa perché lei mi piace?

La domanda mi ammutolisce.

P.: Lei ha forza e personalità, ma è anche vulnerabile.

Io: Vulnerabile io?

P.: Ha sofferto, ma in lei esiste ancora il bambino che è stato.

Questo scambio intimo sigilla qualcosa tra noi. Mi ha detto cose che non ha confidato ai suoi e ha visto in me cose che riconosco come vere. Ma sbaglia. Io sono così… ma non ho personalità… non ancora.

10 agosto 1946, Tangeri

Non riesco a muovermi dal mal di schiena. Sento un bozzo a lato della colonna vertebrale. P. arriva per la posa e si rende conto del problema. Esce e ritorna con la sua cassetta di unguenti. La camera da letto è zona proibita, perciò mi sdraio sul pavimento dello studio. Lei prova a massaggiarmi stando seduta accanto a me e non riesce. Mi dice di chiudere gli occhi. Sento che si sfila la gonna, poi si abbassa e si mette in ginocchio a cavalcioni su di me. Solo le gambe nude sfiorano la parte esterna delle mie. Sento il suo calore sopra di me. Lavora sul gonfiore nella schiena con la punta delle dita mentre io metto radici nel suolo.

Ha finito. Ogni parte del mio corpo è stata reclamata dal pavimento. Si rimette la gonna e mi dice di alzarmi. Restiamo in piedi l'uno di fronte all'altra. Fisicamente sono sotto controllo, ma ho la mente in subbuglio. Mi dice di camminare. Lo faccio e non sento nessun dolore, a parte un certo indolenzimento dei testicoli. Mi dice di continuare a camminare, l'attività è il segreto di una schiena forte. Non devo stare seduto a disegnare o a dipingere. Se ne va. Io fumo hashish finché non mi sento liquido, come verde olio di oliva che scorra da una stanza all'altra.

Più tardi viene Ahmed con un amico. È malizioso quel ragazzo. Mi domando se C. non lo stia manovrando in una specie di suo esperimento artistico. Mentre P. e io siamo tanto contegnosi fisicamente, questi ragazzi sono completamente disinibiti. Fumo e loro due si danno da fare davanti a me, i muscolosi corpi adolescenti annodati come corde. Rivolgono l'attenzione su di me. Il risultato è esplosivo e i due ridono e scherzano come bambini intorno a una fontana. Prima di andarsene Ahmed mi mette un dattero drogato tra i denti. Io rimango lì sdraiato con quella dolcezza sognante che mi cola dentro, pieno e satollo come un pascià insonnolito.

11 agosto 1946, Tangeri

Mi è stato riferito che due miei legionari si sono battuti per questioni di gelosia in una camera d'albergo della città; una zuffa lunga e cruenta, il pavimento della stanza era scivoloso come quello di un mattatoio. Uno dei legionari è morto, la donna è ferita malamente e l'altro legionario è in galera. Chiedo al capo della polizia di lasciarmi vedere l'amante, pensando che questo possa trasformarsi in un incidente internazionale, se la donna dovesse morire. Mi dice di non preoccuparmi, perché non è una donna, ma un ragazzo del Rif. Si stringe nelle spalle, allarga le braccia… es la vida.

Gli allungo qualcosa e il legionario è rilasciato a condizione che se ne vada immediatamente dalla Zona Internazionale. Lo porto a Tetuán e gli fornisco un po' di soldi. Durante il viaggio mi dice di essere stato con la División Azul in Russia e di essere rimasto con la Legión Española de Voluntarios. Poi, dopo lo scioglimento della Legión, si era unito alle SS ed era con il famigerato capitano Miguel Ezguera Sánchez quando i russi erano entrati a Berlino. Mi mostra una manciata della moneta corrente a quel tempo; pillole di cianuro. Me ne ha date due come strano souvenir e in quanto «novio de la muerte», bizzarro modo di ringraziarmi.

1o settembre 1946, Tangeri

R. ha ottenuto un prestito e ha comprato altri due battelli. Sono stato di nuovo a Ceuta a reclutare altri legionari. Li addestriamo a portare le barche. Li paghiamo bene e loro sono contenti del lavoro. Hanno armi da maneggiare e la possibilità dell'avventura, anche se, a causa della nostra reputazione, nessuno si azzarda ad avvicinarsi. I pirati si accontentano dei pesci piccoli. La mia importanza nella società adesso è primaria, perché la fiducia è merce rara e, grazie alla grande solidarietà tra legionari, possiamo fidarci di loro. Non ci deruberanno. Questo libera R. e me dal compito gravoso di condurre le navi. R. sta investendo in proprietà immobiliari, costruiamo palazzi e io devo occuparmi della sicurezza dei cantieri. R. si muove sui mercati dell'oro e della valuta grazie al costante flusso di denaro che arriva dalle operazioni di contrabbando. Io non capisco nulla di quei mercati e non ho nessuna voglia di farmi coinvolgere.

Ora che Barbara Hutton, l'ereditiera Woolworth, ha messo su casa nel palazzo di Sidi Hosni, secondo R. Tangeri diventerà la nuova Costa Azzurra. Intende investire molto di più nel settore edilizio e «costruire alberghi per tutti quelli che verranno qui a scaldarsi le mani alla fiamma del nostro benessere», dice. Mi dice anche che «La Rica» ha comprato il palazzo per centomila dollari, una somma inimmaginabile qui a Tangeri. Il Caudillo, come chiamano ora Franco, ne aveva offerti cinquantamila. Probabilmente starà schiattando dalla rabbia nel suo palazzo, El Pardo.