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I nastri. Al pensiero dei nastri, sentì le mani sudate. Non voleva ascoltare ciò che vi era inciso. Inserì le bobine nel registratore, premette il pulsante e fu sollevato nel constatare che il primo nastro non conteneva nulla.

Il secondo iniziava subito con una conversazione tra Salgado e Carmen. Salgado la implorava di cantare, lei rifiutava. Si udiva il rumore dei tacchetti della donna sul pavimento di legno mentre il marito la supplicava, arrivando perfino a dirle che così avrebbe almeno avuto qualcosa per ricordarla, se fosse morta prima di lui. La conversazione si trasformava in musica classica seguita da qualche flamenco e Falcón fece scorrere il nastro velocemente fino alla fine.

Il terzo cominciava con l'Adagio di Albinoni, poi seguivano altri pezzi emozionanti di Mahler e di Cajkovskij. Il quarto nastro quasi non riuscì a infilarlo tra le testine magnetiche, tanto le sue mani erano umide. Premette play e per qualche istante udì soltanto un sibilo etereo, poi si scatenò tutto ciò che aveva temuto. Urla, esortazioni, panico. Scalpiccio frettoloso su pavimenti duri, tintinnio di vassoi di metallo che urtavano piastrelle di ceramica, tavoli e paraventi che traballavano, tessuti che si strappavano. Un ultimo grido, come di qualcuno spazzato via dal mare senza cima di salvataggio che vedesse il suo amante sulla spiaggia, impotente e sempre più lontano. «Ramón! Ramón! Ramón!» E poi un brusco scatto e il silenzio.

La superficie di vetro della scrivania offrì un sostegno. Le urla finali di Carmen erano stati per lui tre colpi cruenti, lo avevano spezzato a metà, lasciandolo con gli organi a pezzi.

Fissò l'attenzione sul respiro… l'effetto calmante della concentrazione su un riflesso motorio. Spense il registratore, si asciugò il sudore che gli imperlava il labbro superiore, quasi sopraffatto dal rimorso al pensiero di essere stato tanto brutale con il vecchio amico di suo padre, ricordando tutte le volte che lo aveva visto davanti a casa in calle Bailén e si era detto: no, quel rompiscatole no. Ma c'era anche l'agghiacciante contenuto del computer. Che cosa era accaduto a quell'uomo dopo che aveva perduto la moglie? Era stata la sua infelicità a spingerlo, a pungolarlo lungo quella strada di indegnità fino alla definitiva, solitaria depravazione dell'autostrangolamento mentre le immagini calamitose dei bambini rovinati passavano davanti ai suoi occhi? Forse quello era nella sua natura ed egli era stato consapevole delle cose terribili che avrebbe potuto fare; ma era arrivata Carmen e lo aveva coinvolto con la sua bontà. E per le sue colpe gli era stata strappata brutalmente.

Sì, delusione era una parola irrisoria per descrivere lo stato di Salgado mentre si allontanava da quell'ospedale nel caldo spaventoso di un luglio sivigliano e muoveva i primi passi febbrili verso l'inferno.

Entrò Baena con un sacco di plastica.

«Abbiamo finito con la casa, Inspector Jefe», disse, porgendogli il sacco. «Serrano ha fatto il giardino con Jorge. L'unica cosa interessante è questa. Una frusta. Di quelle che i bigotti fanatici usano per flagellarsi. Mea culpa. Mea culpa.»

«Dov'era?»

«In fondo all'armadio a muro nella camera da letto», disse Baena. «Niente corone di spine o maglie di crine, però.»

Falcón grugnì una risata e disse a Baena di inventariare il contenuto del baule prima di farlo trasportare alla Jefatura. Lasciò a Serrano il compito di mettere i sigilli alla casa e si diresse verso il centro della città. Parcheggiò in Reyes Católicos e fece un rapido spuntino con una tapa di solomillo al whisky, per avviarsi subito dopo verso la galleria di Salgado in calle Zaragoza. Il locale delle esposizioni era buio.

Greta, la segretaria di Salgado, svizzera di nascita, sedeva alla scrivania in fondo al locale con le mani strette fra le ginocchia, fissando il vuoto, gli occhi gonfi e sciupati dal pianto.

«Dovrebbe andare a casa», le disse Falcón, ma Greta non voleva restare sola. Gli confidò che erano dieci anni che lavorava per Salgado, avevano programmato una festa di anniversario per la prossima Feria. Si lasciò andare ai ricordi, alle frasi fatte su «quant'era buono» Ramón. Falcón le chiese se le venisse in mente qualche artista che avesse detestato Ramón, che fosse stato respinto da lui, forse.

«Entra sempre qualcuno in galleria, studenti, giovani. Mi occupo io di loro. Non capiscono come funziona il mercato dell'arte, Ramón non opera a quel livello. Alcuni di loro escono di qui infuriati, come se noi non fossimo degni del loro genio, mentre con altri si parla e, se li trovo simpatici, lascio che mi mostrino i loro lavori. Se sono buoni, dico loro a chi portarli. Ramón non li vedeva mai.»

«Quanti di loro le hanno mostrato opere che comprendono film, video o immagini computerizzate?»

«Più della metà. Oggigiorno non molti di questi ragazzi dipingono.»

«Non è lo stile che piaceva a Ramón, vero?»

«Non è lo stile dei suoi clienti. Sono piuttosto conservatori, non ne capirebbero il valore. A questo livello si tratta più che altro di denaro e di investimenti… e un CD con qualcosa di creativo dentro non dà la sensazione, non ha l'aspetto di un investimento da dieci milioni di pesetas.»

«Tra quelli rappresentati, c'era qualche artista affermato che fosse scontento di lui?»

«No, Ramón era molto vicino ai suoi artisti, non faceva quel genere di errori.»

«E negli ultimi sei mesi? Ricorda niente di strano, qualche episodio sgradevole o umiliante…»

«Non era molto concentrato sul lavoro, era preoccupato per sua sorella, e poi è stato molto all'estero, principalmente in Estremo Oriente… Thailandia, Filippine.»

Il pensiero di Salgado che cercava soddisfazione ai suoi bisogni con i fanciulli orientali si cristallizzò nella mente di Falcón. Si sentì sudicio di fronte alla bionda Greta, lui con la sua consapevolezza recente, lei con i suoi ricordi intatti. Si rese conto che la verità aveva degradato lui e l'ignoranza elevato lei.

«Ramón non parlava mai di sua moglie?» le domandò.

«Non sapevo che fosse stato sposato», si meravigliò Greta. «Era molto riservato. Ho sempre pensato che non fosse il tipico spagnolo, in lui c'era parecchio della riservatezza svizzera.»

Siamo a tal punto diversi a seconda delle persone con le quali siamo in rapporto, pensò Falcón. Salgado era tranquillo, autorevole, gentile e riservato con una donna sulla quale non aveva bisogno di fare colpo, eppure con Falcón era sempre stato ossequioso, seccante, smanioso di compiacere e pomposo. Avendo una buona memoria, disse a se stesso, potremmo essere chi vogliamo con chiunque, tutti noi attori e ogni giorno una nuova commedia.

Salì nell'ufficio di Salgado al piano superiore, in quel momento occupato da Ramírez e Fernández in maniche di camicia, intenti a sfogliare carte ai due lati della scrivania.

«Non stiamo facendo progressi qui», lo informò Ramírez. «Il meglio che abbiamo ricavato ce lo ha fornito Greta nella prima mezz'ora e cioè l'elenco dei clienti, quello degli artisti che rappresentava un tempo, quelli attuali e quelli che non ha voluto rappresentare. Il resto sono lettere, fatture, la solita roba. Nessuna corrispondenza tra lui e la signora Jiménez, nessun biglietto di Sergio con scritto: 'Sei fottuto'.»

Si era fatto tardi e Falcón disse loro di smettere. Tornò aña Jefatura. Il baule trovato nella mansarda di Salgado era già lì. Prese la pellicola e la inserì nel proiettore di Raúl Jiménez, già pronto. Il film era probabilmente un regalo, forse dello stesso Jiménez. Consisteva in sette sequenze di Ramón e di Carmen, felici in ogni ripresa. Evidentemente Salgado adorava sua moglie; lo sguardo che le rivolgeva quando la donna si girava verso la cinepresa e il modo in cui i suoi occhi indugiavano sulla guancia di lei non lasciavano dubbi in proposito.

Falcón rimase seduto al buio in compagnia della luce tremolante delle immagini. Non riusciva a controllarsi, ma non c'era nessuno per cui doversi controllare e perciò pianse, senza sapere perché e disprezzandosi per questo, come era solito disprezzare il pubblico che piagnucolava per il rozzo sentimentalismo degli spettacoli cinematografici.