«In che fascia di età dobbiamo cercare?»
«Diciamo fino a quarantacinque anni, tanto per precauzione… purché sani e robusti», rispose Falcón. «Conosce nessuno alla buoncostume che esaminerebbe il materiale che abbiamo trovato sul computer di Salgado per darci un parere sulla provenienza?»
Ramírez annuì, da uomo che sapeva come farsi dispensare favori. Tornarono sul profilo di Sergio, poi Falcón si avviò all'uscita. Sulle scale, si girò.
«Se Greta conosce qualcuno su quell'elenco che abbia avuto un'istruzione francese e che abbia trascorso del tempo in Francia o in Nordafrica, mettete in evidenza il nominativo.»
Davanti alla casa di Salgado Falcón scavalcò il nastro della polizia ed entrò nell'abitazione, deserta e priva di vita ora che il trambusto della scena del delitto era cessato. Non comunicava nemmeno tristezza, solo la sterilità del suo proprietario, un uomo dai gusti presi in prestito. Al pianterreno le pareti erano state imbiancate di recente, non vi era traccia di ninnoli, nessuna fotografia, nessun oggetto fuori posto, la mobilia un insieme di linee pulite; in soggiorno solo un quadro, un acrilico astratto quasi privo di colore. Nello studio, al centro della libreria, l'unica foto esposta: Francisco Falcón e Ramón Salgado, sorridenti, le braccia l'uno sulle spalle dell'altro.
Salì nella mansarda affacciata sul piccolo terrazzo dal quale si pensava che fosse passato Sergio. Felipe e Jorge l'avevano lasciata esattamente come era stata trovata, perfino la chiave della porta era ancora sul pavimento come quando erano entrati. Falcón la fissò per un attimo, poi chiamò Felipe con il cellulare e gli chiese dove avesse lasciato la chiave.
«L'abbiamo rimessa nella serratura, era meglio che correre il rischio che venisse spostata di qua e di là sul pavimento.»
«In questo caso… è tornato», disse Falcón.
«Dov'era la chiave?»
«Per terra, accanto alla porta, dove è stata trovata la prima volta. Perché dovrebbe voler tornare sulla scena del delitto?»
«Perché si è dimenticato qualcosa?» suggerì Felipe.
«Sì, significa che ha lasciato qui una cosa», affermò Falcón e una palma alta nel giardino accanto ondeggiò nella brezza in un sonoro fruscio delle foglie. A Falcón si rizzarono i capelli in testa mentre si concentrava nell'ascolto. E se fosse stato ancora lì? No, non in pieno giorno. Iniziò una lenta e metodica ricerca in tutta la casa. Era vuota. Tornò nella stanza dove era stato trovato il corpo di Salgado e, fermo in piedi davanti alla scrivania, rivide la scena con l'immaginazione.
Mentre Sergio gli infilava di nuovo i calzini in bocca, Salgado aveva ripreso i sensi e lo aveva morso; l'altro aveva reagito colpendolo tre volte sulla faccia, poi aveva fatto un passo indietro, stringendosi il pollice o l'indice ferito. Dove sarebbe potuto andare? La cucina era la stanza più vicina. Perciò aveva raggiunto il lavello, si era sfilato il guanto di lattice e si era lavato il dito. Probabilmente si era fatto prendere dal panico, sanguinava ancora e non c'era niente per tamponare la ferita, niente cerotti in giro.
Il rotolo di carta da cucina. Aveva strappato un po' di carta dal rotolo, l'aveva premuto sul taglio ed era salito nel bagno al piano superiore. Probabilmente a quel punto era agitato, i nervi non più saldi come prima, e forse anche incollerito. Probabilmente aveva avuto fretta di finire quello che aveva cominciato per potersene andare. Perciò era tornato da Salgado, aveva sistemato il terribile cappio, aveva fatto la sua telefonata e lo aveva guardato morire. Poi era uscito in fretta.
Perché gli aveva telefonato proprio quella mattina? Era preoccupato? A che punto ha interrotto la comunicazione? si domandò. Quando gli ho chiesto del pollice. È stato questo a dargli la risposta? Sì, deve essere stato così. Sergio ha capito che io non sapevo di quale dito si trattasse.
Le immagini si susseguirono nel cervello di Falcón, rulli di memoria srotolarono i loro segreti. Sua madre che entrava in bagno per lavarlo, che gli insaponava la schiena. Era vestita come se dovesse andare a un ricevimento. Si era tolta gli anelli e li aveva appoggiati in una conchiglia sul bordo della vasca.
Falcón tornò al lavello della cucina. Ora capiva. Ecco perché Salgado aveva continuato a mordere resistendo ai tre pugni in faccia: l'anello gli aveva dato un appiglio. Probabilmente l'aveva trascinato oltre la nocca e, quando Sergio si era sfilato il guanto bucato, l'anello era caduto nel lavandino. O no? Era un lavello di acciaio inossidabile, cadendo l'anello avrebbe prodotto un rumore, Sergio se ne sarebbe accorto… a meno che non fosse caduto direttamente dentro il foro di scarico… Falcón vi infilò le dita e incontrò il rivestimento di gomma. Nessun rumore, l'anello sarebbe finito dritto nel sifone. Prese la torcia, ma nella cavità non si vedeva niente. Chiamò di nuovo Felipe e gli domandò del lavello, che era stato ispezionato soltanto superficialmente, ammise l'uomo della scientifica.
In un ripostiglio sotto le scale Falcón trovò una cassetta degli attrezzi mai usata e nel giro di quaranta minuti scollegò il sifone con tutto il dispositivo per triturare i rifiuti. Lo mise in macchina e tornò alla Jefatura dove Felipe e Jorge stavano ancora lavorando. Forzarono la chiusura del dispositivo e staccarono le lame del trituratore che sembravano bloccate. Tirarono fuori tutti i rifiuti di verdura mettendoli su una lastra di vetro, Jorge vi frugò con cura ed eccolo lì: un anello d'argento contorto e ammaccato.
«Deve aver cercato di estrarlo», disse Felipe, «non c'è riuscito e allora ha deciso di triturarlo, ma il dispositivo si è bloccato. A quel punto avrebbe dovuto smontare tutto, perciò se ne è andato.»
«Potete raddrizzarlo, per vedere com'è?» domandò Falcón.
Felipe si mise al lavoro e quasi immediatamente chiese a Jorge di guardare meglio tra i resti vegetali del sifone, perché nell'anello doveva essere stata incastonata una pietra, che in quel momento risultava mancante.
«Il particolare bizzarro», fece notare Felipe, «è che in origine si trattava di un anello da donna, ne sono sicuro. Guardi qui…»
Mise il gioiello sotto la lente del microscopio e mostrò a Falcón la fascetta.
«Per allargarla è stato usato argento di una qualità diversa», disse Felipe. «Si vede dove è stata tagliata per inserire il pezzo nuovo. Un lavoro ben eseguito, comunque. L'unica differenza sta nel colore dell'argento.»
«Che cosa sa sull'argento?»
Felipe scosse il capo. Jorge annunciò di aver trovato la pietra, un piccolo zaffiro. Montarono l'anello su un pezzetto di plastilina e rimisero la pietra al suo posto.
«È un anello da donna, non c'è dubbio», affermò Felipe.
«Perché un uomo dovrebbe portare un anello da donna?»
«Un'amante?» suggerì Felipe.
«Se una donna le regalasse un anello come pegno, lei lo porterebbe? Lo farebbe allargare e lo porterebbe?» domandò Falcón.
«Forse no. Penso che preferirei tenerlo così com'è», rispose Jorge.
«Credo piuttosto che si tratti dell'anello di una defunta», disse Falcón. «Questo è un cimelio di famiglia.»
«Ma non abbiamo ancora risposto alla domanda», intervenne Felipe. «Perché un uomo dovrebbe portare un anello da donna? Deve avere un significato importante.»
«Ramírez porta un anello da donna», disse Jorge. «Chiediamolo a lui.»
«Come lo sapete?»
«Non si è mai chiesto perché abbia quell'anello con tre brillantini montati in oro? Voglio dire… proprio uno come Ramírez. Così una sera che eravamo in un bar gliel'ho domandato», spiegò Jorge. «Era l'anello di sua nonna. Ramírez non ha sorelle, perciò l'ha fatto allargare. Era molto attaccato alla nonna.»
«Che cosa ci rivela questo di Sergio?»
«Che non ha sorelle», rispose Jorge e i due poliziotti della scientifica si misero a ridere.
«Conosciamo qualcuno che sia esperto di argento?» domandò Falcón.