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Percepi, dietro la porta chiusa, la presenza di un'altra vita, oltre a quella della TV. I suoi sensi, tesi come una corda di violino, immaginavano o forse captavano un terrore spettrale e muto, di qualcuno che si ritraeva, qualcuno schiacciato con forza contro la parete piu lontana dell'appartamento nel tentativo di sfuggirgli.

«Ehi», grido. «Io abito di sopra. Ho sentito la TV. Presentiamoci, no?» Aspetto, con l'orecchio teso. Nessun suono e nessun movimento. Le sue parole non avevano incuriosito lo sconosciuto. «Le ho portato un panetto di margarina», disse, avvicinandosi alla porta nel tentativo di superarne lo spessore con la voce. «Mi chiamo J. R. Isidore e lavoro per il famoso veterinario Hannibal Sloat, ne avra sentito parlare. Sono una persona rispettabile, ho un lavoro. Guido il furgone del signor Sloat».

La porta si socchiuse appena e attraverso la fessura ebbe modo di vedere nell'appartamento una figura tutta storta e raggomitolata, una ragazza che si ritraeva, si faceva piccola per la paura e cercava di non farsi vedere, eppure continuava a tenere la mano sulla porta, come se cercasse un sostegno fisico. La paura le dava un aspetto malaticcio; le deformava i lineamenti: pareva che l'avessero fatta a pezzi e poi, con malizia, l'avessero ricucita insieme alla bell'e meglio. Gli occhi, enormi, le rilucevano fissi mentre cercava di sorridere.

Isidore provo un immediato moto di comprensione e le disse: «Credeva che nel palazzo non abitasse nessun altro. Che fosse abbandonato». Annuendo, la ragazza sussurro: «Si».

«Ma», disse Isidore, «avere dei vicini e un bene. Accipicchia, finche non e arrivata lei non ne avevo neanche uno». E, lo sapeva il cielo, non c'era molto da divertirsi.

«Lei e l'unico qui?» chiese la ragazza. «Voglio dire, in questo condominio, a parte me?» Pareva meno timida, adesso; raddrizzo il corpo, mentre si passava la mano tra i capelli scuri. Ora Isidore vide che aveva una bella figura, anche se era piccola, e dei bellissimi occhi molto marcati da lunghe ciglia nere. Colta di sorpresa, la ragazza indossava i calzoni del pigiama e nient'altro. E nel guardare oltre di lei scorse una stanza in disordine. Qui e la c'erano delle valigie aperte; il contenuto era mezzo sparso sul pavimento sporco. Ma era naturale; era appena arrivata.

«Oltre a lei sono l'unico», disse Isidore. «E non la voglio certo disturbare». Si senti abbattuto. La sua offerta, che possedeva la qualita di un vero e proprio rituale antico, d'anteguerra, non era stata accettata. Anzi, pareva che la ragazza non se ne fosse nemmeno accorta. Oppure non aveva capito a cosa potesse servire un panetto di margarina. L'impressione che ne ricavava era quella; la ragazza sembrava piu che altro sconcertata. Come se fosse uscita da un abisso tutto suo e galleggiasse disorientata su onde concentriche di paura che adesso andavano ritraendosi. «Il buon vecchio Buster», disse Isidore, cercando di farle abbandonare quella rigidita. «Le piace? Io lo guardo tutte le mattine e poi di nuovo la sera quando torno a casa. Lo guardo mentre ceno e assisto anche alla sua trasmissione della notte, fino a che non vado a letto. Cioe, lo facevo prima che il mio televisore si rompesse».

«Chi...» comincio a dire la ragazza, ma si interruppe; si morse il labbro come se fosse terribilmente arrabbiata. Evidentemente con se stessa.

«Buster Friendly», spiego lui. Gli pareva ben strano che la ragazza non sapesse nulla del piu buffo comico televisivo della Terra. «Ma da dove viene?» chiese curioso.

«Non vedo cosa c'entri». Gli lancio dal basso un veloce sguardo deciso. Aveva visto qualcosa che pareva stemperare la sua preoccupazione; si rilasso in modo evidente. «Mi fara piacere avere compagnia», gli disse, «magari piu avanti, quando mi saro sistemata. Adesso, mi pare ovvio, non se ne parla neanche».

«Perche non se ne parla neanche?» Era disorientato, tutto in lei lo disorientava. Forse, penso, ho abitato qui da solo per troppo tempo. Sono diventato strano. Dicono che ai cervelli di gallina capita spesso. Il pensiero lo rese ancora piu abbattuto. «La potrei aiutare a disfare le valigie», oso proporre; la porta, adesso, gli si era quasi chiusa in faccia. «A sistemare i mobili».

La ragazza disse, «Non ne ho di mobili. Tutta ' sta roba...» e indico la stanza dietro di lei, «era gia qui».

«Ma non serve a nulla», disse Isidore. Bastava un'occhiata per capirlo. Le sedie, la moquette, i tavoli - s'era tutto guastato, erano sfiancati da una comune rovina, vittime della dispotica forza del tempo. E dell'abbandono. Per anni nessuno aveva abitato nell'appartamento, era in uno stato pressoche completo di rovina. Isidore non riusciva a immaginarsi come sarebbe riuscita a vivere in quelle condizioni. «Senta», le disse serio. «Se setacciamo tutto il palazzo, probabilmente possiamo trovare qualcosa di meno scassato. Una lampada in un appartamento, un tavolo in un altro».

«E quel che faro», disse la ragazza. «Da sola, se non le dispiace».

«S'infilerebbe in quegli appartamenti da sola?» Non ci credeva.

«Perche no?» di nuovo ebbe un brivido nervoso e fece una smorfia, rendendosi conto di aver detto qualcosa che non andava.

Isidore disse, «Io ci ho provato. Una volta sola. Dopo di allora quando torno a casa entro dritto filato nel mio appartamento e me ne frego del resto... degli appartamenti dove non abita nessuno. Sono centinaia, pieni di cose, gli oggetti personali di chi ci abitava, come le foto di famiglia o i vestiti. Quelli che sono morti non si sono potuti portar via nulla e quelli che sono emigrati non hanno voluto. L'intero palazzo, escluso il mio appartamento, e completamente andato in palta».

«"In palta"?» La ragazza non capiva.

«Si. La palta e fatta di oggetti inutili, inservibili, come la pubblicita che arriva per posta, o le scatole di fiammiferi dopo che hai usato l'ultimo, o gli involucri delle caramelle o l'omeogiornale del giorno prima. Quando non c'e piu nessuno a controllarla, la palta si riproduce. Ad esempio, se quando si va a letto si lascia un po' di palta in giro per l'appartamento, quando ci si alza il mattino dopo se ne ritrova il doppio. Cresce, continua a crescere, non smette mai».

«Ho capito». La ragazza l'osservava incerta: non sapeva se credergli o meno. Non era sicura che stesse parlando sul serio.

«C'e la Prima Legge della Palta», disse Isidore. «"La palta scaccia la nonpalta." Come la legge di Gresham sul denaro falso, ha presente? E in questi appartamenti non c'e nessuno a contrastare la palta».

«Cosi ha preso il sopravvento», concluse la ragazza. Annui. «Adesso ho capito».

«La sua casa, qui», le disse, «questo appartamento che ha scelto... E troppo nella palta per abitarci. Possiamo invertire il fattore-palta; possiamo fare come ho detto io, andare a cercare negli altri appartamenti. Pero...» Si interruppe.

«Pero cosa?»

Isidore disse, «Non possiamo vincere».

«Perche no?» La ragazza usci in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle; le braccia pudicamente strette sul piccolo seno sodo, gli si mise di fronte, cercando di capire. O cosi gli parve. Almeno lo stava ad ascoltare.

«Nessuno puo battere la palta», disse, «tranne che per un po' di tempo e forse in un posto solo, come nel mio appartamento ad esempio, dove ho creato una specie di equilibrio tra la pressione della palta e della nonpalta, finche dura. Ma poi moriro o me ne andro, e allora la palta riprendera il sopravvento. E un principio universale valido in tutto l'universo; l'intero universo e diretto verso una stato finale di paltizzazione totale e assoluta». Poi aggiunse: «Tranne naturalmente che per l'ascesa di Wilbur Mercer».

La ragazza lo guardo attenta. «Non vedo alcun nesso».

«Ma e il succo del Mercerianesimo». Di nuovo si trovo spiazzato. «Ma, scusi, lei non partecipa alla fusione? Non ha una scatola empatica?»

Dopo aver riflettuto un attimo la ragazza, circospetta, spiego: «La mia non me la sono portata. Ero sicura di trovarne una qui».