«Ma la scatola empatica», disse balbettando per l'agitazione, «e l'oggetto piu personale che si possa avere! E una prolunga del proprio corpo; e lo strumento che ci mette in contatto con gli altri umani, che ci fa smettere di essere soli. Ma lo sa, no? Lo sanno tutti. Mercer permette che perfino quelli come me...» S'interruppe. Ma era troppo tardi; ormai gliel'aveva detto e dall'espressione che le era apparsa sul volto, dalla scintilla di improvvisa repulsione, si rese conto che lei aveva capito. «Ho quasi superato il test sul quoziente intellettivo», le disse con voce bassa e tremante. «Non sono molto speciale, solo un po'; non come alcuni che si vedono in giro. Ma di questo a Mercer non importa niente».
«Per quel che mi riguarda», disse la ragazza, «questa la si puo ritenere una delle maggiori pecche del Mercerianesmo». La voce era netta e neutra; Isidore si rese conto che la ragazza voleva solo enunciare un dato di fatto: e cioe quello che pensava dei cervelli di gallina.
«Allora io risalgo su», disse, e si allontano da lei, serrando il panetto di margarina che ormai si stava sciogliendo per la stretta della mano.
La ragazza lo guardo mentre si allontanava, ancora con quell'espressione neutrale sul volto. Ma poi lo richiamo: «Aspetti».
Voltandosi, Isidore le chiese: «Perche?»
«Mi servira. Per prendere dei mobili come si deve. Dagli altri appartamenti, come ha detto prima». Si mosse verso di lui, il tronco nudo, morbido e florido, senza un grammo di grasso in eccesso. «A che ora torna? Mi puo aiutare quando rientra dal lavoro».
Isidore disse: «Non e che potrebbe preparare la cena per tutti e due? Se le portassi gli ingredienti?»
«No, ho troppe cose da fare». La ragazza si libero della richiesta senza alcuno sforzo e lui lo noto, lo percepi senza capirlo.
Ora che le era passata la paura iniziale, cominciava a emergere qualcos'altro di lei. Qualcosa di piu strano. E, gli venne da pensare, deplorevole. Freddezza. Come, penso, un alito dal vuoto interposto tra i mondi abitati, cioe un alito dal nulla. Non si trattava di quello che diceva o faceva ma di quello che non diceva e non faceva. «Un'altra volta», disse la ragazza, e si ritrasse verso la porta dell'appartamento.
«Si ricorda come mi chiamo?» chiese impaziente. «John Isidore, e lavoro...»
«Me l'ha gia detto per chi lavora». Si era brevemente fermata alla porta; aprendola disse, «Per qualche incredibile persona che si chiama Hannibal Sloat, che di sicuro non esiste fuori dalla sua immaginazione. Io mi chiamo...» Gli lancio un ultimo sguardo senza calore mentre rientrava nell' appartamento, esito, poi disse, «Mi chiamo Rachael Rosen».
«Rosen dell'Associazione Rosen?» chiese. «Il maggiore produttore dell'intero sistema di robot umanoidi usati dal nostro programma di colonizzazione?»
Un'espressione complessa le attraverso il volto all'improvviso, fuggevolmente, per scomparire poi subito. «No», gli rispose. «Non li ho mai sentiti nominare; non ne so nulla di queste cose. E un'altra delle sue fantasie da cervello di gallina, mi sa. John Isidore e la sua scatola empatica personale. Povero signor Isidore».
«Ma il suo nome fa pensare a...» «Il mio nome», disse la ragazza, «e Pris Stratton. E il mio nome da sposata, uso sempre questo. Non uso mai altro nome, solo Pris. Puo chiamarmi Pris». Riflette un po', poi disse: «Anzi no, fara meglio a rivolgersi a me come signorina Stratton. Perche non e che noi due ci conosciamo bene. Perlomeno, io non la conosco». La porta si chiuse sulla ragazza e lui si ritrovo di nuovo solo nel corridoio buio ricoperto di polvere.
CAPITOLO SETTIMO
Insomma, cosi va ilmondo, pensava J. R. Isidore che ancora stringeva il panetto di margarina in mano. Magari cambiera idea e mipermettera di chiamarla Pris. Emagari, se riesco a rimediare una scatoletta di verdura anteguerra, cambiera idea anche sulla nostra cena.
Ma forse non sa cucinare, penso d'un tratto. E va bene, vorra dire che cucino io; preparero la cena per tutti e due. E le faccio vedere come si fa, cosi, se vuole, in futuro lo puo fare anche lei. Probabilmente le verra voglia di farlo, appena le faro vedere come si fa; per quanto ne so, alla maggior parte delle donne, anche a quelle giovani come lei, piace cucinare; e un istinto.
Salite le scale buie, ritorno al suo appartamento. Certo, non e molto al corrente su un sacco di cose, penso mentre indossava l'uniforme bianca da lavoro. Anche se si fosse messo a correre ormai era in ritardo e il signor Sloat si sarebbe arrabbiato - e allora, chi se ne importa? Ad esempio, non ha mai sentito nominare Buster Friendly. Impossible; Buster e il piu importante uomo vivente, certo, se si eccettua Wilbur Mercer... ma Mercer, penso, non e un essere umano; si tratta evidentemente di un'entita archetipica proveniente dalle stelle, sovrimposta alla nostra cultura attraverso una specie di matrice cosmica. Almeno, cosi ho sentito dire in giro; e quello che dice il signor Sloat, ad esempio. E Hannibal Sloat e uno che sa quello che dice.
E anche strano che si sia contraddetta sul suo stesso nome, riflette. Puo darsi che abbia bisogno di aiuto. Ma che aiuto posso darle, io? Non mi posso sposare e non posso emigrare e col tempo la polvere mi uccidera. Non ho proprio nulla da offrirle.
Vestito e pronto ad andare, lascio l'appartamento e sali sulla terrazza dov'era parcheggiata la sua malconcia aereomobile di seconda mano.
Un'ora dopo, sul furgone dell'azienda, aveva ritirato il primo animale malfunzionante del giorno. Un gatto elettrico: sdraiato nella gabbia da trasporto in plastica impermeabile alla polvere, nel retro del furgone ansimava con strana irregolarita. Si potrebbe quasi dire che e vero, osservo Isidore sulla via del ritorno alla Clinica per Animali Van Ness - quella piccola impresa dal nome cosi accuratamente fuorviante che resisteva a stento nel duro mondo della concorrenza tra gli addetti alla riparazioni degli animali finti. Il gatto soffriva e gemeva.
Accident, si disse Isidore, sembra davvero che stia morendo. Forse la batteria vecchia di died anni e andata in corto e tutti i circuiti stanno sistematicamente bruciando. Un lavoro di quelli grossi; Milt Borogrove, il meccanico della Clinica per Animali Van Ness, avrebbe avuto il suo bel da fare. E alproprietario non ho neanche fatto un preventivo, si rese conto, rabbuiandosi. Il tizio mi ha buttato in braccio il gatto, ha detto che aveva cominciato a star male durante la notte, e poi mi sa che se n 'e andato al lavoro. Ad ogni modo, d'un tratto il veloce scambio verbale s'era interrotto e il proprietario del gatto era sfrecciato rombando su nel cielo nella sua fantastica aereomobile, un nuovo modello personalizzato. Tra l'altro, l'uomo era un cliente nuovo.
Rivolto al gatto, Isidore disse: «Ce la fai a resistere finche arriviamo in officina?» Il gatto continuava a rantolare. «Ti ricarico io qui al volo per strada», decise Isidore; fece scendere il furgone sulla prima terrazza disponibile dove parcheggio lasciando il motore acceso, entro carponi nel retro del furgone e apri la gabbia da trasporto in plastica impermeabile alla polvere che insieme al suo camice bianco e al nome sul furgone creava un'impressione assolutamente credibile di un vero veterinario che si occupava di un vero animale.
Il meccanismo elettrico, sotto il pelo in apparenza autentico, gorgogliava ed emetteva bolle d'aria, le videolenti erano vitree e opache, le mascelle di metallo serrate. Lo avevano sempre sorpreso questi circuiti di "malattia" inseriti negli animali finti; il marchingegno che si stava tenendo in grembo era stato messo insieme in modo tale che quando un componente principale cominciava a guastarsi, tutto l'insieme pareva non tanto rotto quanto piuttosto organicamente malato. Io cisarei cascato in pieno, si disse Isidore mentre tastava il pelo della finta pancia cercando il pannello di controllo nascosto (piuttosto piccolo per questo modello d'animale finto) e i terminali delle batterie a ricarica rapida. Non riusci a trovare ne l'uno ne gli altri. Ne poteva permettersi di cercare a lungo; era chiaro che il meccanismo stava smettendo di funzionare. Se davvero si tratta di un corto che sta bruciando i circuiti, riflette, allora forse dovrei cercare di staccare uno dei cavetti delle batterie; il meccanismo si spegnerebbe, ma non ci dovrebbero essere danni. Epoi, un volta in officina, Milt puo ricaricarlo. Con destrezza fece correre le dita lungo la pseudocolonna vertebrale. I cavi dovevano essere piu o meno li. Accidentia quella meccanica evoluta; un'imitazione davvero assolutamente perfetta! I cavi non saltarono fuori nemmeno dopo un'ispezione accurata. Dev'essere un prodotto della Wheelright & Carpenter- costano di piu, ma casptta che bel lavoro fanno!