«Un gatto con un cortocircuito all'impianto di alimentazione». Isidore appoggio la gabbia sulla scrivania del capo, completamente coperta da fogli.
«E perche lo porti a me?», domando Sloat. «Portalo giu in officina da Milt». Eppure, pensieroso, apri la gabbia e ne estrasse l'animale. Un tempo anche lui aveva fatto riparazioni. Era stato un ottimo meccanico.
Isidore disse: «Secondo me, Buster Friendly e il Mercerianesimo si combattono per ottenere il controllo delle nostre anime psichiche».
«Se e cosi», disse Sloat, mentre esaminava il gatto, «Buster sta vincendo».
«Sta vincendo adesso», disse Isidore, «ma a lungo andare verra sconfitto».
Sloat alzo la testa, e lo guardo. «Perche?»
«Perche Wilbur Mercer si rinnova continuamente. E eterno. In cima al colle viene abbattuto; sprofonda nel mondo della tomba, ma poi inevitabilmente risorge. E noi con lui. Cosi, anche noi siamo eterni». Si senti soddisfatto, per aver parlato tanto bene; di solito quando aveva a che fare con il signor Sloat balbettava.
Sloat disse: «Anche Buster e immortale, come Mercer. Nessuna differenza».
«Ma come fa? Lui e solo un uomo».
«Non lo so», disse Sloat. «Ma e vero. Non l'hanno mai ammesso, ovviamente».
«E per questo che Buster Friendly riesce a fare quarantasei ore di spettacolo al giorno?»
«Esatto», disse Sloat.
«E allora Amanda Werner e quelle altre donne?» «Immortali anche loro».
«Rappresentano forse una forma di vita superiore proveniente da un altro sistema?»
«Questo non sono mai riuscito a stabilirlo per certo», disse il signor Sloat che intanto stava ancora ispezionando il gatto. Adesso si era levato gli occhiali coperti dalla polvere e osservava da vicino la bocca socchiusa. «Come invece ho stabilito con definitiva certezza nel caso di Wilbur Mercer», concluse, in tono quasi impercettibile. A quel punto comincio a imprecare: un rosario di insulti, parolacce e bestemmie che a Isidore parve durare un minuto buono. «Questo gatto», disse alla fine Sloat, «non e finto. Sapevo che un giorno o l'altro ci sarebbe capitato. E morto». Riabbasso lo sguardo e fisso il cadavere del gatto. E riprese a imprecare.
Con indosso il grembiule di tela per vele blu incrostato di sudiciume, il tarchiato Milt Borogrove dalla pelle ruvida e granulosa comparve sulla soglia dell'ufficio. «Che cos'e tutto 'sto baccano?» borbotto. Vedendo il gatto, entro nell'ufficio e prese in mano l'animale.
«Guarda che cosa ci ha portato il cervello di gallina », disse Sloat. Non aveva mai usato prima d'allora quel termine in presenza di Isidore.
«Fosse stato ancora vivo», intervenne Milt, «l'avremmo potuto portare a un vero veterinario. Mi piacerebbe sapere quanto vale. Non c'e in giro una copia del Sidney?»
«Ma la s-s-sua ass-sicurazione non c-c-copre...?» chiese Isidore al signor Sloat. Le gambe gli tremavano ormai senza controllo e si rese conto che la stanza si stava colorando di un marrone scuro screziato di macchie verdi.
«Si», disse finalmente Sloat, quasi ringhiando. «Ma e un peccato, e lo spreco che mi fa imbestialire. La perdita di un'altra creatura vivente. Isidore, possibile che non sei capace di distinguere niente? Non hai notato l a differenza?»
«Ho pensato», riusci a dire Isidore, «che era davvero un bel lavoro. Tanto ben fatto da riuscire a mettermi nel sacco; cioe, sembrava vivo e un lavoro cosi ben fatto...»
«Non credo che Isidore sia in grado di notare la differenza», disse Milt conciliante. «Per lui sono tutti vivi, anche gli animali finti. Probabilmente ha anche provato a salvarlo». Rivolto a Isidore, disse: «Che hai fatto? Hai provato a ricaricargli le batterie? O hai cercato di individuare il corto circuito?»
«S-s-si», ammise Isidore.
«Probabilmente il gatto era gia talmente partito che non ce l'avrebbe fatta comunque», concluse Milt. «Lascia in pace il cervello di gallina, Han. Non ha tutti i torti; gli animali finti cominciano a essere maledettamente vicini a quelli veri. Pensa ai circuiti di malattia che inseriscono nei nuovi modelli. E poi, gli animali vivi muoiono; e uno dei rischi inevitabili per i proprietari. E che noi non ci siamo abituati perche vediamo solo animali finti».
«E uno spreco della malora», disse Sloat.
«Secondo M-m-mercer», puntualizzo Isidore, «ogni v-v-vita ritorna. Il ciclo e c-ccompleto anche p-p-per gli animali. Cioe, t-t-tutti ascendiamo c-c-con lui, t-t-tutti moriamo...»
«Vallo a raccontare al padrone del gatto», disse il signor Sloat.
Incerto se il suo principale stesse scherzando o dicesse sul serio, Isidore chiese: «Vuoi dire che devo dirglielo io? Ma lo sa che non sono in grado di fare le videofonate». Aveva una spiccata fobia nei confronti del videofono e per lui, specialmente se doveva contattare uno sconosciuto, era virtualmente impossibile fare una chiamata. Il signor Sloat, naturalmente, lo sapeva benissimo.
«Non farlo chiamare», disse Milt. «Chiamo io». Fece per prendere il ricevitore. «Dimmi il numero».
«Ce l'ho io da qualche parte», Isidore si mise a frugare nelle tasche del camice da lavoro.
Sloat insistette: «Voglio che chiami il cervello di gallina».
«N-n-non s-s-so usare il videofono», protesto Isidore con il cuore in gola. «Perche sono brutto, sporco, peloso, curvo, grigio, e ho i denti storti. E poi mi sento male per le radiazioni; mi sento di morire».
Milt sorrise e disse a Sloat: «Mi sa che se mi sentissi cosi, neanch'io vorrei usare il videofono. Su, Isidore; se non mi dai il numero del proprietario non posso chiamare e dovrai chiamare tu per davvero». Tese verso di lui la mano in modo garbato.
«Chiama il cervello di gallina», disse Sloat, «altrimenti lo licenzio». Non guardava ne Isidore ne Milt, ma teneva lo sguardo fisso davanti a se.
«Ma dai!» protesto Milt.
Isidore disse: «N-n-non v-v-voglio che mi si c-c-chiami cervello di gallina, capito? La p-ppolvere ha rovinato un bel po' anche v-v-voi. Nel c-c-corpo, anche se m-m-magari n-n-non vi ha p-p-preso il cervello, c-c-come nel mio c-c-caso». Sono licenziato, si disse. Non riesco a chiamare. E poi d'un tratto si ricordo che il proprietario del gatto era filato via al lavoro. A casa non ci doveva essere nessuno. «C-c-credo di riuscire a c-c-chiamare», disse, ripescando la targhetta con il numero.
«Visto?» disse a Milt il signor Sloat. «Quando e costretto, ci riesce».
Seduto al videofono, con il ricevitore in mano, Isidore compose il numero.
«Gia», disse Milt, «ma non dovrebbe esserci costretto. E poi ha ragione: la polvere si e fatta sentire anche per te; sei a un pelo dal diventare cieco, e tra un paio d'anni sarai anche sordo».
«Si e fatta sentire anche per te, Borogrove. Hai la pelle che sembra cacca di cane», ribatte Sloat.
Sul videoschermo apparve una faccia, una donna dall'aspetto mitteleuropaische, circospetta, con i capelli raccolti in uno stretto chignon. «Si?» disse.
«S-s-signora Pilsen?» chiese Isidore, improvvisamente inondato di paura; proprio non ci aveva pensato che il proprietario potesse avere una moglie e che naturalmente ella fosse a casa. «V-v-volevo d-d-dirle d-d-del suo g-g-g-g-g-g-...» Si interruppe, passandosi automaticamente piu volte la mano sul mento. «Del gatto».
«Oh, certo. E venuto a prendere Orazio», disse la signora Pilsen. «Allora era davvero polmonite come pensava mio marito?»
«Il gatto e morto», annuncio Isidore.
«Oh santo cielo, no!»
«Glielo sostituiremo», disse Isidore. «Siamo assicurati». Lancio un'occhiata al signor Sloat che parve approvare. «Il proprietario della nostra compagnia, il signor Hannibal Sloat...» Si impappino. «Provvedera personalmente...»
«No», disse Sloat, « le daremo un assegno. Il prezzo di listino del Sidney».