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Si chiese, allora, se anche le altre persone rimaste sulla Terra percepissero il vuoto allo stesso modo. O la sua era una sensibilita particolare, propria della sua identita biologica deviata, una bizzarria generata dal suo inadeguato sistema sensoriale? Domanda interessante, penso Isidore. Ma con chi avrebbe potuto confrontarsi o scambiare qualche impressione? Abitava da solo, in questo palazzo cieco e sempre piu fatiscente, tra mille appartamenti disabitati. Un edificio che, come tutti quelli simili, cadeva, di giorno in giorno, in uno stato sempre maggiore di rovinosa entropia. Con il tempo tutto cio che c'era nel palazzo si sarebbe fuso - una cosa nell'altra - avrebbe perso individualita sarebbe diventato identico a ogni altra cosa, un mero pasticcio di palta ammonticchiato dal pavimento al soffitto di ogni appartamento. E dopo di cio lo stesso palazzo, senza che nessuno ne curasse la manutenzione, avrebbe raggiunto uno stadio di equilibrio informe, sepolto dall'ubiquita della polvere. Quando cio si sarebbe verificato, naturalmente, lui sarebbe gia morto da un pezzo; ecco un altro interessante argomento su cui meditare li in piedi in quel salotto sfatto, solo con l'onnipervasiva assenza di respiro del possente silenzio del mondo.

Meglio, forse, riaccendere la TV. Ma gli annunci, rivolti ai normali che erano rimasti sulla Terra, lo atterrivano. Lo informavano in un'interminabile sequela di modi diversi che lui, uno speciale, non era gradito. Non era di alcuna utilita. Non poteva, nemmeno se l'avesse voluto, emigrare. Eallora, perche ascoltarli?si chiedeva irritato. Si impicchino loro e la loro colonizzazione: spero chie anchie lassu scoppi una guerra - dopo tutto, almeno in teoria, era possible - e che si riducano come qui sulla Terra. E che tutti quelli che sono emigrati si ritrovino speciali.

E va bene, penso, andiamo al lavoro. Allungo la mano verso la maniglia che apriva la porta sul pianerottolo non illuminato, poi si ritrasse nel percepire il grande vuoto del resto dell'edificio. Era li fuori e lo attendeva al varco, la forza che aveva prima sentito penetrare irrequieta nel suo appartamento. Dio mio, penso, e richiuse la porta. Non era pronto per salire quelle scale che rimbombavano fino alla terrazza deserta, dove non aveva alcun animale. L'eco di lui stesso che saliva: l'eco del nulla Eora diattaccarsialle maniglie, disse tra se, e attraverso il salotto portandosi presso la scatola empatica nera.

Quando l'accese, il solito vago odore di ioni negativi emano dall'impianto di alimentazione; l'aspiro avidamente, gia rincuorato. Poi il tubo a raggi catodici emise luce come imitasse una flebile immagine televisiva; un collage andava componendosi, fatto di colori, tracce e vaghe configurazioni apparentemente casuali che, fino a che le maniglie non venivano strette, non rappresentavano nulla. Cosi, respirando profondamente per calmarsi, afferro la doppia maniglia.

L'immagine si coagulo; vide subito un paesaggio ben noto, l'antica e bruna erta nuda con i ciuffi di erba secca che come ossa si stagliavano obliqui sullo sfondo di un cielo spento e senza sole. Una figura solitaria, di forma piu o meno umana, arrancava lungo il fianco della collina: un uomo anziano vestito di una tunica informe e grigia che gli forniva una ben misera protezione come se fosse stato strappato all'ostile vacuita del cielo. L'uomo, Wilbur Mercer, continuava ad arrancare su per la salita. Sempre attaccato alle maniglie, John Isidore comincio pian piano a percepire lo svanire del cupo soggiorno in cui si trovava. La mobilia sfatta e i muri scrostati sfumarono via e lui cesso del tutto di avvertirli. Si trovo invece, come sempre, a entrare nel paesaggio di quella squallida collina che si stagliava contro un cielo altrettanto squallido. Nello stesso momento smise di contemplare l'ascesa del vecchio. Ora erano i suoi piedi a calcare il familiare pietrisco, a cercare un appoggio sicuro; senti la stessa antica e dolorosa ruvidezza ineguale sotto i piedi e ancora una volta inalo l'acrida bruma che aleggiava in quel cielo - non il cielo della Terra, ma quello di un luogo alieno e distante, eppure - grazie alla scatola empatica - immediatamente raggiungibile.

Era passato da una realta all'altra nel solito modo incomprensibile; la fusione fisica — accompagnata dall'identificazione mentale e spirituale - con Wilbur Mercer aveva avuto di nuovo luogo. Ed era accaduto lo stesso a chiunque stava stringendo in quel momento le maniglie, sia qui sulla Terra che su uno dei pianeti colonizzati. Li sentiva in se, gli altri, ne incorporava il fitto e confuso brusio dei pensieri, sentiva nel proprio cervello il rumore delle loro innumerevoli esistenze individuali. A loro - e a lui - importava, solo una cosa; questa fusione delle loro menti focalizzava la loro attenzione sulla collina, sull'ascesa, sul bisogno di salire. Passo dopo passo si sviluppava, in modo talmente lento da essere quasi impercettibile. Eppure c'era. Piu in alto, pensava, mentre le pietre rotolavano a valle sotto il suo passo. Oggi siamo piu in alto di ieri, e domani... l ui, la composita figura di Wilbur Mercer, guardava all'insu per scrutare il tratto di ascesa che ancora l'attendeva. Impossibile distinguerne la fine. Troppo lontana. Ma sarebbe arrivata.

Una pietra, lanciatagli contro da qualcuno, lo colpi al braccio. Provo dolore. Volse la testa e un'altra pietra lo sfioro, mancandolo di poco. La pietra cadde a terra, e il rumore che fece lo sorprese. Chi e? si chiese, scrutando attorno, in cerca del suo persecutore. I vecchi antagonisti che si manifestavano alla periferia del campo visivo; esso o essi, l'avevano seguito per tutta l'ascesa lungo la collina e avrebbero continuato fino alla cima.

Si ricordava della sommita, dell'improvviso appianarsi del colle, quando finiva la salita e iniziava l'altra parte. Quante volte c'era gia arrivato? Le svariate volte si confondevano; il futuro e il passato si confondevano; cio di cui aveva gia avuto esperienza e cio di cui avrebbe avuto esperienza si fondevano, cosi che nulla restava tranne l'attimo, lo stare immobile e il riposo durante il quale si toccava il taglio lasciato dalla pietra sul braccio. Dio, penso, spossato. Come puo considerarsigiusto tutto questo? Perche mi trovo quassu tutto solo, perseguttato da un nemico che non riesco nemmeno a vedere? Ma poi, dentro di lui, il confuso brusio di tutti gli altri che si erano fusi in quel momento ruppe l'illusione di solitudine.

L'avete sentito anche voi?, penso. Si, risposero le voci. Ci hanno colpito, al braccio sinistro; fa molto male. E va bene, disse. Sara meglio rimettersiin movimento. Riprese a camminare e tutti gli altri immediatamente l'accompagnarono.

Una volta, ricordo, era diverso. Prima che la maledizione arrivasse, in un periodo precedente della sua vita, molto piu felice. I suoi genitori adottivi, Frank e Cora Mercer, l'avevano trovato in un canotto pneumatico che andava alla deriva dopo un incidente aereo al largo della costa del New England... o era la costa del Messico, vicino al porto di Tampico? Ora non ricordava piu le circostanze nei dettagli. L'infanzia era stata piacevole: amava ogni forma di vita, specie gli animali; per un certo tempo era stato persino in grado di resuscitarli. Viveva insieme a conigli e insetti, dovunque si trovasse, sia sulla Terra che su un pianeta colonizzato; ma ora se n'era dimenticato, anche di quello. Ma si ricordava gli assassini, perche l'avevano arrestato in quanto diverso, piu speciale di qualsiasi altro speciale. E per questo tutto era cambiato.

La legge locale vietava di esercitare la facolta d'invertire il tempo grazie alla quale i morti tornavano alla vita; gliel'avevano spiegato chiaramente quando aveva sedici anni. Ma lui aveva continuato a esercitarla in segreto per un altro anno, nei boschi che erano stati risparmiati; un giorno, pero, un'anziana signora, che lui non aveva mai visto ne sentito, fece la spia. Senza il consenso dei suoi genitori, loro - gli assassini - avevano bombardato lo strano nodulo che gli si era formato nel cervello, lo avevano attaccato con cobalto radioattivo, e cio l'aveva fatto precipitare in un mondo diverso, di cui non aveva mai sospettato l'esistenza. Era una fossa piena di cadaveri e di ossa consunte, e per anni aveva lottato per uscirne. L'asino e soprattutto il rospo, le sue creature preferite, erano svanite, estinte; qui una testa senza occhi, la una parte di zampa, rimanevano solo brandelli in putrefazione. Infine, un uccello che era venuto fin la a morire gli disse dove si trovava. Era sprofondato giu nel mondo della tomba. Non poteva uscirne finche le ossa disseminate tutt'attorno a lui non si fossero ricostituite in creature viventi; era stato congiunto al metabolismo di altre vite e fino a che queste non sarebbero risorte nemmeno lui poteva risorgere.