— è vero — disse Foreman. — Il nostro fallimento, laggiù in America, è stato un po’ meno catastrofico del precedente. Con un Nuovo Mondo a disposizione e delle prospettive illimitate, abbiamo fatto di tutto per limitarle, vergognosamente. Non c’è un solo errore, fatto nel Vecchio Mondo, che non abbiamo ripetuto nel Nuovo, su scala molto più vasta.
«Ma c’è anche da considerare un altro lato. A volte abbiamo quasi pareggiato i piatti della bilancia, ridonando vigore al Vecchio e al Nuovo Mondo insieme. E a volte abbiamo vinto contro tutti i pronostici. Ci siamo estesi su ambedue gli emisferi, e abbiamo intrapreso cose prima neppure sognate.
«Certo, sono stati dei fallimenti disgustosi: darebbero il voltastomaco a uno sciacallo. Ma ci hanno fatto comprendere la vera portata della sfida. Quel mondo è morto, anche se i libri di storia non lo dicono. E in cambio di quella morte, che non fu un fallimento totale, ci è stata concessa un’altra vita ancora.»
— Su Astrobia! — disse Proctor, con un sorriso beffardo.
— Si, sulla Dorata Astrobia — confermò Kingmaker, con affetto. — Foreman ha detto che gli altri Mondi sono completamente morti, e in un certo senso ha ragione. Questo è il mondo che non deve morire. Noi rappresentiamo la terza e forse l’ultima occasione dell’uomo, mi sia concessa l’enfasi. Foreman considera i fatti in modo diverso dal mio, e non sono mai sicuro se stiamo parlando della stessa cosa, ma io so quello che voglio dire. Un altro fallimento, e sarà la fine. Se noi moriamo qui, sarà la fine di tutto. Le nostre creature, le macchine, le quali affermano di essere destinate a succederci, non possono salvare se stesse, e neppure noi. Abbiamo tirato troppo la corda, e questa è sul punto di spezzarsi.
«Dove abbiamo sbagliato, questa volta? Per cinquecento anni tutto è andato bene. Avevamo il successo in pugno.»
— E abbiamo lasciato che ci scivolasse via dalle mani — disse Foreman. — In vent’anni tutto è crollato.
I tre uomini si comportavano con eccezionale freddezza, considerato lo scatenarsi della furia selvaggia all’esterno, e ora anche all’interno dell’edificio. A un certo punto, però, dovettero interrompersi, sommersi dalla violenza delle esplosioni.
— Non capisco — rispose Kingmaker, non appena furono nuovamente in grado d’udire. — Per giorni e giorni gli Assassini non si preoccupano minimamente di te, Foreman. E all’improvviso, lo vedi, impazziscono per catturarti. Credo proprio che riusciranno a ucciderti, questa volta.
— Per giorni e giorni di fila ho i pensieri confusi — spiegò Foreman. — Oggi, no. Essi li hanno percepiti, ma non hanno capito le mie intenzioni. Nessuno, più di me, ha a cuore il benessere di Astrobia.
— Abbiamo usato le sonde per ottenere alcune informazioni su di te, Foreman — disse Kingmaker in tono grave. — è certo che sarai assassinato, forse oggi stesso. Le registrazioni ci informano, comunque, che al massimo accadrà entro pochi mesi. Sarai letteralmente fatto a pezzi, Foreman, il tuo corpo sarà smembrato. Nient’altro, se non la furia di un Assassino meccanico, potrebbe farti a pezzi nel modo indicato.
— Forse c’è un’altra furia che sta accumulandosi, Kingmaker; sconvolgerà tutti i miei progetti se sarò assassinato oggi. Ho bisogno di tutti i mesi che le vostre registrazioni mi concedono.
— Perché ci hai fatto venire qui, Fabian? — chiese Proctor. — Vi sono altri posti dove potresti farti proteggere meglio.
— Questo palazzo ha alcune particolarità, incorporate nella costruzione, che ho ideato io stesso, vent’anni fa. E casa mia, e so come uscirne.
— Tu appartieni alla Cerchia dei Maestri, come me e Kingmaker — disse Proctor. — La programmazione è compito tuo come nostro, anzi tu ne capisci molto più di noi. Se c’è qualcosa che non va nella programmazione degli Assassini meccanici, aggiustali. È certo che non dovrebbero tentare di ucciderti. Sono programmati per uccidere soltanto i nemici dell’Ideale di Astrobia.
— E tutti i membri della Cerchia dei Maestri sono totalmente devoti all’Ideale di Astrobia, e sono sempre d’accordo, per definizione. Ma se neppure noi tre siamo d’accordo! Kingmaker vuole perpetuare a qualsiasi costo la morte vivente di Astrobia. Tu, Proctor, non credi che ci sia niente di sbagliato, su Astrobia. Io credo invece che ci sia qualcosa di sbagliato in te. Ciascuno a suo modo, vi siete entrambi affezionati alla malattia che oggi ci affligge. Io voglio la morte per avere la resurrezione, e gli Assassini meccanici non lo capiscono.
Fracasso di metallo strappato e contorto. Un rimbombo apocalittico, molto più basso, e il pavimento sobbalza come mare in tempesta.
— Il palazzo sta per crollare — disse Kingmaker. — Ci restano solo pochi minuti. Decidiamo, allora? Chi sarà il nostro candidato a Presidente del Mondo?
— Non è necessario che sia un grand’uomo — fece Proctor, — e neppure un brav’uomo. Voglio un uomo che ci serva come simbolo per affascinare la gente, un uomo che possa essere maneggiato da noi.
— Io voglio un brav’uomo! — dichiarò Kingmaker.
— Io voglio un grand’uomo! — gridò Foreman. — Siamo tutti convinti, ormai, che i grandi uomini sono soltanto dei miti. Ebbene, troviamone uno! Un mito soddisferà Proctor. E se sarà anche un brav’uomo, la cosa non danneggia nessuno.
— Ecco la mia lista dei possibili candidati — disse Kingmaker, e cominciò a leggerla: — Wendt? Esposito? Chu? Fox? Doane? — Ad ogni nome faceva una pausa, fissando gli altri due che evitavano il suo sguardo. — Chezem? Byerly? Treva? Pottscamp?
— Non siamo affatto certi che Pottscamp appartenga al Partito Centrista — obiettò Foreman. — E neppure che sia un uomo. Con la maggior parte di loro si capisce subito, ma lui scivola via come il mercurio.
— Emmanuel? Garby? Haddad? Dobowski? Lee? — continuò Kingmaker. — Non credete che uno di questi possa…? No, vedo che non lo credete. Siamo sicuri che questi siano gli uomini migliori del nostro partito? I migliori di Astrobia?
— Mi dispiace, ma questi sono i migliori, Cosmos — disse Foreman. — Ci si ferma presto.
Un boato rimbalza al di sopra del frastuono assordante, un muro crolla con uno schianto pauroso e un Assassino meccanico sfonda una delle porte interne della stanza, mandando in frantumi il pannello superiore con la testa e il torace. Contorce il suo viso da orco mentre si prepara a passarvi attraverso con tutto il resto del corpo. Poi accade qualcosa, con tanta rapidità che è quasi impossibile capire come sia avvenuto.
Con un movimento fulmineo della mano Proctor ha conficcato un pugnale nel corpo dell’Assassino, là dove emerge dalla corazza. Lo ha ucciso, o disinnescato.
Proctor ha spesso mostrato di possedere riflessi incredibilmente veloci, che sembrano al di là delle possibilità umane. L’Assassino meccanico dondola inerte, con la parte superiore del corpo incastrata nella porta semidistrutta. Sembra un demonio scarlatto: infatti la sua immagine d’incubo è concepita per suscitare il terrore.
Kingmaker e Foreman stavano ancora tremando, ma Proctor aveva agito con estrema freddezza: — Era solo — disse. — Girano in pattuglie di nove, e gli altri otto stanno ancora urlando nei corridoi superiori. Io riesco a sentirli sempre. Altre due pattuglie sono penetrate nell’edificio, ma non sanno quale direzione prendere… E adesso, al lavoro! Anche con la fortuna dalla nostra, non ci restano più di due minuti.
«Ecco, allora. Un recente decreto ha stabilito che tutti i cittadini della Terra siano anche cittadini di Astrobia. Questo non li rende necessariamente migliori, ma ci dà un vantaggio psicologico per la ricerca del nostro uomo. è vero che l’importanza della Terra è molto diminuita, ma la diminuzione fa perdere l’uniformità: solleva montagne, crea valli profonde. Vi sono uomini nuovi sulla Terra, uomini eccelsi, anche se la media è diminuita paurosamente. Cosa pensate di Hunaker? di Rain? di Oberg? Sì, lo so, i loro nomi vi riempiono di squallore quasi quanto quelli dei grandi di Astrobia. Quillian, allora? Paris? Fine? »