L’unica cosa sbagliata, è che Thomas non ne disse neppure una.
E neppure, ovviamente, la prima volta.
Le uniche parole che disse in quegli ultimi istanti, sul patibolo, furono: — Pater, in manus tuas… — Il frammento di un’antica preghiera.
La grande lama tremò nel cielo e poi cadde. Era vero sangue quello che sgorgò, e una vera testa quella che si staccò dal corpo come se avesse vita propria.
Vi furono poi storie d’incredibili prodigi, raccontate dalle vecchiette, come quella dei nove serpenti che uscirono dalla testa tagliata, e come quella della più bella donna di Astrobia che salì sul patibolo per impadronirsi spavaldamente della testa, mettendola in un cesto, per poi trasformarsi in una vecchia quando fu ridiscesa dal palco. Ma niente di tutto questo accadde in realtà. Non avrebbe potuto.
Una cosa soltanto accadde veramente in quell’istante. Quando la vita venne a mancare nel corpo decapitato, il mondo fini.
Tutta la vita, il calore, i battiti, si estinsero. E il mondo morì, morirono gli uccelli, i pesci, le piante e le persone, e vi fu morte in ogni montagna, in ogni mare e in ogni nuvola. E morirono la sua gravità, la sua luce e il suo calore, la sua vita… i germi stessi. Tutto si estinse, e le stelle scomparvero.
Per un attimo? Per un miliardo di anni? O sempre? Non c’è differenza quando il mondo non esiste più e non c’è più un tempo sul quale misurarlo.
Ricordate l’istante in cui il mondo finì? Un prete rinnegato da trent’anni era diventato Metropolita di Astrobia. Una macchina programmata era succeduta a Thomas come Presidente di Astrobia, al momento dell’estinzione dei mondi: una macchina senza emozioni. Ma aveva cominciato a gemere e si era coperta la testa di cenere.
Battersea e i suoi uomini stavano avanzando verso Piazza Centralità per scatenare il loro sanguinoso colpo di mano, una massa tumultuante e infuriata sotto lo stendardo della Mano della Vendetta. E su queste note il mondo fini.
E nasce un nuovo mondo? Lievita un nuovo mondo? La furiosa reazione crea un ponte per colmare il vuoto? Il granellino di pepe germoglia? L’Albero di Giuda, che frutti dà?
Il fulmine, un miliardo di volte più potente di quelli del Monte Elettrico, e dalla vita un miliardo di volte più breve, riunisce tutte le cose insieme nel suo istante di fuoco, oppure le divide per sempre? Il suo rimbombo appiattisce i mondi, la sua violentissima mareggiata, un’onda grande come un mondo, spazza via dal pianeta il sottile fungo dorato. In molto meno di un attimo, in molto più dell’eternità. Ed è finita.
Ma c’è un seguito? C’è un nuovo mondo che segue il vecchio in quel bagliore accecante? Viene?
Stai calmo. Stiamo osservando.
Lo stendardo della Mano della Vendetta… forse non ne hanno ben capito il significato. Northprophet dice che quella mano, raffigurata mentre scende dal cielo come un uccello, è la Mano Sinistra di Dio.
Ricordate (e lo ricordiamo, come da un vuoto di tempo fra due mondi) quando il ciclo ricominciò per dare origine a Roma? e quando originò l’Europa? e quando originò le Americhe? e quando originò Astrobia? Ricordate i cicli dagli effetti interiori, elettrizzanti, quello in cui la divinità divenne uomo? quello in cui l’umanità divenne dio?
E ricordate quel ciclo particolare, la prima rinascita di Astrobia, la comparsa dell’umanità trascendente?
Ve ne ricordate? Ma allora, c’è stata?
Stai calmo. Stiamo aspettando.
Lo Spirito era disceso una volta sull’acqua e sull’argilla. Non avrebbe forse potuto discendere anche sulle capsule neurali e sugli statoconduttori? Il legno secco di un albero umano o programmato, darà ancora dei frutti?
L’Avido Nulla, il diabolico vuoto puntiforme del Grande Zero, è stato ancora respinto? C’è allora spazio per la vita? Ci sarà un ritorno alla vera vita?
Bene, sta accadendo allora? Forse la reazione è stata realmente una nascita? A cosa assomiglia?
Forse ora vedremo, davanti, dietro, da ogni lato, questo nuovo mondo appena nato?
Stai calmo. Noi speriamo.
Fine
PRESENTAZIONE
Raphael Aloysius Lafferty ha 56 anni, vive nell’Oklahoma, è ingegnere elettrotecnico, coltiva l’hobby delle lingue straniere, scrive dal 1960. Come dice lui stesso: «Dopo avere frequentato assiduamente il bar, a un certo punto smisi. Queste decisioni lasciano un vuoto: quando lasciate gli interessanti personaggi dei bar perdete una parte del fantastico e del pittoresco. Per sostituirla incominciai a scrivere fantascienza». Si dichiara «cattolico del tipo fuori moda, vale a dire conservatore», e politicamente dice: «sono l’unico iscritto al Partito Centrista d’America, di cui esporrò la dottrina in qualche racconto ironico-utopico, una volta o l’altra».
Per vari anni ha scritto solo racconti, poi, nel 1967, incominciarono ad apparire anche suoi romanzi. I primi, Space Chantey e The Reefs of Earth, destarono un certo interesse, che si accrebbe notevolmente con il presente Past Master, giunto in finale all’Hugo e al Nebula nel 1968. L’anno successivo anche Fourth Mansions fu nominato per l’Hugo. Recentemente è stato molto apprezzato The Devils is Dead (1971).
Parlando di Lafferty, la critica cita il suo humor bizzarro, la sua fantasia libera e colorita, il suo stile evocativo, la sua forza poetica. Si è detto che le sue opere sono romanzi dell’assurdo, che ricordano The Circus of Dr Lao e una certa atmosfera joyceana. Blish parla di lui come di un autore di «fantasie araldiche dal contenuto religioso». E in effetti le opere di Lafferty sono completamente diverse dalla fantascienza tradizionale, quella dal significato preciso e univoco. Lafferty è obliquo, molteplice; ama mettere sulla falsa pista il lettore con bisticci verbali, scene e descrizioni subito dimenticate e demolite con noncuranza: per questo molti parlano di lui come di un meraviglioso, affascinante bugiardo.
Lafferty intende la fantascienza per il suo pittoresco e il suo fantastico, e vuole ottenere effetti particolarissimi, interessanti e oltraggiosi: lo vediamo collegare parole comuni per costruire veri mostri verbali, e poi scopriamo che quei mostri hanno una loro vita. Le trame di Lafferty sono sempre perfettamente intenzionali, sono tenute sotto controllo, e sono perfino economiche, nonostante i suoi ritorni e le sue divagazioni (lo si nota alle successive riletture, che rivelano nuovi livelli e nuovi legami: non ci sono parti superflue, ciascuna parola si riscatta e si spiega nell’economia generale dell’opera), ma si ha l’impressione, di fronte alla singola scena, alla frase isolata, che la parola domini sulla narrazione, che le situazioni siano aperte, irrisolte, concluse falsamente e provvisoriamente solo per mezzo di un’affermazione paradossale. Ma il primo a credere a ciò che sta scrivendo è Lafferty stesso: una specie di credo quia absurdum, o meglio di «ci credo, visto che posso scriverlo»
I personaggi ambigui, obliqui e incostanti di Lafferty sono all’opposto di quelli della fantascienza tradizionale. Vengono alla mente sia certi romanzi di Delany e di Zelazny, sia, soprattutto, Cordwainer Smith. Tanto Lafferty quanto Smith sono giunti alla fantascienza nella maturità; entrambi, di fronte alla tecnologia, sono attratti dal tema della «riscoperta dell’umanità», e hanno lo stesso gusto per i giochi verbali, per i prodigi costruiti di sole parole, per rivivere a proprio modo la Storia, la leggenda, le opere letterarie altrui. Il Bateau ivre di Smith non è quello di Rimbaud, la sua Giovanna d’Arco non è quella storica, eppure in un certo senso lo sono.