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— E cosa gli diamo da mangiare, se non ce n'è per noi? — disse la moglie, tagliente.

— Lascia pensare a me, — disse Marcovaldo. L'indomani, in ditta, a certe piante verdi in vaso degli uffici della Direzione, che lui doveva ogni mattino portar fuori, innaffiare e riportare a posto, tolse una foglia a ciascuna: larghe foglie lucide da una parte e dall'altra opache; e se le ficcò nella giubba. Poi, a una impiegata che veniva con un mazzetto di fiori chiese: — Glieli ha dati il moroso? E non me ne regala uno? — ed intascò anche quello, i A un ragazzo che sbucciava una pera, disse: — Lasciami le bucce —. E così, qua una foglia, là una scorza, laggiù un petalo, sperava di sfamare la bestiola.

A un certo punto, il signor Viligelmo lo mandò a chiamare. «Si saranno accorti delle piante spelacchiate?» si domandò Marcovaldo, abituato a sentirsi sempre in colpa.

Dal caporeparto c'era il medico dell'ospedale, due militi della Croce Rossa ed una guardia civica. — Senti, — disse il medico, — è sparito un coniglio dal mio laboratorio. Se ne sai qualcosa ti conviene di non fare il furbo. Perché gli abbiamo iniettato i germi di una malattia terribile e può spargerla per tutta la città. Non ti chiedo se l'hai mangiato perché a quest'ora non saresti più tra i vivi.

Fuori aspettava un'autoambulanza; ci salirono di corsa, e con un continuo urlo di sirena, percorsero vie e viali verso la casa di Marcovaldo: e per la via restò una scia di foglie e bucce e fiori che Marcovaldo gettava via dal finestrino tristemente.

La moglie di Marcovaldo quel mattino non sapeva proprio cosa mettere in pentola. Guardò il coniglio che il marito aveva portato a casa il giorno prima, e che ora stava in una gabbia improvvisata, piena di trucioli di carta. «È venuto proprio a proposito, — si disse. — Soldi non ce n'è; il mensile se n'è già andato in medicine extra che la Mutua non paga; le botteghe non ci fanno più credito. Altro che far l'allevamento, o aspettare a Natale per metterlo arrosto! Noi saltiamo i pasti e ancora dobbiamo ingrassare un coniglio!»

— Isolina, — disse alla figlia, — tu sei già grande, devi imparare come si cucinano i conigli. Comincia ad ammazzarlo e a spellarlo e poi ti spiego come devi fare.

Isolina stava leggendo un giornale di novelle sentimentali. — No, — mugolò, — comincia tu ad ammazzarlo e a pelarlo, e poi starò a vedere come lo cucini.

— Brava! — disse la madre. — Io d'ammazzarlo non ho cuore. Ma so che è una cosa facilissima, basta prenderlo per le orecchie e dargli una forte botta sulla collottola. Per spellarlo, poi vedremo.

— Non vedremo niente, — disse la figlia senza alzare il naso dal giornale, — io colpi sulla collottola a un coniglio vivo non ne do. E a spellarlo non ci penso neanche.

I tre bambini erano stati a sentire questo dialogo a occhi spalancati.

La madre restò un po' soprappensiero, li guardò, poi disse: — Bambini…

I bambini, come d'intesa, voltarono le spalle alla madre e uscirono dalla stanza.

— Aspettate, bambini! — disse la madre. — Vi volevo dire se vi piacerebbe uscire col coniglio. Gli metteremo un bel nastro al collo e andate un po' a passeggio.

I bambini si fermarono e si guardarono negli occhi. — A passeggio dove? — chiese Michelino.

— Be', potete fare quattro passi. Poi andate a trovare la signora Diomira, le portate il coniglio e le dite se per favore ce lo ammazza e ce lo spella, lei che è così brava.

La madre aveva toccato il tasto giusto: i bambini, si sa, restano impressionati dalla cosa che a loro piace di più, e al resto preferiscono non pensarci. Così trovarono un lungo nastro coler lillà, lo legarono attorno al collo della bestiola, e l'usarono come guinzaglio, strappandoselo di mano e tirandosi dietro il coniglio riluttante e mezzo strangolato.

— Dite alla signora Diomira, — raccomandò la madre, — che poi può tenersi un cosciotto! No, meglio dirle: la testa.

Insomma: veda lei.

I bambini erano appena usciti quando l'alloggio di Marcovaldo fu circondato e invaso da infermieri, medici, guardie e poliziotti. Marcovaldo era in mezzo a loro più morto che vivo. — È qui il coniglio che è stato portato via dall'ospedale? Presto, indicateci dov'è senza toccarlo: ha addosso i germi d'una tremenda malattia! — Marcovaldo li condusse alla gabbia, ma era vuota. — Già mangiato? — No, no! — E dov'è? — Dalla signora Diomira! — e gli inseguitori ripresero la caccia.

Bussarono dalla signora Diomira. — II coniglio? Che coniglio? Siete pazzi? — A vedersi la casa invasa da sconosciuti, in camice bianco e in divisa, che cercavano un coniglio, alla vecchietta venne quasi un colpo. Del coniglio di Marcovaldo non sapeva niente.

Infatti, i tre bambini, volendo salvare il coniglio dalla morte, pensarono di portarlo in un posto sicuro, giocarci un poco e poi lasciarlo andare; e invece di fermarsi al pianerottolo della signora Dio — mira, decisero di salire fino a un terrazzo che c'era sui tetti. Alla madre avrebbero detto che aveva strappato il guinzaglio e era scappato. Ma nessun animale pareva così poco adatto a una fuga quanto quel coniglio. Fargli salire tutte quelle scale era un problema: si rannicchiava spaventato a ogni gradino. Finirono per prenderlo in braccio e portarlo su di peso.

Sul terrazzo volevano farlo correre: non correva. Provarono a metterlo su un cornicione per vedere se camminava come i gatti: ma pareva che soffrisse le vertigini. Provarono a issarlo su un'antenna della televisione per vedere se sapeva stare in equilibrio: no, cascava. Annoiati, i ragazzi strapparono il guinzaglio, lasciarono libera la bestia in un punto dove le si aprivano davanti le vie dei tetti, mare obliquo e angoloso, e se ne andarono.

Quando fu solo, il coniglio prese a muoversi. Tentò alcuni passi, si guardò intorno, cambiò direzione, si girò, poi a piccoli balzi, a saltelli, prese a andare per i tetti. Era una bestia nata prigioniera: il suo desiderio di libertà non aveva larghi orizzonti. Non conosceva altro bene della vita se non il poter stare un po' senza paura. Ecco ora poteva muoversi, senza nulla intorno che gli facesse paura, forse come mai prima in vita sua. Il luogo era insolito, ma una chiara idea di cosa fosse e cosa non fosse solito non aveva potuto mai crearsela. E da quando dentro di sé sentiva rodere un male indistinto e misterioso, il mondo intero lo interessava sempre meno. Così andava sui tetti; e i gatti che lo vedevano saltare non capivano chi era e arretravano timorosi.

Intanto, dagli abbaini, dai lucernari, dalle altane, l'itinerario del coniglio non era passato inosservato. E chi cominciò a esporre catini d'insalata sul davanzale spiando da dietro alle tendine, chi buttava un torsolo di pera sulle tegole e ci tendeva intorno un laccio di spago, chi disponeva una fila di pez — zettini di carota sul cornicione, che seguitavano fino al proprio abbaino. E una parola d'ordine correva in tutte le famiglie che abitavano sui tetti: — Oggi coniglio in umido — o — Coniglio in fricassea — o — Coniglio arrosto.

La bestia s'era accorta di questi armeggii, di queste silenziose offerte di cibo. E sebbene avesse fame, diffidava.

Sapeva che ogni volta che gli uomini cercavano d'attirarlo offrendogli cibo, capitava qualcosa d'oscuro e doloroso: o gli conficcavano una siringa nelle carni, o un bisturi, o lo cacciavano di forza in un giubbotto abbottonato, o lo trascinavano con un nastro al collo… E la memoria di queste disgrazie faceva una cosa sola col male che sentiva dentro di sé, col lento alterarsi d'organi che avvertiva, col presentimento della morte. E con la fame. Ma come se di tutti questi disagi sapesse che solo la fame poteva essere alleviata, e riconoscesse che questi infidi esseri umani gli potevan dare — oltre a sofferenze crudeli — un senso — di cui pur aveva bisogno — di protezione, di calore domestico, decise d'arrendersi, di prestarsi al gioco degli uomini: andasse poi come voleva. Così, cominciò a mangiare i pezzettini di carota, seguendo la scia che, lo sapeva bene, l'avrebbe fatto ancora prigioniero e martire, ma tornando a gustare forse per l'ultima volta il buon sapore terrestre degli ortaggi. Ecco si avvicinava alla finestra dell'abbaino', ecco che una mano si sarebbe protesa a ghermirlo: invece, tutt'a un tratto, la finestra si chiuse e lo lasciò fuori.