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— Sì, è cresciuta un bel po', — ammise il capo, e per Marcovaldo fu una di quelle soddisfazioni che la vita in ditta riserva ben di rado al personale.

Era sabato. Il lavoro terminava all'una e fino al lunedì non si tornava. Marcovaldo avrebbe voluto riprendere la pianta con sé, ma ormai, non piovendo più, non sapeva che scusa trovare. Il cielo però non era sgombro: nubi nere, a cumuli, erano sparse un po' qua e un po' là. Andò dal capo, che, appassionato di meteorologia, teneva appeso sopra il suo tavolo un barometro. — Come si mette, signor Viligelmo?

— Brutto, sempre brutto, — lui disse. — Del resto, qui non sta piovendo, ma nel quartiere dove abito sì: ho telefonato ora a mia moglie.

— Allora, — s'affrettò a proporre Marcovaldo, — io porterei la pianta a fare un giro dove piove, — e detto fatto tornò a sistemare il vaso sul portapacchi della bici.

Il sabato pomeriggio e la domenica, Marcovaldo li passò in questo modo: caracollando sul sellino della sua bicicletta a motore, con la pianta dietro, scrutava il cielo, cercava una nuvola che gli sembrasse ben intenzionata, e correva per le vie finché non incontrava pioggia. Ogni tanto, voltandosi, vedeva la pianta un po' più alta: alta come i taxi, come i camioncini, come i tram! E con le foglie sempre più larghe, dalle quali la pioggia scivolava sul suo cappuccio impermeabile come da una doccia.

Ormai era un albero su due ruote, quello che correva la città disorientando vigili guidatori pedoni. E le nuvole, nello stesso tempo, correvano le vie del vento, sventagliavano di pioggia un quartiere e poi l'abbandonavano; e i passanti uno a uno sporgevano la mano e richiudevano gli ombrelli; e, per vie e corsi e piazze, Marcovaldo rincorreva la sua nuvola, curvo sul manubrio, imbacuccato nel cappuccio da cui sporgeva solo il naso, col motorino scoppiettante a tutto gas, tenendo la pianta nella traiettoria delle gocce, come se lo strascico di pioggia che la nuvola si tirava dietro si fosse impigliato alle foglie e così tutto corresse trascinato dalla stessa forza: vento nuvola pioggia pianta ruote.

Il lunedì Marcovaldo si presentò al signor Viligelmo a mani vuote.

— E la pianta? — chiese subito il magazziniere-capo.

— È fuori. Venga.

— Dove? — fece Viligelmo. — Non la vedo.

— È quella lì. È cresciuta un po'… — e indicò un albero che arrivava al secondo piano. Era piantato non più nel vecchio vaso ma in una specie di barile, e al posto della bicicletta Marcovaldo aveva dovuto procurarsi un motociclo a furgoncino.

— E adesso? — s'infuriò il capo. — Come possiamo farla stare nell'ingresso? Non passa più dalle porte!

Marcovaldo si strinse nelle spalle.

— L'unica, — disse Viligelmo, — è restituirla al vivaio in cambio d'un'altra dalle dimensioni giuste!

Marcovaldo rimontò in sella. — Vado.

Ricominciò la corsa per la città. L'albero riempiva di verde il centro delle vie. I vigili, preoccupati per il traffico, lo fermavano a ogni incrocio; poi — quando Marcovaldo spiegava che stava riportando la pianta al vivaio per toglierla di mezzo — lo lasciavano proseguire. Ma, gira gira, Marcovaldo la strada del vivaio non si decideva a imboccarla.

Di separar–

si dalla sua creatura, ora che l'aveva tirata su con tanta fortuna, non aveva cuore: nella sua vita gli pareva di non aver mai avuto tante soddisfazioni come da questa pianta.

E così continuava a far la spola per vie e piazze e lungofiumi e ponti. E una verzura da foresta tropicale dilagava fino a coprirgli la testa le spalle le braccia, fino a farlo scomparire nel verde. E tutte queste foglie e gambi di foglia ed anche il fusto (che era rimasto sottilissimo) oscillavano oscillavano come per un continuo tremito, sia che scrosci di pioggia ancora scendessero a percuoterli, sia che le gocce si facessero più rade, sia che s'interrompessero del tutto.

Spiovve. Era l'ora verso il tramonto. In fondo alle vie, nello spazio tra le case, si posò una luce confusa d'arcobaleno.

La pianta, dopo quell'impetuoso sforzo di crescita che l'aveva tesa finché durava la pioggia, si trovò come sfinita.

Marcovaldo continuando la sua corsa senza meta non s'accorgeva che dietro di lui le foglie a una a una passavano dal verde intenso al giallo, un giallo d'oro.

Già da un pezzo, un corteo di motorette e auto e bici e ragazzi s'era messo a seguire l'albero che passava per la città, senza che Marcovaldo se ne fosse accorto, e gridavano: — II baobab! Il baobab! — e con grandi: — Oooh! — d'ammirazione seguivano l'ingiallire delle foglie. Quando una foglia si staccava e volava via, molte mani s'alzavano per coglierla al volo.

Prese a tirare vento; le foglie d'oro, a raffiche, correvano via a mezz'aria, volteggiavano. Marcovaldo ancora credeva d'avere alle spalle l'albero verde e folto, quando a un tratto — forse sentendosi nel vento senza riparo — si voltò. L'albero non c'era più: solo uno smilzo stecco da cui si dipartiva una raggerà di peduncoli nudi, e ancora un'ultima foglia gialla là in cima. Alla luce dell'arcobaleno tutto il resto sembrava nero: la gente sui marciapiedi, le facciate delle case che facevano ala; e su questo nero, a mezz'aria, giravano giravano le foglie d'oro, brillanti, a centinaia; e mani rosse e rosa a centinaia s'alzavano dall'ombra per acchiapparle; e il vento sollevava le foglie d'oro verso l'arcobaleno là in fondo, e le mani, e le grida; e staccò anche l'ultima foglia che da gialla diventò color d'arancio poi rossa violetta azzurra verde poi di nuovo gialla e poi sparì.

Inverno
16 Marcovaldo al supermarket

Alle sei di sera la città cadeva in mano dei consumatori. Per tutta la giornata il gran daffare della popolazione produttiva era il produrre: producevano beni di consumo. A una cert'ora, come per lo scatto d'un interruttore, smettevano la produzione e, via! si buttavano tutti a consumare. Ogni giorno una fioritura impetuosa faceva appena in tempo a sbocciare dietro le vetrine illuminate, i rossi salami a penzolare, le torri di piatti di porcellana a innalzarsi fino al soffitto, i rotoli di tessuto a dispiegare drappeggi come code di pavone, ed ecco già irrompeva la folla consumatrice a smantellare a rodere a palpare a far man bassa. Una fila ininterrotta serpeggiava per tutti i marciapiedi e i portici, s'allungava attraverso le porte a vetri nei magazzini intorno a tutti i banchi, mossa dalle gomitate di ognuno nelle costole di ognuno come da continui colpi di stantuffo. Consumate! e toccavano le merci e le rimettevano giù e le riprendevano e se le strappavano di mano; consumate! e obbligavano le pallide commesse a sciorinare sul bancone biancheria e biancheria; consumate! e i gomitoli di spago colorato giravano come trottole, i fogli di carta a fiori levavano ali starnazzanti, avvolgendo gli acquisti in pacchettini e i pacchettini in pacchetti e i pacchetti in pacchi, legati ognuno col suo nodo a fiocco. E via pacchi pacchetti pacchettini borse borsette vorticavano attorno alla cassa in un ingorgo, mani che frugavano nelle borsette cercando i borsellini e dita che frugavano nei borsellini cercando gli spiccioli, e giù in fondo in mezzo a una foresta di gambe sconosciute e falde di soprabiti i bambini non più tenuti per mano si smarrivano e piangevano.

Una di queste sere Marcovaldo stava portando a spasso la famiglia. Essendo senza soldi, il loro spasso era guardare gli altri fare spese; inquanto — ché il denaro, più ne circola, più chi ne è senza spera: «Prima o poi finirà per passarne anche un po' per le mie tasche». Invece, a Marcovaldo, il suo stipendio, tra che era poco e che di famiglia erano in molti, e che c'erano da pagare rate e debiti, scorreva via appena percepito. Comunque, era pur sempre un bel guardare, specie facendo un giro al supermarket.

Il supermarket funzionava col self — service. C'erano quei carrelli, come dei cestini di ferro con le ruote, e ogni cliente spingeva il suo carrello e lo riempiva di ogni bendidio. Anche Marcovaldo nell'entrare prese un carrello lui, uno sua moglie e uno ciascuno i suoi quattro bambini. E così andavano in processione coi carrelli davanti a sé, tra banchi stipati da montagne di cose mangerecce, indicandosi i salami e i formaggi e nominandoli, come riconoscessero nella folla visi di amici, o almeno conoscenti.