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CAPITOLO UNDICESIMO

Quando fu buio pesto, e Barbanera, Davies e tutti gli altri ebbero bevuto l’ultima coppa ristoratrice di rum e si furono incamminati verso nord lungo la spiaggia, diretti al fiume e alle barche in attesa, Benjamin Hurwood si costrinse ad alzarsi e a seguirli.

I sogni ad occhi aperti che erano diventati sempre più vividi e insistenti durante gli ultimi due anni adesso avevano raggiunto il punto in cui potevano quasi essere definiti allucinazioni, ma Hurwood tenne la bocca serrata e non permise ai suoi occhi di seguire nessuna delle figure e degli oggetti che sapeva essere immaginari.

È il 1718, si disse con fermezza, e mi trovo sulla riva della costa occidentale della Florida, col pirata Edward Thatch e… mia figlia… come diavolo si chiama? Non Margaret… Elizabeth! Ecco. E malgrado quello che continuo a vedere per metà del tempo, non sono nella chiesa a Chelsea… non ho quarantatré anni, l’anno non è il 1694… e non è la mia sposa quella che vedo qui, la mia cara Margaret, la mia vita, o almeno la mia sanità mentale… è nostra figlia, il… il veicolo…

Hurwood strinse gli occhi contro l’intensa luce del sole che entrava a fiotti attraverso la finestra dell’anticamera mentre restituiva la fiaschetta al suo testimone. «Grazie, Peter,» disse con un largo sorriso. Sbirciò nella fessura fra le due porte che costituivano l’ingresso laterale della chiesa, ma le persone si stavano ancora muovendo incerte lungo le navate e accomodando nei banchi, e l’officiante non era ancora apparso… sebbene ci fosse un chierichetto dall’espressione spaventata su uno degli inginocchiatoi più lontani sull’altare. «Ancora un po’ di tempo,» disse al suo testimone. «Voglio darmi solo un’altra occhiata allo specchio.»

Peter sorrise al nervosismo dello sposo mentre Hurwood raggiungeva ancora una volta lo specchio sistemato su una mensola vicina. «Peccato di vanità,» mormorò Peter.

«Credo che oggi un tocco di vanità possa essere scusato,» replicò Hurwood, rimettendo a posto con dei colpetti i riccioli bruni. Hurwood era uno studioso che conduceva vita ritirata, ma era orgoglioso dei suoi capelli, e, a dispetto della moda, non portava mai la parrucca — in società appariva sempre “coi suoi capelli”, e malgrado gli anni non c’era un’ombra di grigio in essi.

«Non vedo ancora Margaret,» osservò Peter, aprendo appena una delle porte e scrutando verso il fondo della chiesa. «Forse ci ha ripensato.»

La semplice allusione fece gelare lo stomaco di Hurwood. «Per il sangue di Dio, Peter, non ripetere più una cosa simile! Io… impazzirei. Io…»

«Era solo uno scherzo!» lo rassicurò Peter, con un accenno di preoccupazione intuibile dietro il suo tono gioviale. «Rilassati, Ben, è chiaro che verrà. Ecco, prendi un altro sorso di brandy… sei lo sposo più pallido che io abbia mai visto.»

Hurwood prese la fiaschetta che gli veniva offerta e bevve un lungo sorso. «Grazie… ma basta. Non si va ubriachi sull’altare.»

«Posso condurla nella barca?» chiese Peter, tirando in qualche modo una tenda davanti alla finestra cosicché rimasero al buio tranne che per la luce di una lampada che Hurwood non aveva notato. L’aria si fece improvvisamente più fresca, ma odorava di mare, e di acquitrini; di sfuggita a Hurwood venne in mente che avrebbero dovuto arieggiare più di frequente quelle stanze — un secolo di fumo d’incenso, di drappeggi crivellati dalle tignole e di rilegature essiccate di libri di preghiere produceva odori piuttosto sgradevoli.

«Credo sia tu quello che ha bevuto troppo,» scattò Hurwood, stizzito. Non riusciva più a vedere i suoi capelli nello specchio. «Tira via quella dannata tenda.»

«Non è il momento di avere visioni, Mr. Hurwood,» disse qualcuno, presumibilmente Peter. «È il momento di salire sulle barche.»

Hurwood, allarmato, vide che la lampada aveva in qualche modo acceso una fiamma nel vestibolo laterale… no, tre fiamme! «Peter!» gridò. «La chiesa sta bruciando!» Si voltò verso il suo testimone, ma invece della snella ed elegante figura di Peter vide un giovane mostruosamente grasso in abiti grotteschi. «Chi sei?» gli chiese Hurwood, spaventatissimo, perché adesso era certo che fosse accaduto qualcosa alla sua fidanzata. «Margaret sta bene?»

«È morta, Mr. Hurwood,» disse il giovanotto grasso, con impazienza. «È questa la ragione per cui siete qui, ricordate?»

«Morta!» Allora doveva trovarsi in chiesa per un funerale, non per un matrimonio… ma perché la bara era così piccola, una cassa quadrata di legno coi lati lunghi non più di un piede e mezzo? E perché aveva un odore così terroso e cattivo?

Allora si scosse, e i ricordi di quell’ultimo quarto di secolo si abbatterono su di lui come una frana, lasciandolo debole e canuto.

«Sì, morta,» ripeté Leo Friend. «E voi vi comporterete sensatamente per le prossime due ore, anche se dovrò essere io a controllarvi,» aggiunse, disperato, il grassone.

«Calmati, Leo,» disse Hurwood, riuscendo a inserire un briciolo di distaccato divertimento nella sua voce. «Sì, con qualsiasi mezzo conduci… Elizabeth nella barca.»

Hurwood scese fiducioso giù per il pendio, con passo deciso, in direzione del fiume, dove le barche erano state tirate in secco e la cassa di legno presa dalla scialuppa di Barbanera stava per essere aperta — anche se barcollava un poco, poiché a intervalli di pochi secondi gli sembrava di camminare con passo cerimoniosamente lento lungo la navata centrale della chiesa, attraverso chiazze alterne d’ombra e luce obliqua colorata quando superava, una per volta, le alte finestre dai vetri dipinti.

Le elastiche radici di mangrovia, simili a ragni, erano state asportate a colpi di sciabola da un tratto di un centinaio di piedi della riva del fiume, e degli uomini stavano immersi fino al ginocchio nell’acqua nera che scintillava alla luce delle torce, e afferravano gli involti di tela impermeabile lanciati dalla riva, sistemandoli nelle barche. C’era una torcia ardente collocata sulla prua di ognuna delle tre barche, e Hurwood vide che Davies e il cuoco erano già su una di esse, con Davies che la teneva ferma afferrando un troncone di mangrovia che sporgeva per un piede al di fuori dell’acqua.

«…e amarvi e onorarvi, per tutti i giorni della vostra vita, finché morte non vi separi?» chiese l’officiante, sorridendo con gentilezza alla fervente coppia inginocchiata davanti a lui. Con l’angolo dell’occhio Hurwood vide il chierichetto che aveva notato prima, che stava ancora sull’inginocchiatoio e appariva ancora spaventato… no, più perduto che spaventato.

«Sì,» disse Hurwood.

«Come hai detto, capo?» domandò il pirata che aveva appena preso l’ultimo involto di tela impermeabile dalla cassa di legno e lo lanciava agli uomini in acqua.

«Ha detto di sì,» disse ridacchiando l’uomo accanto a lui.

Il primo pirata strizzò l’occhio al compagno. «Pensavo che avesse proprio l’aspetto del tipo che ci sta, ma non ne ero sicuro.»

«Ah. Ah.»

Hurwood si guardò intorno battendo le palpebre, e sorrise loro. «Molto divertente. Prenderò sicuramente per voi gentiluomini un paio di ricordini dalla Fontana.»

Il sogghigno svanì dalle facce degli uomini. «Non volevamo mancare di rispetto, signore,» disse uno di loro di malumore.

«Non lo dimenticherò.» Guardando al di sopra della spalla Hurwood vide Leo Friend che scendeva arrancando giù per il declivio. «Andremo su quella,» disse Hurwood ai pirati intimoriti, indicando una delle barche. «Avvicinatela, per favore, e tenetela ben ferma, perché il mio compagno è pesante.»

Gli uomini eseguirono in silenzio ciò che era stato loro detto, e, ormai impauriti da Hurwood, trascinarono la barca così vicino alla riva che lui fu in grado di salirvi senza bagnarsi gli stivali.