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«Oh… giusto.»

Shandy tirò su il remo e lo appoggiò sulla prua. Guardingo come se stesse spezzando il guscio di un’aragosta troppo cocente, si slacciò la cintura, poi sfoderò il coltello — poté avvertire il calore della punta anche attraverso l’involucro di pelle del manico — e, usando la frisata come tagliere, recise l’estremità con la fibbia. Essa, battendo sullo scafo, cadde con un tonfo nella pozza che sciabordava avanti e indietro sul fondo della barca. Rimise il coltello caldo nel fodero e raccolse il suo remo.

Davies, che non aveva interrotto il suo ritmico movimento col remo, fece un sogghigno ironico e scosse la testa. «Sarà meglio che i tuoi calzoni non caschino.»

Shandy si appoggiò con tutto il peso al remo, e si domandò se l’acqua fosse troppo bassa per tenere a galla la chiglia e non la stessero spingendo direttamente nel fango. «I tuoi,» disse, ansimando, «sarà meglio che non prendano fuoco.»

Le tre barche continuarono ad avanzare lentamente nella giungla umida, avvolte nel fumo delle torce. Tanto per distogliere gli occhi lacrimanti dal chiarore della fiamma quanto per scrutare l’avvicinarsi furtivo di qualche mostro, Shandy si mise a guardare ai lati. E all’inizio si sentì sollevato nel vedere che il sibilo scaturiva da fori che palpitavano nei baccelli tondi di una bianca proliferazione fungoide che si ammassava sempre più fìtta lungo gli argini spugnosi. Guardandosi intorno per trovare una spiegazione del fenomeno, ipotizzò che le sue radici fossero connesse a delle caverne, e che la differenza di temperatura faceva sì che l’aria affluisse e fosse liberata in quella maniera di certo bizzarra — ma mentre le imbarcazioni venivano spinte più all’interno dell’acquitrino, dove quei funghi sferici assumevano maggiori dimensioni, vide che al di sopra di quei fori esalanti dagli orli molli c’erano protuberanze e rientranze che assumevano sempre più l’aspetto di nasi e di occhi.

La sensazione di un’enorme e attenta — ma silenziosa — entità là nelle tenebre divenne opprimente. Alla fine, Shandy alzò lo sguardo, impaurito, e sebbene potesse vedere l’intreccio di rami sopra la testa resi argentei dalla luna, seppe che una cosa invisibile si stava chinando su di loro, una cosa che viveva in quel luogo, che possedeva — e forse in larga parte ne era composta — quelle paludi e pozze e piante rampicanti e piccole creature anfibie, feconde in maniera repellente.

Anche gli altri, evidentemente, avvertirono la stessa cosa. Friend si sollevò pesantemente in piedi e poi quasi spense la torcia della barca gettandovi sopra una duplice manciata di erba nera; la fiamma brillò, bassa, ma un paio di secondi dopo divampò di nuovo, mandando una nuvola vorticante di quel fumo acre a dilatarsi verso l’alto in direzione dei rami che coprivano come un tetto il fiume.

Un grido proveniente dal cielo scosse i fiori dagli alberi e sollevò increspature sull’acqua così fitte e persistenti che per un momento le barche parvero adagiate sul pannello di vetro di un oblò pieno di solchi. Il suono si perse echeggiando nella giungla, e rimase solo il gracchiare degli uccelli spaventati, e, dopo che essi si calmarono, il sibilo dei baccelli fungoidi.

Shandy lanciò un’occhiata al più vicino grappolo di baccelli, e vide che le protuberanze fungoidi adesso erano davvero delle facce, e per il modo in cui le loro palpebre si contraevano fu infelicemente sicuro che ben presto avrebbe incontrato lo sguardo di quegli occhi.

Dietro di lui Davies stava imprecando con uno stanco tono uniforme.

«Non dirmi,» disse Shandy con voce ben controllata, «che era uno di quegli uccelli marroni e bianchi che mangiano le maledette lumache acquatiche.»

Davies latrò una sola sillaba di risata, ma non replicò. Shandy poté sentire Beth che piangeva piano.

«Ah, mia cara Margaret,» disse il vecchio Benjamin Hurwood con una voce soffocata ma fremente, «possano queste lacrime di gioia essere l’unica specie che tu mai verserai! E ora sii indulgente, ti prego, con un vecchio e sentimentale docente di Oxford. In questo giorno delle nostre nozze, mi piacerebbe recitarti un sonetto che ho composto.» Si schiarì la gola.

L’invisibile, acquitrinosa presenza incombeva ancora, soprannaturale, sull’aria mefitica, e le caviglie di Shandy stavano diventando sgradevolmente calde malgrado lo spesso cuoio fra le fibbie degli stivali e la sua pelle.

«Margaret!» cominciò Benjamin Hurwood, «Chiedo che una musa dantesca…»

«Siamo arenati,» fu il grido di Barbanera dall’avanguardia. «Smettete di spingere. Da qui in poi andremo a piedi.»

Cristo, pensò Shandy. «Sta… scherzando?» chiese, senza davvero sperarlo.

Invece di rispondere, Davies appoggiò il remo sulla barca, salì sulla poppa e s’immerse nell’acqua nera, che si rivelò profonda fino all’anca.

«…canti la mia gioia dopo quel giorno,» continuò a cantilenare Hurwood.

Shandy guardò avanti. Barbanera aveva tolto la torcia della sua barca dal sostegno, e lui e il suo inquietante barcaiolo stavano già in acqua e diguazzavano verso l’argine più vicino. Le ombre mutavano mentre loro si muovevano, e nuovi grappoli di teste fungoidi divennero visibili.

«Mr. Hurwood,» stava sibilando Leo Friend, mentre scuoteva l’uomo monco. «Mr. Hurwood! Svegliatevi, dannazione!»

«Quando,» continuò a declamare Hurwood, «nel mezzo della mia vita, Dio mi ha permesso di scegliere… di lasciare la selva oscura…»

Shandy poteva vedere le spalle di Beth che sussultavano. Bonnett stava seduto rigido e immobile come un manichino.

Barbanera e il suo barcaiolo si erano arrampicati sull’argine, e, ignorando le sfere bianche che si contraevano e sibilavano ai loro piedi, si stavano afferrando ai rampicanti penduli per continuare ad avanzare sul fango e sulle radici umide che s’inarcavano. «È necessario che stia sveglio,» gridò Barbanera a Friend. «Schiaffeggialo… forte. Se non servirà neppure questo verrò là e… gli farò qualcosa io stesso.»

Friend sorrise nervosamente, tirò indietro una mano grassoccia e la abbatté sulla faccia sorridente di Hurwood.

Hurwood emise un strillo che era quasi un singhiozzo, poi si girò a guardare le barche, ammiccando, di nuovo consapevole di ciò che realmente lo circondava.

«Non manca molto,» gli disse Barbanera, paziente, «ma lasceremo le barche qui.»

Hurwood scrutò per quasi un minuto l’acqua e l’argine melmoso. Alla fine, disse, «Dovremo trasportare la ragazza.»

«Darò io una mano a trasportarla,» gridò Shandy.

Friend rivolse a Shandy un’occhiata velenosa, ma Hurwood non si voltò neppure. «No,» disse il vecchio, «Friend, Bonnett ed io possiamo farlo.»

«Giusto,» disse Barbanera. «Noi altri saremo impegnati a scavarci un passaggio con le sciabole attraverso questa giungla.»

Shandy sospirò e mise giù il remo. Liberò la torcia della barca dal suo sostegno, la tese assieme all’involto di erbe nere a Davies, e poi scese dalla barca. Perlomeno, i suoi stivali lasciavano trapelare l’acqua, e l’acqua relativamente fresca dell’acquitrino lenì il calore dei piedi.

CAPITOLO DODICESIMO

Per mezzora la strana combriccola diguazzò, arrancò e si trascinò da un claustrofobico intrico di vegetazione a un altro; il braccio di Shandy che teneva il coltello stava tremando per la fatica di tagliare viticci e rami d’albero, ma lui avanzava caparbiamente, risollevandosi dalle polle in cui inciampava, costringendosi a respirare l’aria pungente, e stando sempre terribilmente attento a non permettere che la torcia che reggeva con l’altra mano si spegnesse, o bruciasse completamente tutta la sua erba nera.